Vinile sul divano, sonorità espanse tra spirito e materia

// di Gianluca Giorgi //
Jowee Omicil, “SpiriTuaL HeaLinG: Bwa KaYimaN FreeDoM SuiTe” Ceremony (2lp 2023)
Joseph Omicil Jr, a.k.a. Jowee Omicil, è un musicista jazz haitiano-canadese che ha lavorato in passato con artisti come Roy Hargrove, Pharoah Sanders, Tony Allen, Kenny Garrett, Jacob Desvarieux, Glen Ballard, Harold Faustin, Michel Martell, ecc. È stato ospite alla celebrazione dell’85° compleanno di Quincy Jones al Montreux Festival, ha anche recitato nella serie Netflix The Eddy, prodotta da Damien Chazelle e Le temps d’aimer, diretta da Katell Quillévéré (Cannes Festival 2023). La cerimonia di Bois-Caïman è stata la prima grande rivolta collettiva di Haiti contro la schiavitù. In questo suo nuovo album, SpiriTuaL HeaLinG: Bwa KaYimaN FreeDoM SuiTe, Jowee esegue la rivoluzione dei suoi antenati a modo suo. Nell’agosto del 1791, un gruppo di haitiani ridotti in schiavitù si incontrò nei boschi di Bois Caïman, sulla costa settentrionale di Haiti e condusse una cerimonia Vodou segreta che piantò i semi della rivoluzione haitiana. Questo rituale collettivo, che avrebbe continuato a ispirare una rivolta di massa, ora costituisce l’ispirazione per l’ultimo album del sassofonista haitiano Jowee Omicil, Spiritual Healing: Bwa Kayiman Freedom Suite. Per il disco Jowee ha usato tutti i suoi strumenti a fiato: i vari sax soprano, contralto, tenore, clarinetti, flauto piccolo, cornetta. Questo disco è un incantesimo, una terapia. Musica di preghiera, musica per rompere le catene nella testa e sui polsi, musica di potere nero e magia bianca. Per Jowee, un bambino di Montreal, figlio di un pastore haitiano, che ha cantato Gesù in tutti i toni e poi Michael Jackson e anche 2Pac, che ha imparato il jazz da Ornette Coleman, la cerimonia ha necessariamente il sapore della libertà. Tutto funziona per creare attenzione agli ascoltatori e renderli pronti per questo senso di cambiamento e tensione che può portare una rivolta. La band non esplode mai completamente nel free jazz ma Omicil ci invita invece a entrare in uno spazio agitato di possibilità. Non di facile ascolta ma emozionante, le sue improvvisazioni suggeriscono che la rivoluzione è sempre un’opzione e più vicina di quanto si possa pensare.
Sun Ra and his Arkestra, Jazz in Silhouette (Expanded Edition) (1959 reissue 2LP mono/stereo 2023)
Sun Ra (1914-1993), inventivo ed eccentrico tastierista e band leader proveniente dall’Alabama, è considerato uno dei più importanti innovatori della musica afroamericana del ‘900, nonché, da alcuni, l’unico jazzista veramente “undeground”. Dopo aver collaborato con l’orchestra di Fletcher Henderson nel 1946-47 ed aver in seguito suonato in oscuri dischi jazz, Sun Ra formò la sua band a Chicago nei primi anni ’50, battezzandola Arkestra. Partendo dal bop, Sun Ra ed i suoi collaboratori cominciarono ad esplorare nuovi territori, inserendo influenze musicali di altre culture e precorrendo secondo alcuni il free jazz, attraverso una musica che alternava caotiche improvvisazioni a momenti più lirici. I lavori di Sun Ra degli anni ’60 e ’70 eserciteranno anche una certa influenza sul rock underground (MC5, Spacemen 3, il noise). Registrato a Chicago nel 1958/1959, la prima stampa è ormai rara e costosa, Jazz In Silhouette chiude essenzialmente il periodo bebop hard-bop di Sun Ra, con il personaggio di viaggiatore interstellare che inizia ad evolversi e a trasformare la band e la propria musica. Nel 1961, infatti, trasferitosi a New York iniziò ad esplorare terreni musicali sempre più avventurosi. Il disco che è stato inserito nella “Core Collection” della Penguin Jazz Guide è la quintessenza dell’ensemble di Sun Ra a Chicago alla fine degli anni Cinquanta, mette in mostra il brillante sax tenore di John Gilmore ed introduce i pilastri dell’Arkestra, Marshall Allen, Pat Patrick e Ronnie Boykins. Il “Re Sole e la sua Arkestra” si cimentano qui con un jazz melodico ancora vicino ai canoni dell’epoca (bop), con brani dinamici e di ascolto relativamente agevole, rispetto alle sperimentazioni che Sun Ra fece nei decenni successivi, con l’eccezione del brano ”Ancient Aeithiopia”, che preannuncia il Sun Ra che verrà, con i suoi toni astratti e gli spunti free. Molti dei brani di queste registrazioni sarebbero rimasti punti fermi nelle scalette dell’Arkestra per il resto della vita di Sun Ra. Questa versione espansa include il disco completo e contemporaneo Sound Sun Pleasure (mono), rari mix stereo e tracce bonus. Note di copertina di John Corbett, con note aggiuntive di Irwin Chusid.


Amirtha Kidambi’s Elder Ones, New Monuments (2024)
Amirtha è una talentosa musicista, educatrice e attivista di New York, che per questo suo nuovo lavoro, il terzo con gli Elder Ones, si accasa presso l’etichetta finlandese We Jazz Records con quartier generale ad Helsinki. Questa è musica di protesta, il più chiara possibile nelle sue intenzioni radicali. Il titolo, infatti, evoca la “demolizione di vecchi monumenti coloniali e razzisti e vestigia di potere… al fine di costruirne di nuovi per i martiri della lotta”. Il disco risente del periodo di contestazioni avvenute in America nel 2020 e 2021, le manifestazioni di massa tenute in tutta New York City sulla scia dell’omicidio di George Floyd, la sparatoria della spa di Atlanta nel 2021, dove un uomo bianco ha preso di mira e ucciso donne asiatiche, “Third Space” la prima traccia dell’album è proprio una risposta a questo avvenimento. In questo periodo furono organizzati concerti fai-da-te suonati nelle strade, sotto i ponti, nei tunnel, usando generatori, prolunghe che uscivano dalle vetrine e dalle gallerie, tutto questo ha permesso di avvicinare questa musica sperimentale e rivoluzionaria ad un pubblico più ampio. Nell’album vengono trattati molti dei temi a livello globale di cui questa artista si occupa: tra questi, le proteste degli agricoltori per le riforme agricole in India, l’evoluzione del movimento per i diritti delle donne iraniane dopo la morte di Mahsa Amini e il continuo crescente appello per la liberazione palestinese. In questo nuovo lavoro, la Kidambi è sostenuta da un gruppo di grandi improvvisatori di New York: il pilastro degli Elder Ones Matt Nelson al sassofono soprano, il violoncellista Lester St. Louis, noto per il suo lavoro nel gruppo Fly or Die della defunta Jaimie Branch, Jason Nazary, frequente collaboratore di Darius Jones e metà del gruppo Anteloper sempre con Jaimie Branch. A completare il quintetto c’è Eva Lawitts, il cui basso propulsivo si sente in diverse composizioni dell’album. La voce della Kidambi, allo stesso tempo, passa dal canto alle urla furiose e in alcuni passaggi il modo in cui la Kidambi usa la voce ricorda la rabbia di Abbey Lincoln nella sezione trippy “Protest” dell’album “We Insist” di Max Roach, anche se stilisticamente la musica della Kidambi è completamente diversa. Nel disco si può trovare anche una certa familiarità con gli album dei Code Girl della chitarrista Mary Halvorson (“Code Girl” e “Artlessly Falling”). La musica della Kidambi con gli Elder Ones offre un’impressionante miscela di jazz, improvvisazione, forte espressione vocale ed elettronica, con il quintetto che spesso evoca i fantasmi del jazz, più o meno free, passato e presente; Albert Ayler, Don Cherry nonché l’ormai defunta amica e collaboratrice della Kidambi, Jamie Branch, a cui l’album è in parte dedicato. Grazie ancora alla We Jazz Records che riesce ancora una volta ad ampliare i nostri orizzonti pubblicando musica nuova ed emozionante.
Gino Marinacci, Atom Flower’s (1972 ristampa 2021)
Prima riedizione in assoluto di questo disco di culto ed estremamente raro di uno dei principali musicisti e compositori del jazz italiano e della musica cinematografica. Registrato nel 1972 nello studio Sound Work Shop di Piero Umiliani con una formazione simile a quella del leggendario album “To-Day’s Sound” del 1973. Nelle 8 tracce Marinacci fonde brillantemente groove funky jazz psichedelici, influenze musicali della biblioteca Italiana, arrangiamenti cinematografici, ritmi latini e vibrazioni cool della West Coast che, probabilmente, donano un po’ di atmosfera jazz mod fine anni ’60. La sessione include una vasta gamma di strumenti a fiato: flauti, sassofoni, oltre ad organo, tastiere, percussioni e altro ancora. È un disco che, nonostante i chiari agganci con i suoni e i ritmi del momento, ancora oggi appare di una musicalità e di una freschezza sorprendenti. Il disco, inoltre, dimostra che i musicisti jazz italiani pur guardando come gli altri europei ai giganti d’oltreoceano, avevano e tuttora hanno, un approccio swing con una spiccata originalità, una propria poetica con un senso della composizione tutta mediterranea. Gino Marinacci, per esempio, ha un ottimo curriculum di studi (conservatorio, Berklee School) che all’epoca lo ha portato a diventare una colonna di svariate orchestre ritmo sinfoniche guidate da importanti direttori e compositori nostrani (Morricone, Trovajoli, Ferrara, Kramer, Ferrio, Piccioni, Maderna, Muti, ecc.), nonché a lavorare nelle big band della RAI (la società di radiodiffusione statale italiana), soprattutto a Torino e Roma. Durante questo periodo intenso si è concentrato sul sax baritono, sul flauto e sul clarinetto basso. Negli anni ‘50 Marinacci si spostò verso il jazz e entrò nel gruppo di Nunzio Rotondo, collaborando con alcuni dei grandi talenti dell’epoca, come Piero Umiliani, con il quale registrò la Piccola Suite Americana per Quattro Ance. Ha iniziato a vincere premi per il suo lavoro sul sax baritono, diventando uno dei principali musicisti dello strumento sulla scena jazz italiana. Sempre con Piero Umiliani, ha registrato la colonna sonora del film “L’Audace Colpo dei Soliti Ignoti”, insieme a Chet Baker. Nel 1966 Marinacci ebbe un gravissimo incidente stradale che lo obbliga alla sedia a rotelle fino alla morte, avvenuta nel 1982. Questa nuova situazione, probabilmente, lo porta alla passione per la famiglia dei flauti, in particolare del flauto in do basso, di cui diventa uno dei massimi esponenti al mondo. In questo disco si resta affascinati non solo dalla tecnica di Marinucci ma dalla sua capacità di scrittura, dalla pulizia degli arrangiamenti, basati su sovrapposizioni non usuali dei vari tipi di flauto e dall’apertura mentale che lo porta ad inglobare ritmi rock, sonorità elettriche mescolate al suono acustico dei sassofoni e, addirittura, ad un quartetto d’archi (“Sonatina in Beat”). Questi temi, che ben volentieri potrebbero essere la colonna sonora di immagini o sigle radiotelevisive, godono inoltre di assoli eccellenti, soprattutto del grande Dino Piana, Antonello Vannucchi, che si divide tra organo, piano elettrico ed acustico, di sax tenore (Cervelllieri, Genovese) e naturalmente del leader, ispirato in ogni traccia (fantastico nel breve “Actors Flute Studio”), probabilmente siamo di fronte ad uno dei flautisti migliori che il jazz moderno abbia espresso. All’epoca i dischi di jazz italiano non erano molto considerati e nessuno avrebbe pensato che sarebbero divenuti oggetto di desiderio da parte dei collezionisti e appassionati del mondo intero (Giappone e Inghilterra su tutti). Ben venga, pertanto, questa ristampa ben realizzata con un ottimo suono, considerate la difficoltà a trovare gli originali e l’aumento del loro prezzo, ormai vendute oltre i 500 euro.

