Maurizio Zorzi, il jazz visto da molte angolazioni

//di Guido Michelone //
Tra le 230.000 foto negli archivi della rivista on line «All About Jazz» figurano anche le immagini di Maurizio Zorzi che si distingue, a livello figurativo, per l’accuratezza dei dettagli, la nitidezza dello scatto, l’immediatezza di un riquadro che vuole eternare il momento topico dell’improvvisazione sonora soprattutto con il jazzman (o chi per esso) a tu per tu con il proprio strumento musicale. Goriziano, con studi alla Iuav di Venezia, collaboratore anche del mensile «Musica Jazz», professionalmente attivo su tutto il territorio triveneto, in quest’intervista apposita per «Doppio Jazz», nella sinteticità delle risposte e dei ragionamenti rivela l’intelligenza visiva precipua dei grandi fotografi in grado con un ‘semplice’ obiettivo di raccontare un’intera storia artistica e culturale.
D In tre parole chi è Maurizio Zorzi?
R Un ragazzo di 63 anni appassionato di tante cose che riguardano l’arte, la musica eccetera, ma purtroppo fa il direttore tecnico di cantiere…
D Come sei arrivato al jazz? Che musica ascoltavi da bambino e poi da ragazzo?
R Grazie a papà aveva i dischi dei Led Zeppelin, Santana e poi un disco doppio con una copertina bellissima e una musica strana… Bitches Brew di Miles Davis.
D E come sei giunto alla fotografia?
R Sempre grazie a papà con una Asahi Pentax.
D Come e dove e perché hai unito questi tuoi due interessi (jazz e fotografia)?
R Andavo ai concerti e ho incominciato così, il primo concerto forse Sun Ra a Mestre nel 1980. Poi la crescita della famiglia e l’idea di andare da solo non mi entusiasmava. Cosi dopo la separazione mi sono ritrovato nel mondo musicale riprendendo a seguire i concerti e poi perché no… ho iniziato a portarmi dietro la macchina fotografica stavolta digitale…
D Come definiresti il tuo approccio fotografico alla nostra musica?
R Certo di prendere gli aspetti di concentrazione della performance e della personalità del musicista ma non sempre riesco…
D Chi sono i tuoi fotografi preferiti? Prima in generale e poi nella musica o viceversa?
R Roberto Masotti con il quale ho avuto più di un occasione di parlare e avere qualche suggerimento. Mi piacciono molto i lavori di Luciano Rossetti e di Luca d’Agostino. In generale sono affascinato dal lavoro anche sociale di Salgado…
D Possiamo parlare di foto-jazz? C’è uno specifico tecnico o culturale?
R Sì certo penso che Roberto sia riuscito a coniugare tutto!
D Cambiando discorso, ha ancora un senso oggi la parola jazz?
R E perché no? Ci sono tante influenze americane, europea, africana ma la base rimane quella. Certo che l’utilizzo di tanta o troppa elettronica copre il maniera eccessiva la matrice.
D E si può parlare di ‘jazz italiano’? Esiste qualcosa di definibile come ‘jazz italiano’?
R Tornando agli anni Settanta seguendo i corsi di Giorgio Gaslini a Venezia sapevi che quella musica era italiana, non c’erano tante scuole e quindi la produzione che ne usciva era proprio italiana. Oggi la musica prodotta in Italia ma anche nel resto del mondo non ha più grosse definizioni geografiche, può avere delle nuances ma fondamentalmente rimane jazz.
D Parlaci delle 3-4 foto che ami di più tra quelle da te scattate.
R Sicuramente come ricordi quella di Sun Ra, poi una di John Surman un concerto che organizzai a Mestre, una di Pharoah Sanders a Udine e una di Charles Lloyd a Bologna.
D Hai qualche aneddoto da raccontarci mentre scattavi le tue foto?
R La foto che feci a James Brandon Lewis al Jazz & Wine il quale si girò verso di me e mi fece l’occhiolino ridendo!
D Il jazz deve parlare, attraverso i suoni, di temi sociali, politici, ambientali, filosofici?
R Ormai mi pare che il periodo delle arrabbiature sia passato, sicuramente rimane nella cultura personale di ogni artista…
D Come vivi il jazz in Italia anche in rapporto alle tue esperienze sul territorio
R Abitando nel profondo Est di Italia sono un po’ fuori dai giri di concerti, ma anche qui piccole realtà che non hanno la possibilità per grossi nomi hanno buona programmazione e di qualità ricordo Il Carso in Corso a Monfalcone e il Circolo Thelonious a Trieste inoltre ogni anno il Festival Jazz&Wine propone un festival con molte eterogeneo.
D Come giudichi l’attuale situazione in cui versa la cultura italiana (di cui il jazz ovviamente fa parte da anni?
R Ahia…la vedo male, se penso che ai concerti o festival vedi sempre le stesse persone qualcosa non quadra. Ma questo non è solo per la musica ma per tutta la cultura chi legge libri ormai? Semplicistico forse ma è lo specchio del nostro Paese.

