LameDa barba

…una mercuriale cura per i ritmi apotropaici e i suoni ipnotici, difficilmente circoscrivibili, dove la musica tende costantemente a una dimensione assai palpabile, sia pure a tratti volatile, introspettiva e meditativa, delicatamente impressionista, vagamente naive ed apertamente visionaria.

// di Francesco Cataldo Verrina

Il jazz del terzo millennio, nell’accezione più larga del termine, mostra una naturale propensione alla fusione e alla convergenza di musiche etniche, attraverso un excursus che attraversa l’asse meridionale del Mare Nostrum, quello più prossimo all’Oriente e al Nord Africa, amoreggiando con melodie balcaniche, i ritmi ispanici e forme variabili di world music, al fine di coagulare il costrutto sonoro in un unico formato audiotattile, nel quale le influenze restano distinte e intellegibili ma indissolubilmente intrecciate. Un universo sospeso tra mare e cielo, teso ad immaginare mondi altri, su cui tante domande restano ancora sospese e continuano a cercare risposte, sovente affidate al gettito spontaneo della fantasia: uomini, popoli, guerrieri, avventurieri, donne affascinanti, città di mare e di terra, conquistati ed invasori, popoli di navigatori o di poeti erranti. Echi di una cultura mai scritta ma scolpita nella roccia, resistente alla furia degli elementi e all’usura del tempo.

«Qafiz» delle Lame da Barba non sfugge a tale classificazione: Francesco Paolino alla chitarra e mandola, Stefania Megale ai sax, Pippi Dimonte al contrabbasso e Alberto Mammollino alle percussioni, viaggiano al di là dei confini spazio-temporali, senza incorrere mai in dazi, pedaggi o regolamentazioni ritmo-armoniche troppo astringenti, su una vasto territorio musicale che attraversa, a piedi nudi e nella maniera più naturale, l’Est Europa, la Grecia, il Sahara, l’Andalusia e la Penisola Italica con la bussola costantemente puntata a Sud, mentre rapidi sprazzi di jazz dematerializzato si muovono sullo sfondo alla medesima stregua di una scenografia teatrale, su cui i quattro strumentisti recitano a soggetto, tanto che il loro elaborato sonoro diviene luogo d’incontro ed agorà culturale, quale espressione della civiltà musicale di popoli molteplici. Il progetto Lame da Barba, che ha all’attivo già altri due lavori, usciti nel 2017, «La Muta Vita» e l’eponimo «Lame da Barba», nasce dall’incontro e dalla fissione a caldo di linguaggi diversi ma affini, in cui le singole unità del line-up, forti di un notevole background, filtrano le loro esperienze secernendo una musica che travalica i generi e gli stilemi codificati. A tutto ciò si aggiunga una mercuriale cura per gli arrangiamenti che consentono agili improvvisazioni collettive ed individuali fra ritmi apotropaici e suoni ipnotici, difficilmente circoscrivibili. Nel complesso la musica tende costantemente a una dimensione assai palpabile e ricevibile, sia pure a tratti volatile, introspettiva e meditativa, delicatamente impressionista, vagamente naive ed apertamente visionaria. Cosi, i quattro musicisti di stanza a Bologna gettano le fondamenta di un ponte ideale tra mondi possibili, esplorandone le essenze musicali e filtrandole in un’ottica di jazz acustico.

«Qafiz» potrebbe essere catalogato come un viaggio senza tempo su un argonave immaginaria che lambisce le coste del Mediterraneo ed oltre. «Saja» si apre come una porta che guarda verso Est sviluppandosi progressivamente come una flessuosa danza arabescata legata ad una corda tesa tra Mediterraneo, Africa e Medio Oriente. «Famera» si sostanzia come un ballo ancestrale, carico di suggestioni provenienti da antiche civiltà, a cui il suono flautato del sax, il walking frastagliato del contrabbasso e le percussioni aggiungono l’aura di un rito sciamanico. «Fadha» s’inerpica e riscende, con molte variazioni di tema e di mood, seguendo le coordinate di un sound cinematografico che ricorda le avventure di Lawrence D’Arabia: echi di regioni lontane, a volte ammantate di mistero e magia, vengono trascritte e dipinte in musica da sax, chitarra e mandola. «Acubar», distilla grappoli di note arcane che s’incastrano fra le dune di una terra di confine che unisce suggestioni ispaniche, berbere, lusitane e mediterranee. La title-track, «Quafiz», emette essenze balcaniche e gitane che sembrano raccontare storie di popoli migranti e diaspore epocali. «Kerasos» è un esalazione di sonorità avvolgenti fra Cipro e Grecia con una mano tesa a quell’Oriente di prossimità che ne influenza usanze e modi di vita. «Zahara» si dipana attraverso un’incantevole melodia dal sapore retrò che sembra emergere dalle profondità del Mediterraneo come un tesoro a lungo sommerso. In chiusura «Marsà», una ballata sospesa ed esoterica, che sfiora a volo radente luoghi fiabeschi da mille e una notte o angoli remoti creati dalla fantasia e dislocati in ogni angolo del Sud del mondo. Per penetrare a fondo l’essenza e l’humus di «Qafiz» delle Lame da Barba vi basterà prenotare un biglietto per un viaggio senza confini pagabile in fantavaluta.

Lame da Barba

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