«Welcome Back» dello Spiritual Trio di Fabrizio Bosso: una rilettura colta e viscerale della tradizione africano-americana (Warner Music Italy, 2025)

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L’album è una dichiarazione d’amore verso un linguaggio universale, un gesto di gratitudine e rinascita che, come suggerisce il titolo stesso, invita ad un ritorno: non alla mera ripetizione di quanto già scritto o riscritto, bensì ad una rinnovata esigenza di incontrare un altrove, attraverso la ricomposizione del passato, ma con una visione aperta e circolare dell’hic et nunc.

// di Francesco Cataldo Verrina //

Con «Welcome Back», pubblicato da Warner Music Italy, lo Spiritual Trio guidato da Fabrizio Bosso compie un ulteriore passo nell’elaborazione di un lessico musicale devoto alla tradizione afro-americana, ma consapevolmente trasdotto oltre i suoi stessi confini originari. Il decimo tassello discografico del trombettista torinese con questo organico si pone quale raffinato esempio di equilibrio tra ricerca timbrica, spiritualità e virtuosismo improvvisativo, attestandosi come un’operazione al tempo stesso devota ed innovativa.

La triade Bosso/Marsico/Minetto, collaudata da oltre un decennio di intensa attività concertistica e discografica, promulga in questo lavoro un compendio sonoro che fonde, con intelligenza, esegesi filologica e personalità interpretativa. Laddove l’organo tesse un tappeto armonico morbido e avvolgente, il dialogo con la tromba di Bosso – vera e propria voce narrante del disco – si snoda lungo percorsi emozionali in cui il lirismo non è mai disgiunto dalla profondità spirituale. L’impianto concettuale dell’opera ruota attorno ad una rielaborazione della tradizione gospel e spiritual afro-americana, ma si apre a contaminazioni eterogenee, spaziando da rivisitazioni di standard emblematici – come «You Are So Beautiful» di Billy Preston e «Theme from Taxi Driver» di Bernard Herrmann – fino a temi originali che testimoniano l’attualità e l’identità autoriale del progetto. Le composizioni firmate da Bosso («Spirito Libero», «Crossroads») e Marsico («Welcome Back», «Upstairs», «Stupid Lullaby») consolidano ulteriormente il tono meditativo e introspettivo del progetto. Particolarmente significativa risulta la presenza del Castagnole Community Choir in «Thank You Lord», che esplicita il legame del trio con una dimensione comunitaria e orante della musica: un ritorno al canto collettivo come forma di rito condiviso. La coralità delle voci si intreccia mirabilmente al tessuto strumentale, ribadendo la volontà di oltrepassare il mero concetto di brano per accedere a una dimensione liturgica. Dal punto di vista tecnico-interpretativo, l’album testimonia la maturità espressiva dei tre musicisti. Bosso si conferma interprete dal fraseggio cantabile e di rara intensità, capace di evocare la corporeità vocale dello spiritual. L’organo di Marsico, dal canto suo, funge non solo da accompagnamento ma da attore co-protagonista del dialogo musicale, cesellando atmosfere dense di pathos e riverbero mistico. Minetto, infine, dimostra finezza ritmica e discrezione timbrica, modellando ogni battuta con misura e musicalità.

«Welcome Back» (Alberto Marsico) ottempera ad un’ apertura densa di pathos, che si dispiega come un rito di accoglienza. Composizione dall’impianto modale, «Welcome Back» è strutturata secondo un andamento circolare che richiama i canti spirituali d’ingresso delle funzioni religiose. L’organo di Marsico plasma un’ambientazione sospesa, quasi mistica, sulla quale la tromba di Bosso si staglia con eleganza evocativa. Il tema melodico si insinua con garbo, affermandosi come un augurio sonoro di rinascita e ritorno. «Spirito Libero» (Fabrizio Bosso) è un’invocazione alla libertà interiore, scolpita da una tromba che alterna impeto e introspezione. L’andamento metrico incalzante e le modulazioni timbriche restituiscono l’idea di un volo senza vincoli, in cui la spiritualità si fa movimento dinamico. Composto in tempo dispari, il brano si fonda su una sequenza armonica non convenzionale. L’eco della tradizione modale post-coltraniana si affaccia nei passaggi improvvisativi, rievocando l’approccio scalare alla melodia tipico del jazz degli anni ’60, ma con una levità tutta italiana. «You Are So Beautiful (Billy Preston/Bruce Fisher)» si sostanzia come una rilettura cesellata con pudore e intensità. La celebre ballata si trasfigura in un’ode senza tempo, in cui la delicatezza della tromba rievoca l’intimità della voce umana. L’assenza della voce, infatti, è compensata da un fraseggio estremamente cantabile di Bosso che si lega al lineage trombettistico afro-americano: da Miles Davis a Wynton Marsalis. La tessitura armonica dell’organo, soffusa e riverberante, evoca le trasparenze timbriche della ECM anni ’80, pur mantenendo una salda radice soul. Il trio adopera una lentezza carica di significato, lasciando spazio al silenzio come elemento espressivo. «Thank You Lord» (Walter Hawkins), composto da un pilastro della gospel music contemporanea, costituisce il vertice spirituale dell’album Il canto corale infonde una dimensione liturgica, amplificando la tensione ascensionale del brano. Il componimento si arricchisce grazie al Castagnole Community Choir, il cui intervento viene costruito su armonizzazioni quartali e movimenti contrappuntistici, che richiamano la tradizione dei mass choirs afro-americani, come quelli di Edwin Hawkins e Richard Smallwood. Il risultato è una policromia sonora che fonde orizzontalità armonica e verticalità spirituale, tanto che l’interazione fra voce collettiva e strumenti trasforma il costrutto melodico-armonico in una celebrazione comunitaria della fede.

«Theme from Taxi Driver», rappresenta l’opera emblematica del postmodernismo cinematografico. La colonna sonora scritta da Bernard Herrmann viene riletta attraverso un codice jazzistico che ne enfatizza la dimensione metropolitana, intrisa di tensione ed inquietudine notturna. La cupa atmosfera della composizione originaria viene preservata ed arricchita da un plot strumentale che conferisce al costrutto una nuova linfa, amalgamando jazz, noir e lirismo urbano. L’armonia cromatica e i movimenti intervallari ascendenti e discendenti della tromba contribuiscono ad evocare il senso di dislocazione tipico del concept scorsesiano. L’organo introduce un’ambiguità timbrica che richiama le colonne sonore della cinematografia balck degli anni ’50. «Soul Song» (Shirley Scott) è un omaggio ad una delle organiste più raffinate del soul jazz. Marsico ne rievoca lo spirito con garbo, mentre Bosso ne accentua i contrafforti soulful, mentre trasforma il costrutto in un dialogo tra rispetto filologico e creatività esecutiva, conservando oltremodo l’andamento blues-based tipico della produzione dela Scott. Il trio adotta una struttura AABA, con alternanza di comping e walking bass eseguito alla pedaliera dell’organo. Il tono generale è quello della relaxed sophistication, dove ogni nota sembra pesata con cura artigiana. «Upstairs» (Alberto Marsico), risulta costruito su un movimento ascensionale sia armonico che ritmico, in cui la tensione verso l’alto è suggerita dalla scelta di tonalità brillanti e da un uso mirato dei registri acuti. Un componimento che ribolle in profondità, in cui l’organo costruisce linee ascendenti che paiono arrampicarsi in salita per uscire allo scoperto. La batteria di Minetto sottolinea ogni passaggio con precisione certosina, conferendo sostanza ad un percorso che è tanto fisico quanto spirituale. L’organo è protagonista assoluto, articolando una narrazione che richiama tanto l’introspezione del gospel quanto la spettacolarità di certo soul-funk strumentale. «Crossroads» (Fabrizio Bosso), titolo emblematico, che richiama il mito di Robert Johnson e l’archetipo del bivio esistenziale, innescando una meditazione sulle scelte, su quegli incroci dove il sacro e il profano si toccano. La composizione presenta un’interessante alternanza tra sezioni in minore e maggiore, a sottolineare lo scontro dialettico tra luce e ombra, scelta e destino. La tromba utilizza registri medio-alti con un uso del vibrato e del glissando dal forte valore espressivo.

«The Preacher», l’omaggio a Horace Silver, risulta vibrante e vitale, con un groove fluente e frasi melodiche dal taglio predicativo. Uno dei cavalli di battaglia del repertorio hard bop, «The Preacher» viene riproposto con fedeltà stilistica e personalità, al contempo. La griglia armonica intelaiata su un tempo medio-swing consente al trio di espandere le dinamiche e giocare con accenti e sincopi, omaggiandone lo spirito ironico e sermonico al contempo Il drumming di Minetto è puntuale e mai invasivo. «Stupid Lullaby» (Alberto Marsico) suggella l’album con una chiusura ironicamente tenera, in cui la semplicità del titolo si contrappone alla complessità affettiva della struttura ternaria che evoca la forma della berceuse romantica. Una ninna nanna strumentale per adulti, in cui il suono si fa carezza e la musica, ancora una volta, compie il miracolo della memoria emotiva, mentre il fraseggio si fa quasi impressionista, con armonie sospese e uso sapiente della dinamica decrescente. La tromba gioca con il rubato, simulando quasi il mormorio di una nenia intima e malinconica. In sintesi, «Welcome Back» sancisce un plot strumentale che non solo attraversa, ma ricompone le fibre più intime della spiritualità afro-americana, decretando una sintesi sonora, dove il rispetto per la tradizione si coniuga con una visione poetica contemporanea. L’album è, in definitiva, una dichiarazione d’amore verso un linguaggio universale, un gesto di gratitudine e rinascita che, come suggerisce il titolo stesso, invita a un ritorno: non alla mera ripetizione di quanto già scritto o riscritto, bensì ad una rinnovata esigenza di incontrare un altrove, attraverso la ricomposizione del passato, ma con una visione aperta e circolare dell’hic et nunc.

Fabrizio Bosso Spiritual Trio © Roberto Cifarelli
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