PlamasCopertina CD (2)

Attraverso una narrazione che rifugge l’agiografia, Mauro Palmas ci appare come un testimone del tempo, un artigiano dei suoni, capace di raccontare la Sardegna ed il Mediterraneo senza retorica ma con vibrante autenticità.

// di Francesco Cataldo Verrina //

Il volume «Tra le mie corde», corredato da un’appendice sonora in forma di CD, si configura quale summa esperienziale dell’itinerario artistico ed esistenziale di Mauro Palmas. Il concept si articola in un compendio di microcosmi narrativi, affidati alla scrittura tersa e pregnante di Maria Gabriela Ledda, i quali restituiscono non tanto una biografia in senso canonico, quanto piuttosto una mappa emozionale della musica popolare sarda e delle sue metamorfosi contemporanee.

Ledda rinuncia consapevolmente alla cronologia lineare e costruisce un impianto testuale a frammenti, come tessere di un mosaico sentimentale, laddove ciascun episodio assume la funzione di epifania rivelatrice. È in questa sequenza di apparizioni che Palmas emerge: non soltanto in qualità di strumentista sopraffino – tra i massimi interpreti della mandola – ma come figura liminare, sospesa fra il portato ancestrale della sua isola e l’urgenza di rinegoziarne le coordinate espressive nel mondo globale. Bruno Gambarotta, nella prefazione, coglie questa tensione espressiva e la restituisce con l’acume di chi sa decifrare le zone d’ombra dell’identità artistica. Il suo appellativo di «artista del Mediterraneo» assevera la vocazione diasporica e permeabile di Palmas, il quale trasfigura ogni radicamento in slancio dialogico. «Tra le mie corde» è dunque un testo palinsestico, che intreccia autobiografia, musica e riflessione estetica in un’unica trama di senso. Palmas si rivela testimone eloquente di un’epoca in transizione, capace di coniugare istanze locali e tensioni universali, lasciandoci in eredità un’opera in cui l’arte si fa forma di pensiero e permanenza nel tempo.

Il disco omonimo, lungi dall’essere accessorio, si configura come vera e propria narrazione musicale parallela. L’organico ridotto – liuto, pianoforte e clarinetto – si presta a un tessuto timbrico diafano e raccolto, che evita tanto l’enfasi quanto l’esibizionismo tecnico. Le undici composizioni, attraversate da un costante lavorio interiore, si offrono quali germogli sonori in cui traspare la fatica e la fierezza dell’artigiano del suono. Ciascun brano si cristallizza in un segmento di memoria, un affioramento di coscienza. La narrazione rivela una densità stratigrafica che travalica la dimensione individuale. Dalle Feste dell’Unità all’approdo alle reti nazionali, dal sodalizio con Elena Ledda alle collaborazioni con giganti del jazz e della world music, Palmas si delinea come crocevia sonoro e umano entro cui si intersecano istanze politiche, urgenze espressive e fedeltà identitarie. La musica, per lui, non è mai ornamento: è atto etico, disvelamento, gesto di responsabilità culturale. In ciò, la scrittura di Ledda si fa custode e interprete, restituendo con misura e sobrietà uno sguardo partecipe ma non indulgente. Le illustrazioni di Angelo Dessì e l’accurato censimento discografico di Salvatore Esposito completano questa «macchina memoriale», rendendola anche documento di valore storiografico.

Ogni brano rappresenta un frammento aurale del mondo interiore ed estetico di Mauro Palmas. I brani, perlopiù inediti, restituiscono con intensità una ricerca sonora matura, intimista, scevra da vezzi stilistici o compiacimenti virtuosistici. L’interazione tra liuto cantabile, pianoforte e clarinetto dà vita a una grammatica musicale essenziale, sospesa tra nostalgia ed invenzione. L’opener «Èspero» evoca, sin dal titolo, il crepuscolo ed il limite tra luce e ombra. La partitura si dispiega con eleganza contenuta, in un tempo sospeso che richiama l’attesa. Il dialogo tra clarinetto e pianoforte ha il tono di un madrigale moderno, mentre il liuto fende la trama con discreta autorità. «Danza minore», nonostante la sua apparente modestia, si fa memento sonoro: un valzer anomalo, obliquo, che risuona più come riflessione che come celebrazione. Palmas elabora una sorta di antiritmo, sovvertendo ogni aspettativa. «Etnika» è un tributo implicito alla pluralità mediterranea, nel quale il materiale tematico si contamina con idiomi armonici di matrice levantina e dove il clarinetto si fa voce nomade, incarnando la figura dello straniero errante. «Pietre» si caratterizza come un componimento di straordinaria densità timbrica: ogni nota sembra scolpita più che suonata. Palmas crea un paesaggio sonoro mineralizzato, dove le pause pesano quanto i suoni. Il titolo suggerisce permanenza, ma la musica è intrisa di fragilità. «Aggius» è un omaggio implicito a un toponimo sardo, è forse il brano più narrativo: la melodia si snoda come un racconto orale, punteggiato da silenzi gravidi di memoria. L’impasto sonoro evoca la topografia emotiva di un luogo interiore. «Gozos di San Nicola» si sostanzia come una composizione rituale, quasi liturgica, che richiama le laudi medievali. Palmas attinge alla memoria religiosa popolare, trasfigurandola però in forma laica, più contemplativa che devozionale. «Ritorno di Cainà» è l’evocazione dell’esilio e della redenzione: il titolo allude alla città biblica, luogo di esilio mitico. L’andamento è elegiaco, con modulazioni impercettibili che suggeriscono il tormento del ritorno e l’impossibilità dell’oblio.

Il brano eponimo, «Tra le mie corde», diventa la metafora esplicita della condizione artistica di Palmas. La composizione è raccolta, quasi diaristica: ogni frase musicale sembra tratta da una lettera mai spedita. Un autoritratto in forma di suono. «Cielo di levante», traccia breve ma luminosa, emerge come uno scorcio, uno schizzo d’acquerello sonoro, evocando l’aurora e la speranza, senza indulgere in facili sentimentalismi. Il lirismo è trattenuto, persino pudico. In «Tornato» la musica si fa cronaca interiore del ritorno, non come rientro ma come riconquista dell’identità. I temi si rincorrono, si sovrappongono, si dissolvono. È un brano-soglia, in cui si percepisce la stanchezza del viaggio e l’ebbrezza della casa ritrovata. «Nel Silenzio», estrema sintesi espressiva, il silenzio stesso diventa protagonista, offrendosi come epitaffio o epilogo, in cui la rarefazione sonora sfiora l’ascetismo. Palmas lavora per sottrazione, raggiungendo una forma di nudità poetica. «Genie With The Light Brown Lamp», unico componimento non autografo, nasce da un riadattamento di un tema degli Shadows: Palmas lo nobilita con eleganza filologica, facendo emergere il tratto nostalgico e cinematografico dell’impianto melodico-armonico. Una chiusura leggera e colta, che suggella il ciclo con un sorriso malinconico. «Tra le mie corde», Registrato nel 2024 in presa diretta, presso il teatro dell’Associazione Pauly di Monserrato, costituisce molto più di un’opera biografica o di un’antologia musicale: è un gesto poetico e assertivo, un atto di fedeltà a una visione del mondo in cui la musica diventa il linguaggio della dignità: «Ho sempre pensato che non ci sia niente di più triste che fare musica inseguendo le mode del momento e in funzione del mercato. Dunque, ben lontano dal procurarmi ferite da auto-tradimento, ho fatto ancora una volta quello che mi piace», afferma l’artista sardo. Attraverso una narrazione che rifugge l’agiografia, Mauro Palmas ci appare come un testimone del tempo, un artigiano dei suoni, capace di raccontare la Sardegna ed il Mediterraneo senza retorica ma con vibrante autenticità.

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