Intervista a Giannetto Marchettini. Il difficile impegno a promuovere musica e cultura contemporanea di qualità

0
Giannetto Marchettini sotto parte della sua collezione

Giannetto Marchettini

// di Valentina Voto //

Giannetto Marchettini è un imprenditore edile, ma forse è più noto al jazzofilo italiano per aver ricoperto la carica di Vicepresidente e di Presidente dell’Associazione Siena Jazz, probabilmente la più importante istituzione jazzistica italiana, legata al nome e alla visione del compianto Franco Caroni. Marchettini attualmente siede nel Consiglio d’Amministrazione dell’Accademia Musicale Chigiana, altra prestigiosa istituzione musicale della città di Siena. È altresì un collezionista musicale e si è anche occupato – come fa tuttora – dell’organizzazione di diversi festival e rassegne, quali il Lars Rock Fest e il Trasimeno Prog, a dimostrazione di un interesse a 360 gradi e di una passione forte e sincera per la musica tutta, ma anche per le altre arti.

D A bruciapelo e in tre parole, chi è Giannetto Marchettini?

R Uno che vive una doppia vita da oltre cinquant’anni – rubando continuamente i minuti all’una o all’altra –: la prima che si occupa professionalmente di costruzioni e di cantiere, la seconda che vibra per il mondo delle arti, di cui la musica è quella che dà le emozioni maggiori, ma è in buona compagnia insieme al teatro, all’arte contemporanea, la pittura, la scultura ecc.

D Quali sono le sue diverse vesti in campo artistico?

R Il campo artistico mi vede in primis come ascoltatore, conoscitore e curioso – cosa che sono stato fin da ragazzo – poi ha preso forza il mio lato di collezionista. Possiedo circa 6500 vinili, quasi 3500 Cd, e poi ogni forma di supporto, cassettine, 45 e 78 giri; ho anche quasi 1000 riviste musicali – partendo da il Re Nudo a Ciao 2001 fino naturalmente a Musica Jazz (cui sono tuttora abbonato e affezionato) – e poi locandine e biglietti di concerti. In aggiunta a tutto questo però, dal 2001 circa mi sono lasciato via via coinvolgere in aspetti della sfera artistica che fino ad allora non avevo mai approfondito o percorso, ovverosia quelli di organizzare, presiedere o partecipare a istituzioni musicali.

D Parlando degli inizi, quali sono i suoi primi ricordi della musica da bambino?

R Leggenda narra che andando al mercato con mia madre, a 12 anni, acquisto il 45 giri di Impressioni di settembre della PFM – disco che ovviamente conservo ancora oggi gelosamente –. Gli inizi dunque potremmo dire che sono legati al prog, un amore che tuttora mi è rimasto, quindi a Jethro Tull, Yes, Emerson, Lake & Palmer e agli italiani Banco del Mutuo Soccorso, PFM, Orme, così come ad altri meno noti, come i romani RRR.

D Come è arrivato invece al jazz?

R Io, che fin dall’inizio ero famoso per comprare dischi e spacciare cassettine ai miei amici, il jazz l’ho scoperto proprio attraverso un amico che era appassionato del genere e che nei primi anni Ottanta mi prestò un pacco di dischi “classici”: Coltrane, Mingus, Modern Jazz Quartet ecc. Io li ascoltai, ma in maniera – devo dire – superficiale, così che l’esito fu negativo e riconsegnai il pacco al mio amico dicendogli “Guarda, a me il jazz proprio non mi piace”. Lui mi fece “L’hai ascoltato?”. “Si!”. “Ma lo hai ascoltato come ascolti tutto il resto?”. “Beh…” “Ti invito a risentirlo, ma questa volta mettiti seduto e ascoltalo per bene”. Ecco, il secondo ascolto è stato fatale, e da lì ho iniziato un percorso che, attraverso i grandi del genere dal bepop in poi, ha fatto del jazz il mio compagno fisso di ascolti e di avventure. E non è stato certo secondario aver avuto la fortuna, vista la mia vicinanza a Perugia, di poter vedere sul palco di Umbria Jazz – raggiunta col motorino quando non avevo ancora la patente – Mingus, Rollins, Davis, Gil Evans con Sting, quindi anche Jarreau, Cab Calloway, Hancock, Jarrett, ecc. Essendo legato al mondo del rock, poi, non potevo non avvicinarmi alla fusion, e quindi a Weather Report, Zawinul, Metheny e a tutto quel mondo, fino ad arrivare oggi agli Snarky Puppy.

D Da collezionista, ci direbbe qual è il suo rapporto con il supporto fisico, il vinile in particolare?

R Ho sempre avuto questa attrazione fatale per il disco, mio oggetto del desiderio da sempre, fin da quando da ragazzetto chiedevo i soldi a mia mamma per acquistarne qualcuno nei negozi specializzati che all’epoca di certo non scarseggiavano. E ho sofferto intorno agli anni Novanta quando a un certo punto è arrivato il Cd. Ovviamente mi ci sono buttato, visto che era la grande novità, ma ho sofferto il fatto che i dischi abbiano dovuto cedere il passo e siano divenuti quasi qualcosa di cui vergognarsi, svenduti in blocco o dimenticati in magazzini stantii e polverosi. Io però, con fede, ho continuato a comprarli, e ho assistito in questi anni a una grande rivincita. È tornata come la necessità del vinile, il quale ha ormai una ben lunga vita e ha dimostrato un’ottima tenuta, rispetto alla vita e al successo tutto sommato effimero del Cd – tra l’altro soppiantato presto dall’Mp3 e della musica liquida.

D Qual è il fascino e la ragion d’essere del supporto fisico in un’epoca liquida com’è la nostra odierna?

R La musica liquida fa perdere o non fa sorgere l’interesse. Se io ad oggi ho maturato conoscenza, curiosità e interesse per la musica l’ho fatto proprio perché ho avuto la possibilità di avere tra le mani le copertine degli album, di leggerne le liner notes, di costruirmi un percorso cronologico di ascolto e di consapevolezza all’interno dei generi e della musica tutta, che desse un’idea degli sviluppi dei linguaggi, della loro carsicità, dei loro ritorni, delle loro intersezioni e filiazioni. Questi ragazzi con le loro playlist sono ascoltatori passivi, non sono in grado di distinguere criticamente o di collocare in un preciso contesto quello che ascoltano, quindi i tempi, i musicisti, i generi, le influenze, le contaminazioni e così via. Quando trovo qualche ragazzo un po’ più giovane che non ha avuto la fortuna che ho avuto io di poter ascoltare musica vera (e penso a quanto sarà sempre più difficile, con l’AI, arrivare a distinguere quali siano gli artisti e quali no), quando posso, cerco di mostrargli quanto è importante questa capacità di contestualizzare, e – cosa che mi interessa e affascina moltissimo – quanto non soltanto la storia abbia influenzato la musica ma anche la musica abbia influenzato la storia: penso a Woodstock, a figure come quella di Bob Marley, al free jazz (il quale, se giustamente collocato, potrebbe risultare ben più dolce all’ascolto), alla stessa nascita del jazz (o del punk o del grunge). È questo ciò che rende curiosi.

D Ci può parlare delle diverse associazioni di ambito artistico e musicale di cui fa e ha fatto parte? Cosa ci può dire in particolare di Siena Jazz e della sua esperienza al suo interno?

R Siena Jazz nasce nel 1977 dalla visione, dal coraggio e anche dalla follia di un gruppo di appassionati – siamo negli anni del Perigeo, degli Area, di Rava ecc. – quando in tutt’Italia se ne costituiscono tanti di questi piccoli club. Fra tutti c’è Franco Caroni, in origine un informatore farmaceutico appassionato di contrabbasso, che è folgorato dall’idea di far diventare una realtà formativa questa sua passione per il jazz e questo originario gruppo di amici che suonano. Da Associazione dunque, Siena Jazz è diventata un’Accademia e quindi una delle realtà più prestigiose del nostro panorama nazionale, nonostante in molti ne ignorino l’esistenza. Come persona che ha sempre vissuto la realtà non solo musicale ma anche economica della città di Siena, fin dal mio primo incontro con Franco Caroni è iniziato un percorso di amicizia durato fino all’anno scorso, quando un malore gli è stato fatale…

D Oltre all’attività didattica e ai seminari internazionali, fiore all’occhiello dell’Associazione è il Centro Studi Arrigo Polillo: ce ne vorrebbe parlare?

R Certo. Dopo la morte di Arrigo Polillo, figura fondamentale nel portare il jazz in Italia, la sua famiglia ha donato all’Associazione tutta la sua collezione di dischi, libri e riviste, e questo ho spinto poi numerosi altri importanti critici, appassionati e collezionisti a fare lo stesso. Tuttora continuano ad arrivare donazioni. Il Centro Studi conserva un tesoro di valore inestimabile: più di 60mila tra Cd, vinili e nastri, 45oo circa tra volumi e riviste, e molto altro. Io ovviamente da collezionista provo un interesse particolare per tutto questo. C’è perfino un jukebox di 78 giri che ancora funziona, e così altre chicche da collezionista e pezzi pregiati unici.

D Quando ha fatto per la prima volta il suo ingresso nel CdA di Siena Jazz e quali cariche ha ricoperto al suo interno?

R Nel CdA di Siena Jazz siede in primis il Comune di Siena con la maggioranza dei partecipanti, poi la Provincia e quindi l’Associazione Jazzistica con cui tutto è nato. Con una prima nomina che mi viene fatta nel 2014 dal sindaco di allora, ho fatto parte nel CdA fino al 2023, e in seguito ne sono stato il Vice-Presidente tra il 2018 e il 2021, quindi il Presidente nel biennio 2021-2023. Posso dire di aver vissuto vari momenti e passaggi, come il momento d’oro dei primi anni Duemila, in cui l’Associazione ha beneficiato delle tante risorse della Fondazione del Monte dei Paschi – e Caroni, che dopo il pensionamento aveva fatto di Siena Jazz la sua vita, ha saputo ben spendere i fondi stanziati, per es. con 20 aule attrezzatissime riservate all’attività formativa e didattica – ma anche anni più difficili. L’impegno è stato ingente e dopo quasi un decennio ho concluso la mia avventura, ma non ho davvero finito con l’Associazione, dato che continuo a collaborare e rimango sempre molto vicino all’Istituzione Siena Jazz. Come ho detto ai sindaci che mi avevano chiesto di proseguire, Siena Jazz necessitava di qualcuno che potesse dedicarvisi con più attenzione di me, che ho un’altra attività piuttosto pesante.

D Quali sono state le maggiori soddisfazioni?

R Sicuramente nel 2011 l’autorizzazione al rilascio di titoli per il conseguimento del diploma accademico di primo livello e nel 2018 il coronamento del sogno di Franco Caroni, con l’autorizzazione relativa al secondo livello e quindi la possibilità di offrire finalmente il percorso accademico nella sua interezza. Nonostante le difficoltà (e le contestazioni politiche di cui è stato oggetto Caroni) le soddisfazioni sono state grandi. Siena Jazz è una fucina di talenti che merita di essere raccontata, perché forma i musicisti che faranno la musica di domani, in Italia e all’estero.

D Ha finito, si fa per dire, con Siena Jazz ma ha continuato altrove…

R Sempre continuando a seguire quello che c’è dietro le istituzioni culturali, musicali e formative, un anno fa mi è stato chiesto di diventare membro del CdA dell’Accademia Musicale Chigiana, un’altra grandissima istituzione musicale. Così, da un anno a questa parte, ho il privilegio di seguire da dietro le attività dell’Accademia – anche se la musica classica non è proprio il mio genere, e non credo che lo diventerà! –. Anche la Chigiana ha sofferto moltissimo per la crisi della Monte dei Paschi, ma, come spesso capita laddove vengono meno i mezzi economici e come è stato Caroni per Siena Jazz, così la grande fortuna per la Chigiana è stata trovare Nicola Sani, ferrarese e direttore artistico del Teatro di Bologna, un musicista di straordinarie capacità e cultura musicale che ne ha risollevato le sorti, confermandone l’importanza nel panorama italiano. La frequentazione con Sani, che guarda alla musica a 360 gradi, dall’elettronica alla contemporanea al jazz, è per me un arricchimento e una spinta continua verso musiche che non conosco e che sento come meno immediate (non conosco Beethoven…conosco – e mi rilasso – con Frank Zappa!). Il concerto però dello scorso anno in Piazza del Campo, nato dalla collaborazione con la Filarmonica della Scala di Milano, ha dato anche a me emozioni fortissime, anche se continuo a preferire i concerti degli AC/DC o degli Iron Maiden, cui vado tuttora!

D Al rock però lei è legato non solo come ascoltatore appassionato ma anche come organizzatore… ci può dire qualcosa degli eventi e dei festival che ha contribuito e tuttora contribuisce a organizzare nell’ambito di questo genere?

R Nel 2012, nel comune in cui risiedo da sempre, un amico divenuto assessore mi chiama e mi chiede di dargli una mano per mettere in piedi un piccolo festival rock, quello che sarà poi il Lars Rock Fest. Io penso che mi voglia come sponsor e invece no, mi vuole come organizzatore, e per un festival da farsi a luglio per giunta! Il mese in cui vo ai concerti! A Umbria Jazz, Pistoia Blues, ecc.! “Ma quanti soldi abbiamo?” gli chiedo. “Pochissimi!”. Da lì però sono stato stimolato in quella che poteva essere una sfida, perché da un primo anno con pochi soldi e un piccolo palco, si è arrivati a oggi, in cui un festival molto particolare, gratuito, che ospita solo musicisti stranieri e presenta un rock di qualità ma non certo mainstream – dal post-punk a tutta la scena indie – è riuscito a convincere degli sponsor inizialmente diffidenti ed è arrivato a essere una realtà stabile e un punto di riferimento per gli appassionati di tutt’Italia, ospitando gruppi che hanno fatto la storia del genere – come i Wire, i Faust, i Gang of Four e molti altri – e così anche avvicinando e appassionando tanti giovani. Questo per dire che se uno vuol fare cultura musicale anche in un piccolo paese come Chiusi, ce la può fare.

D E di Trasimeno Prog cosa ci può dire?

R Per non farci mancare niente, lo fondo con qualche amico qualche anno fa, in Umbria. Il prog è come dicevo la prima musica cui mi sono avvicinato: ho amato i Van der Graaf Generator, gli Yes e tutti i nomi che ti ho fatto prima. Quello del progressive è poi un mondo che mi ha sempre affascinato, un club chiuso ad altri generi ed elitario, molti dei cui membri seguono solo questa “religione” – che forse oggi è alla fine del suo percorso – ma resiste ancora tra tanti appassionati, e un aspetto non secondario è che chi lo ama, di solito, e a differenza magari dei fan di altri generi, ha anche una certa capacità di spesa e quindi ancora acquista dischi, libri, riviste, in misura maggiore rispetto ad altri ascoltatori. Insomma, questo altro evento annuale, che si tiene presso la Rocca di Castiglione del Lago, ha permesso di far conoscere a tante persone giovani o meno i grandi protagonisti della storia del prog Italiano, quali la PFM, le Orme, i New Trolls, il Banco e tanti altri, esponenti di un genere che in Italia in passato ha avuto grandissima attenzione, e l’appuntamento richiama gente da tutta la penisola. Quest’anno poi avremo David Cross (il mitico violinista dei King Crimson) con la sua band…Se penso però alla contemporaneità nel jazz la situazione è ben diversa.

D Cosa pensa della scena jazz contemporanea?

R A differenza per esempio del prog, che forse non ha saputo evolversi, la scena jazz la trovo in forma smagliante – e la seguo con grande apprezzamento – grazie a tutte le influenze e contaminazioni che spesso mi hanno portato a scontrarmi bonariamente con Franco Caroni, quando, a mo’ di scherzosa provocazione, gli facevo i nomi di questa nuova ondata di musicisti, da Kendrick Lamar a Kamasi Washington… possiamo definire Epic un disco jazz? Forse no, ma mi piace comunque tantissimo (Kamasi poi lo ho visto anche già due o tre volte a Perugia). Io ero anche innamorato di Jaimie Branch, morta purtroppo troppo giovane: mi davano tantissima emozione la sua tromba e i suoi dischi, su tutti Fly or Die, bellissimo…tra gli italiani invece, su due piedi, mi vengono in mente Andrea Grossi con Blend 3, Simone Graziano e tutti i nuovi pronti a contaminarsi.

D In questo clima di grande apertura si pone anche la recente nomina del nuovo direttore didattico-artistico di Siena Jazz…

R Sì, recentemente è stato nominato come nuovo direttore artistico e didattico Francesco Bigoni, ex studente di Siena Jazz che ora sta in Danimarca e la cui nomina è frutto di una scelta importantissima, non solo perché è un’ottima persona, ma anche perché possiede una cultura e un’apertura tali da poter assicurare una conduzione importante all’Accademia. Il Siena Jazz infatti vive sì grazie agli studenti che si iscrivono ai corsi, ma soprattutto grazie a chi viene da tutto il mondo per frequentare i seminari internazionali; è importante perciò non solo che l’Accademia mantenga la rigorosità delle basi dell’insegnamento del jazz, ma anche che si apra alla contaminazione, così da poter attrarre anche il giovane ventenne di oggi i cui ascolti sono molto contaminati e influenzati dall’hip-hop, dall’elettronica ecc. e la cui famiglia spende per i corsi accademici di Siena Jazz o per l’esperienza bellissima dei seminari internazionali.

D In ultimo vorrei chiederle: è vero il luogo comune secondo cui “con la cultura non si mangia”? Oppure può essere vero il contrario? E cosa pensa dell’attuale situazione in cui versa la cultura italiana, di cui la classica, il jazz, il rock fanno parte? Quale dovrebbe essere il ruolo delle istituzioni? Cosa potrebbero fare di più e meglio?

R Eh, questa è una domandaccia…Oggi probabilmente, dove esistono i grandi finanziamenti, il settore della lirica e della musica classica – in qualche maniera e grazie al nostro retaggio italiano – ha più possibilità, mentre il resto della musica – non sanremese o mainstream! – continua a essere svantaggiata. Non ricordo il nome del Ministro che ha detto che al jazz non avrebbe dato niente perché non era musica italiana: clamoroso, anche a fronte dell’importanza della scuola jazzistica italiana, che va avanti sempre e comunque con grandissima dignità. Le preclusioni che ha il jazz sono evidenti… stando alla mia esperienza ciò che è difficile quando si ha a che fare con la politica è far cogliere al ministro, al presidente di regione o all’assessore di turno l’obiettivo culturale, quindi anche far capire il bisogno di intercettare la contemporaneità senza essere “pop” a tutti i costi. Quando si riesce a far capire questo, nel tempo, le soddisfazioni arrivano (come è stato per il Lars Rock a Chiusi per es.). Io, che pure faccio l’attività di imprenditore occupandomi di costruzioni in territori come il senese e il perugino che brillano per la bellezza delle loro città e dei loro casali, quando cerco di coinvolgere gli sponsor cerco di spiegar loro che fare attività culturale è un grande e vero arricchimento per il territorio. Per questo bisogna invitare loro e (ovviamente) le amministrazioni a fare scelte coraggiose e nuove, e bisogna raccontare che farle è possibile. Perché dalle proposte di qualità nascono le soddisfazioni maggiori e da qui, certo, viene anche il ritorno economico. La maggiore difficoltà con le amministrazioni è quella di farle ragionare sul medio e sul lungo termine, sul seminare qualcosa i cui frutti potrebbero anche essere colti da chi verrà dopo. Ma è impagabile la bellezza di contribuire a produrre qualcosa che poi sarà di beneficio per tanti altri.

Giannetto Marchettini / Siena Jazz

0 Condivisioni

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *