Eugenia Canale Rebus Quartet con «Turandot»: Puccini, il jazz e l’arte di decodificare l’invisibile (Abeat Records, 2025)

La scelta di un progetto totalmente strumentale consente di esaltare la forza espressiva delle partiture pucciniane, sula scorta di un amalgama di elementi molteplici: swing, bebop, jazz contemporaneo con venature progressive e ampie spazi per l’improvvisazione, creando un caleidoscopio di stili che riflettono la varietà espressiva dell’opera originale.
// di Francesco Cataldo Verrina //
Nella centenaria storia del jazz, il cosiddetto American Song Book è stato sistematicamente «devastato» e preso d’assalto, facendo assurgere a standard del vernacolo jazzistico numerosi classici della canzone popolare americana. Facendo un largo giro d’orizzonte, ci rendiamo conto di quanto potrebbe essere congeniale per una rilettura di natura jazzistica tutto il giacimento aureo dell’opera lirica italiana, ma perfino della canzonetta leggera, fino a spingersi sul crinale della musica cantautorale, tanto da poter costituire una sorta di Great Italian Song Book ad uso e consumo dei jazzisti nostrani. Non è che nel corso dei decenni siano mancati i tentativi, ma sovente si sono limitati alla singola scelta di un tema o di un’aria operistica, senza una vera organicità. «Turandot» di Eugenia Canale, pubblicato dalla Abeat records, propone una rilettura sui generis e contemporanea dell’ultima opera di Giacomo Puccini, di fronte al quale – con il dovuto rispetto – non ci sono autori americani che tengano. Non tanto per la pregnanza di soluzioni melodico-armoniche presenti nella scrittura del musicista lucchese, ma per la sua attualità: si pensi alla sensibilità nell’inquadrare ed indagare l’animo femminile, ad esempio. La modernità di Puccini, nel saper parlare al nostro tempo, viene intercettata sincreticamente da Eugenia Canale e dal suo Rebus Quartet. Nondimeno in Puccini sono numerosi gli aspetti che ne sanciscono la permanenza nell’hic et nunc contemporaneo, grazie ad una poetica, in cui il naturalismo tanto in voga, si salda con una spiccata vena melodica e alla sensibilità verso le correnti culturali che abitavano il suo tempo, soprattutto le avanguardie: basti pensare ad autori rappresentativi come Arnold Schönberg o Claude Debussy, che il musicista toscano aveva ascoltato con interesse, traendone un’ispirazione utile alla sua composizione.
Eugenia Canale, già affermata pianista, compositrice e arrangiatrice, si distingue per la sua capacità di fondere differenti moduli espressivi. «Turandot» rappresenta un ulteriore passo verso la definizione di un linguaggio personale calibrato e distintivo per audacia ed ispirazione. La rilettura delle carte pucciniane evidenzia una marcata conoscenza di materiali complessi, affrontati con un approccio rispettoso ma innovativo. Accompagnata da Achille Succi al sax alto e clarinetto basso, Tito Mangialajo Rantzer al contrabbasso e Roberto Paglieri alla batteria, Eugenia delinea cum grano salis un percorso musicale fitto di sfumature e cromatismi a tinte mutevoli. La scelta di un progetto totalmente strumentale consente di esaltare la forza espressiva della partiture pucciniane, sula scorta di un amalgama di elementi molteplici: swing, bebop, jazz contemporaneo con venature progressive e ampie spazi per l’improvvisazione, creando un caleidoscopio di stili che riflettono la varietà espressiva dell’opera originale. L’album inizia con le iconiche note del Primo Atto e si conclude con la commovente Morte di Liù, un climax di forte impatto emotivo e simbolico del capolavoro del compositore lucchese, che qui viene ripensato, ma non distorto, attraverso una lente jazzistica. Nelle note di copertina dell’album, la Canale descrive il suo omaggio a Turandot come una «trasfigurazione», la quale mira a rivelare la modernità di un’opera «che insegna l’arte di decodificare l’invisibile». Il nome del gruppo, Rebus Quartet, ricorre ad una simbologia pertinente, richiamando l’idea di enigmi e significati più reconditi, fattori intrinsecamente legati alla tradizione operistica ed al portato pucciniano. La validità dell’opera viene ulteriormente accentuata dall’essere collocata in un diverso contesto temporale e strumentale. Va detto che «Turandot» rappresenta l’unico melodramma pucciniano calato in un’ambientazione fantastica, la cui azione – come si legge nella partitura originaria – si svolge «al tempo delle favole», dove l’esotismo è la forma stessa del dramma e la Cina diventa una sorta di regno del sogno e dell’eros.
L’album si apre con, «Popolo di Pekino!» una rivisitazione sinestetica del’ouverture pucciniana. Il quartetto gioca con il dinamismo armonico, generando un’atmosfera teatrale e intensa, con il sax di Achille Succi che imprime un senso di mistero. «Gira la cote!» è un infuso emotivo cadenzato ed ipnotico, quasi funkified a vocazione fusion. «Nuda perla ch’altera / Là sui monti dell’Est», su cui appone la firma anche Eugenia, è un vero rebus musicale, dove il gruppo esplora sonorità contemporanee, mescolando jazz, prog e accenni di musica elettronica. Una traccia sperimentale che dilata lo spettro dell’intero album. «Non piangere, Liù!», il singolo anticipatore del disco, si distingue per la sua emotività. Il pianoforte di Eugenia Canale guida la narrazione, mentre la sezione ritmica accompagna con sensibilità e trasporto, lasciando spazio a momenti di grande lirismo. «Olà, Pang! Olà, Pong!» solennizza il costrutto sonoro, mentre il quartetto esalta la melodia con una struttura progressiva ed una costruzione zebrata che attraversa più livelli emotivi. «Gravi, enormi ed imponenti» ha le sembianze di una danza scanzonata e marciante con qualche reminiscenza hard bop. «Straniero, ascolta! Rebus», ancora con la firma della Canale vicina a quella di Puccini, è una progressione rapsodica in crescendo ammannita con un alto gradiente melodico. «Nessun dorma!» rappresenta forse una delle sfide più ambiziose del disco. Il celebre tema viene trasformato in una perifrasi jazzistica, con variazioni armoniche inaspettate che rendono omaggio alla potenza dell’originale, senza mai snaturarla. Il contrabbasso di Tito Mangialajo Rantzer costruisce un senso di tensione, mentre il pianoforte racconta la tragedia di Liù con delicatezza. «Tu che di gel sei cinta» suggella l’album, esaltando la capacità espressiva del quartetto, con una rilettura minimale ed evocativa. Il progetto «Turandot» nato nel 2024, in occasione del centenario dalla scomparsa del compositore, su invito da parte del Festival MutaMenti di Massa Carrara, non è solo un’ode sincera alla tradizione pucciniana, ma anche l’affermazione dell’estetica jazzistica contemporanea e delle sue infinite possibilità di esplorazione. Sul piano personale, Eugenia Canale non soltanto si conferma come una delle voci più consapevoli del nuovo jazz italiano, ma contribuisce significativamente al dialogo fra classicità ed innovazione, concatenando il passato ed il presente dell’idioma jazzistico sempre in continuo subbuglio.
