Vladimir Kostadinović: «stortezza» e asperità, al servizio della musica, nel disco «Iris»

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IRIS

…disco che orbita attorno al contemporary jazz, fra metriche dispari, poliritmia e polimetria, è un lavoro in cui tutti gli ingredienti musicali contribuiscono alla realizzazione di un «piatto» prelibato.

//di Stefano Dentice //

A volte, probabilmente in modo troppo approssimativo e financo errato, quando un cultore del jazz ascolta dischi o vede concerti dove i musicisti suonano con uno stile particolarmente complesso, articolato, figlio di un’ardita ricerca espressiva volta a corroborare la propria identità artistica, vengono subito bollati come jazzisti esageratamente «ostici», addirittura quasi impossibili da comprendere. In realtà, non è esattamente così. Perché non esiste una regola scritta mirata a certificare la bellezza di una composizione in base alla sua «orecchiabilità» o immediatezza all’ascolto.

Ed ecco che, proprio in virtù di questa considerazione, la nuova creatura discografica del batterista jazz e compositore Vladimir Kostadinović, intitolata «Iris», pubblicata dalla prestigiosa etichetta Criss Cross Jazz, è un fulgido esempio di come brani non proprio di facilissimo appeal, quantomeno al primo ascolto, non debbano necessariamente risultare appunto ostici e, di conseguenza, difficilmente comprensibili. Questo perché quando il tutto viene posto solo ed esclusivamente al servizio della musica, dell’autenticità comunicativa, della purezza interpretativa, non c’è complessità che tenga. A condividere questa nuova avventura con Kostadinović, sei nomi altisonanti del jazz mondiale: Alex Sipiagin alla tromba, Ben Wendel al sax, Joe Locke al vibrafono, Geoffrey Keezer al pianoforte e al Fender Rhodes, Matt Brewer al contrabbasso e il guest Chris Potter al sax in due brani («Iris» e «The World Keeps Ending and The World Keeps Going On»). Sette i brani di cui consta la tracklist, cinque scaturiti dall’ispirata vena compositiva del batterista, mentre «Is There a Heart in This House?» (Joe Locke) e «Airegin» (Sonny Rollins, arrangiamento di Joe Locke) completano l’album. Batterista fra i più talentuosi del panorama jazzistico internazionale, dalla fervida creatività ritmica, notevole energia, feeling ed eccellente padronanza strumentale, Vladimir Kostadinović ha calcato i palchi più prestigiosi del mondo e condiviso lo studio di registrazione insieme a numerosi musicisti di prima grandezza, come Benny Golson, George Garzone, Gregory Porter, Antonio Faraò, Charles Tolliver, David Kikoski, Chico Freeman, Seamus Blake, Kevin Hays, Jim Rotondi, Till Brönner, Dominique Di Piazza, Mike Moreno, Jonathan Kreisberg, Didier Lockwood, solo per elencarne alcuni. Invece, per ciò che concerne la sua attività discografica, «Iris» (da leader) è un lavoro appena uscito.

«Unborn Child» (Vladimir Kostadinović), specialmente per il tema, è una composizione dal mood lunare. L’eloquio di Ben Wendel è intenso, energico, intriso di abbacinante musicalità e impreziosito da un fraseggio torrenziale, a tratti molto serrato, ricco di brillanti idee armoniche ed enfatizzato dal comping incalzante, policromatico e assai stimolante cesellato dal batterista. Joe Locke dà vita a un discorso improvvisativo luminoso, spigliato, denso di comunicativa e supportato da una formidabile padronanza dello strumento. L’elocuzione di Geoffrey Keezer è sanguigna, dalle accentuate colorazioni postboppistiche, pregna di illuminanti virate nell’out playing che aumentano sensibilmente il livello di tensione; anche dal punto di vista armonico. Il clima di «Echoes in Eternity» (Vladimir Kostadinović), soprattutto nelle prime misure, appare misterioso. Alex Sipiagin si esprime attraverso un «solo» icastico, cantabile, quasi sacrale, dall’alto senso estetico. «Collectors of Emotions» (Vladimir Kostadinović) è un brano che desta l’attenzione fin dalle prime battute, specie per la bellezza delle sonorità. Wendel, da par suo, è impetuoso, fascinoso quando si imbatte in intriganti escursioni nei vari registri della palette del suo sassofono e in vertiginosi cromatismi da cardiopalma, sempre sollecitato dal vigoroso e prorompente drumming di Kostadinović. Sulla stessa falsa riga, Geoffrey Keezer (al Fender Rhodes) concepisce un assolo verace, pieno di progressioni adrenaliniche, ipnotiche e di intarsi sincopati di pregevole fattura. «Iris», disco che orbita attorno al contemporary jazz, fra metriche dispari, poliritmia e polimetria, è un lavoro in cui tutti gli ingredienti musicali contribuiscono alla realizzazione di un «piatto» prelibato, dove l’eccezionale abilità tecnica di Vladimir Kostadinović e dei suoi partner non è mai autoreferenziale. Ma messa al servizio della musica con rispetto, intelligenza ed enorme consapevolezza.

Vladimir Kostadinović

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