Gerry Mulligan con «Nocturne», l’inedito doppio vinile che riaccende i riflettori su una delle figure più emblematiche del jazz moderno (Red Records, 2025)

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Il 2 aprile del 1992, nella sua performance bolognese live in quartetto, il baritonista sfogliò la parte migliore del suo catalogo compositivo ed esecutivo, qui rappresentata da dieci brani da lui scritti con l’aggiunta di due standard.

// di Francesco Cataldo Verrina //

Di certo non possiamo che inchinarci di fronte all’opera meritoria della Red Records di Marco Pennisi che, tra ristampe ed inediti, sta riaccendendo i riflettori sul grande jazz del Novecento. Quando Gerry Mulligan registrò il materiale contenuto in «Nocturne», aveva percorso tappe importanti della sua storia, passando indenne tra vicissitudini artistiche e personali. Il 2 aprile del 1992, nella sua performance bolognese live in quartetto, il baritonista sfogliò la parte migliore del suo catalogo compositivo ed esecutivo, qui rappresentata da dieci brani da lui scritti con l’aggiunta di due standard.

Dopo una serie di relazioni personali con donne che avevano sempre condizionato la sua esistenza, non sempre positivamente, Mulligan, da tempo, aveva trovato un’ancora di salvezza proprio in Italia, legandosi sentimentalmente alla Contessa Franca Rota Borghini Baldovinetti, donna di carattere, con un atteggiamento diverso dal suo: la nobildonna era molto realista, ottimista e pragmatica, del tipo «se vuoi fare qualcosa, allora, fatti avanti e fallo». Dal canto suo, Mulligan confessò: «Io ero arrivato al punto di non riuscire più ad affrontare i rapporti con gli agenti e i promoters. L’intera scena era diventata qualcosa che non riuscivo a gestire». Franca prese in mano la gestione della vita di Mulligan. Del resto nonostante il successo planetario, Gerry Mulligan era stato un musicista unico ed a tratti atipico, un perfetto raccordo tra un bop moderato ed una forma di cool jazz, sovente legato alle istanze del cosiddetto West Coast Jazz. Scorrendo, però, la sua nutrita discografia, ci accorgiamo che il baritonista non ha mai nascosto la sua innata blackness e la naturale inclinazione a misurarsi ad armi pari con la nomenclatura del jazz afro-americano del dopoguerra: celebri i suoi duetti, ma soprattutto è facile constatare che nelle sue opere, al netto della tipologia di ensemble, non c’è mai una netta separazione fra i vari stilemi jazzistici. Il sassofonista newyorkese è stato uno dei pochi bianchi entrato nell’empireo del jazz del Novecento ed universalmente accettato, soprattutto, all’unanimità, gli si riconosce una sorta di unicità e di dominio assoluto su uno strumento ingombrante come il sax baritono, che Gerry suonava con estrema leggerezza e naturalezza; perfetto conoscitore dell’armonia e fine arrangiatore, egli riusciva a stare musicalmente al fianco di chiunque, mentre la sua destrezza nel suonare, quale conseguenza dei trascorsi pianistici, apriva opportunità infinite al suo voluminoso sax.

Come è possibile evincere anche dall’album «Nocturne», Mulligan aveva un tono dolce e fluente, era un musicista serio, garbato che non amava l’eccessiva dissertazione critica sulla musica jazz, che a suo modo di vedere, poteva rovinare l’esperienza dell»ascolto: «Le persone che parlano molto di jazz – questo potrebbe essere il problema di base – non sembrano divertirsi nell’ascoltarlo. Mi sembra che tutto il super-intellettualismo sulla tecnica, la mancanza di risposta all’emozione e al vero significato del jazz stiano rovinando il divertimento sia per gli ascoltatori che per i musicisti». La sua osservazione, per quanto di parte, potrebbe essere condivisibile, poiché il baritonista fu spesso vittima di categorizzazioni nette e schematiche, come ad esempio quella che sosteneva avesse catturato il suono della costa occidentale e quel particolare tipo di impostazione ritmica, soprattutto di esserne uno dei maggiori propulsori, etichetta che lo stesso Mulligan sconfessò dopo qualche tempo. Qualcuno lo indicava come un sostenitore, insieme a Warne Marsh ed altri, delle teorie della scuola di Tristano, secondo cui la sezione ritmica dovesse dettare un tempo costante lasciando all’improvvisatore di turno il compito di muoversi liberamente. Sicuramente, quando negli anni Novanta, il sassofonista registro le tracce incluse in «Nocturne» era considerato un un luminare del jazz ed una figura di riferimento conclamata ed acclamata a vari livelli: estetico, strumentale e compositivo.

Volendo ragionare per paradossi, diciamo che il successo di un musicista, a volte, potrebbe essere direttamente proporzionale al peso dello strumento che si trascina dietro. In fondo pur nella sua parabola artistica, non immune da alti e bassi, Gerry Mulligan fu una sorta di predestinato. Gerald Joseph «Gerry» Mulligan, detto anche «Jeru,» nasce a New York, il 6 aprile 1927. Gerry cresce in una famiglia tradizionale con un padre autoritario, il quale pretendeva che i suoi figli diventassero ingegneri. Il giovane Jeru, musicalmente autodidatta, lasciò presto gli studi per aggregarsi ad un’orchestra, divenendo negli anni un brillante arrangiatore ed un superbo sassofonista baritono. La sua determinante partecipazione al «Birth Of The Cool», consegnò immediatamente il musicista newyorkese alla storia. Oggi ex-post possiamo affermare che l’incontro con Miles Davis, fu per Gerry Mulligan, al netto della sua genialità, un passaporto per le stelle che consente tutt’ora al suo personaggio di viaggiare metaforicamente all’interno della storia del jazz, più di ogni sua altra avventura discografica o concertistica: «Sono stato fortunato a trovarmi nel posto giusto al momento giusto per far parte della Miles Band. – Confermò Mulligan – A quel tempo ero già nel giro da un paio d’anni con varie formazioni, ma incoraggiato da Gil Evans decisi di rimanere a New York. Con tutte le band che c’erano all’epoca, grandi e piccole, il momento risultava fortemente stimolante dal punto di vista musicale e tutti sembravano gravitare nell’open space di Gil. Tutti influenzavano tutti, mentre Charlie Parker era l’influencer numero uno per tutti noi». In quegli anni, Charlie Parker e Dizzy Gillespie rimodulavano il sistema relazionale fra i musicisti mettendo al bando le vecchie regole sintattiche del jazz ed operando una revisione del vernacolo tradizionale, attraverso differenti stili armonici ed inedite regole d’ingaggio. Qualche tempo dopo, Mulligan cedette alle lusinghe dell’eroina, ma una certa Gail Madden cercò il baritonista per aiutarlo a superare la dipendenza. Era una giovane art director che sognava di allestire un gruppo di «ricerca creativa», sperando di utilizzare Max Roach, George Wallington e Mulligan, il quale raccontò di lei come di una donna straordinaria, avanti anni luce rispetto al suo tempo, la quale utilizzava il «condizionamento del sonno» e che, alla fine, lo guarì perfino dalla depressione.

Durante le crescenti tensioni razziali degli anni Sessanta, Mulligan espresse il suo risentimento per il fatto che i musicisti jazz bianchi non venissero trattati equamente: «C’erano ragazzi neri, nuovi sulla scena che stavano riscuotendo un certo interesse. Credo che, a loro modo, stessero ottenendo un successo commerciale maggiore del mio, perché vendevano molti più dischi ed erano richiesti. Questi giovani mi evitavano come la peste senza nemmeno conoscermi. Una volta Dizzy cercò di spiegarmi che, secondo lui, era dovuto al fatto che io fossi stato accettato dai leader e dalle persone importanti delle generazioni precedenti, come Duke Ellington e Count Basie». Mulligan non ebbe mai un buon ricordo di quel periodo: «Gli anni ’60 furono poco attraenti per me. Vidi la totale frammentazione della scena e l’allontanamento fra le persone importanti che avevano fatto la storia del jazz fino a quel momento. Questa situazione andò avanti per tutti gli anni Sessanta e credo fosse ancora peggio negli anni Settanta. Non era sempre molto comodo essere un musicista jazz bianco. Siamo stati, in un certo senso, cancellati dalla storia sia dai critici e dagli scrittori bianchi che dagli scrittori neri». Fortunatamente, il tempo guarisce tutti mali e Mulligan, a partire degli anni ’80, riprese a risalire la china attraverso una serie interminabile di collaborazioni a vari livelli, anche in Italia: ricordiamo, ad esempio, quella con Enrico Intra. Come già accennato, quando il baritonista in quartetto fissò su nastro le takes di «Nocturne» era una vera autorità in campo jazzistico e tutte le sue uscite costituivano un evento. Per questo ed altri motivi, il doppio vinile pubblicato dalla Red Records assume una notevole valenza, sia sul piano musicale ed esecutivo che dal punto di vista storico. Per l’occasione, Mulligan al sax baritono fu accompagnato da Harold Danko al pianoforte, Dean Johnson al basso e Ron Vincent alla batteria, ribaltando una sua più tradizionale visione del jazz che lo aveva visto sempre protagonista in piccoli combo pianoless.

L’album si apre con «The Flying Scottsman», che smentisce chiunque abbia mai pensato che Mulligan fosse un musicista «freddo», sei minuti giocati su una perifrasi bebop a grande velocità e con ornamenti di riff perforanti e cambi di passo, in cui Gerry insiste spesso sul registro alto dello strumento, mentre la retroguardia lo incoraggia non facendo prigionieri. «Lonesome Booulevard», contenuta nell’omino album del 1990, in cui Mulligan ripropone un decadente, ma intrigante atmosfera da jazz orchestrale anni Trenta, coadiuvato da un piano che a tratti si muove su un terreno quasi stride. In «Curtains», sempre dall’album del 1990, in risorge l’anima del Mulligan balladeer, che fa del sax un’arma di seduzione di massa, mentre il costrutto sonoro mostra delle impennate ricche di moderato swing, a cui basso e pianoforte aggiungono cromatismi ed ornamenti accordali. La B-side si apre con uno dei brand di casa Mulligan, «Line For Lyons», riportata in auge con stile ed eleganza, ma sempre fedele alla partitura originale – per la serie squadra vincente non si cambia – sebbene nella fase improvvisativa il baritonista, seguito a ruota dei sodali, si conceda qualche digressione. «My Funny Valentine», nel suo afflato notturno, diventa un coacervo di emozioni che si sciolgono sotto la campana del baritono, senza che nessuno abbia a rimpiangere la tromba di Chet Baker, suo compagno di merende in qualche lontana stagione della vita. «A Gift For Dizzy», un rotolante bop scandito con moderazione, che si trasforma davvero in un regalo per le orecchie degli astanti, con il suo surplus melodico a facile combustione ed un ottima retroguardia che innesca il racconto del band-leader, vergato quasi attraverso in un rapsodico crescendo. Un omaggio sincero all’amico Gillespie, con il quale il baritonista newyorkese aveva avuto sempre un certo feeling. La C-side si apre con «Take The ‘A’ Train» di Duke Ellingnton, in cui il baritonista plasma tutto il suo amore per il jazz orchestrale, condensandone tutte le caratteristiche in piccolo combo a quattro, il quale esprime le infinite sfumature cromatiche di un grande ensemble, merito del pianoforte di Danko e del basso di Johnson che si associano a «delinquere» all’idea di Mulligan, mentre il kit percussivo di Ron Vincent ne controlla il flusso armonico. «Out Back Of The Barn», scritto da Mulligan nel 1976, è tecnicamente un componimento bluesy bump and grind in 12/8, spalmato su quasi dieci minuti di performance, che il quartetto rievoca con fare disinibito e scanzonato, dove il segreto sta proprio nel continuo botta e risposta tipico del blues fra gli strumenti. «Midas Lives», sempre a firma Mulligan, è una una piccola quiete dopo la tempesta, un ballata febbrile ed appassionata, sicuramente una delle più riuscite versioni live, fra le tante eseguite dal sassofonista nel corso degli anni.

Il quarto lato dell’album rompe gli indugi con «Song For Strayhorn», un’altra magica ode dedicata da Gerry a uno dei suoi autori di riferimento. Costruita come un classico standard, la composizione assume le sembianze di un’avvolgente ballata dal gusto retro e dall’ambientazione fumée, in cui baritono e pianoforte condividono il plot narrativo. «Sun On Stars», con il suo ostinato riff melodico che si conficca subito nelle meningi del fruitore, è da sempre una delle più brillanti elocuzioni di Mulligan, in qualsiasi formato ed in qualunque situazione: nel concerto Bolognese racchiuso nell’album, non è da meno. In chiusura, last but not least, «Walking Shoes» che, con il consolidato blues in botta e risposta, Mulligan riconferma il proprio status di figura prominente del jazz mondiale. Per anni, durante i suoi soggiorni italiani, le cose procedettero senza attrito alcuno, un gruppo dopo l’altro, tutti basati sull’idea semplice del quartetto ludico finalizzato all’intrattenimento e mai alla sperimentazione: pianoforte, basso, batteria e sax baritono. A livello di composizione, come ben rappresentato da questo inedito doppio album in vinile, la musica di Mulligan rimase chiara, originale e priva di esoterismi di sorta. L’uso del contrappunto e i suoi arrangiamenti lineari e facilmente intellegibili influenzano a tutt’oggi un certo tipo di scrittura per orchestra. Duke Ellington ne riconobbe subito la bravura, soprattutto per aver elevato il sassofono baritono a voce solista, facendone uno strumento di prima linea. Al netto di ogni considerazione tecnica, «Nocturne» è un album (doppio) da mettere subito sul vostro giradischi o da aggiungere immediatamente alla vostra wishing list.

2 thoughts on “Gerry Mulligan con «Nocturne», l’inedito doppio vinile che riaccende i riflettori su una delle figure più emblematiche del jazz moderno (Red Records, 2025)

  1. Che non ci sia il disco che ho realizzato con Mulligan è una dimenticanza che non offende soltanto il sottoscritto ma soprattutto la Storia.Per favore che qualcuno intervenga.Grazie Enrico Intra

    1. Nella recensione c’è un passaggio ben preciso che dice: “Fortunatamente, il tempo guarisce tutti mali e Mulligan, a partire degli anni ’80, riprese a risalire la china attraverso una serie interminabile di collaborazioni a vari livelli, anche in Italia: ricordiamo, ad esempio, quella con Enrico Intra.
      Il dsico di cui lei parla è presente nel nostro archivio…
      Enrico Intra & Gerry Mulligan con «Gerry Mulligan Meets Enrico Intra», un capolavoro mondiale partito dall’Italia, 1975
      https://doppiojazz.it/wp/2025/04/13/enrico-intra-gerry-mulligan-con-gerry-mulligan-meets-enrico-intra-un-capolavoro-mondiale-partito-dallitalia-1975/

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