«Finally» di Domenico Santaniello, le forme molteplici di un jazz senza tempo (Caligola Records, 2025)

...i quattro sodali agiscono come pennelli su un tela multicromatica, disegnando le forme molteplici di un jazz senza tempo, attraverso un impianto tematico, il quale si dipana su una serie di melodie a presa rapida, che si susseguono quasi in progressione, innestate su un corredo ritmo-armonico immediato, ma non prevedibile.
// di Francesco Cataldo Verrina //
Tutti quei lavori in cui il band-leader è un contrabbassista si muovono su un terreno assai fertile e ricettivo all’apporto sostanziale ed inventivo dei compagni di viaggio, basato su un interplay dinamico e non vincolato a uno strumento di prima linea al comando. Il contrabbassista titolare dell’impresa è consapevole che deve spalancare le ali alla libertà espressiva dei sidemen se intende portare al termine il suo mandato con successo Per rispettare l’incarico assunto, egli necessita di collaboratori fidati, ma soprattutto di complicità e di affinità elettive, al fine di dare forma e sostanza al progetto.
«Finally» di Domenico Santaniello, edito dalla Caligola Records, non sfugge a determinate dinamiche e regole d’ingaggio, dove, grazie ad una gerarchia strumentale non imposta, tutto sembra fluire in maniera più agile e scorrevole, mentre la progressiva costruzione dell’habitat sonoro risulta meno prevedibile e legata ad una figura dominante. Sia ben chiaro, l’album in oggetto è un creatura del contrabbassista napoletano a tutti gli effetti di legge e figlio della sua estrosità musicale, soprattutto sul piano morale, ispirativo e compositivo, ad eccezione di alcuni preziosi standard assolutamente non scontati. Per contro, il modus agendi di Santaniello ripone molto sulla sinergia di gruppo e sul contributo dei singoli musicisti, i quali ne hanno condiviso la progettualità: Alfonso Deidda sax alto, Marcello Tonolo pianoforte e l’australiano Adam Pache batteria. «Finally» rappresenta anche una sorta di «urlo liberatorio» da parte del musicista partenopeo, come dire: «finalmente!». Poliedrico, di grande esperienza, dalla spiccata musicalità e capace di spaziare con disinvoltura fra svariati generi musicali, Santaniello annovera numerose collaborazioni di assoluto prestigio strette nell’arco della sua lodevole carriera. Così, dopo oltre vent’anni di rispettabile attività per conto terzi, sia nell’ambito jazzistico che in quello contiguo alle musiche del Sud del mondo, il contrabbassista ha realizza il suo primo album da band-leader. Le composizioni autorali contenute nel disco sono tutte di recente conio. Santaniello e soci danno, così, vita ad un discorso improvvisativo icastico ma al contempo carico di nerbo comunicativo, che non distoglie o allontana quasi mai il fruitore dalla familiarità del jazz e del suo potere di coinvolgimento emozionale.
L’opener si apre con «A Song For Vanni», che sembra una summa di vari stilemi jazzistici ben concatenati ed amalgamati, i quali spaziano dal un cool jazz rigenerato ad un post bop di elevata qualità espositiva e declinato con espansiva tranquillità. Dopo il tema annunciato dal titolare dell’impresa, è l’elocuzione del contralto di Deidda che, impreziosita da un suono netto, tornito e calibrato sul sistema accordale fornito dalla retroguardia, diventa una perfetta arma di seduzione di massa. «Three» è un devoto sacrificio sull’altare di Thelonious Monk, caratterizzato dal piano abrasivo e volutamente scomposto di Tonolo, in cui la matrice idiomatica risulta fluida, efficace ed estremamente convincente. Da non sottovalutare il brillante gioco di poliritmie proveniente dal kit percussivo dell’australiano. «Danny Boy» è un’antica romanza irlandese, restituita al mondo degli uomini sotto forma di lunga perifrasi per solo contrabbasso, in maniera alquanto inventiva e adornata da interessanti intarsi armonici. «Manuè» ha una struttura politematica e multistrato, fatta di numerose soluzioni melodiche che s’inseguono in maniera circolare, si distaccano e si allontanano per poi tornare al nucleo gravitazionale dell’idea di partenza.
«Tipsy Topsy», a firma Tonolo, viene eseguita eseguito in trio, mentre il sax di Deidda rimane in stand-by. «JFP III» è un’ode alla memoria di Jaco Pastorius, una trama sotterranea di vibrazioni fumée e nostalgiche che si risolvono in piccolo crescendo melodico tenuto in superficie dalla retroguardia ritmica, mentre il sax si strugge, quasi in maniera teatrale tra patimenti e sogni infranti, i quali vengono tracciati secondo un preciso canone strumentale. «Seven Minds» del 1974, si sostanzia come un costruzione ipermodale, qui locupletata dal continuo dialogo e dall’interscambio di Santaniello e soci che, pur nel rispetto delle singole personalità strumentali ed esecutive, riescono a coagularsi coerentemente intorno ad un unico hub creativo. A suggello dell’album, la title-track «Finally», un jazz-waltz dall’aura brunita e crepuscolare, che dopo un inizio lento e circospetto, s’innalza in piccolo crescendo improvvisativo, in cui sax e piano si scambiano promesse per l’eternità, sino al sigillo finale apposto dal contrabbasso. «Finally» di Domenico Santaniello è un album ben assemblato, in cui i quattro sodali agiscono come pennelli su un tela multicromatica, disegnando le forme molteplici di un jazz senza tempo, attraverso un impianto tematico, il quale si dipana su una serie di melodie a presa rapida, che si susseguono quasi in progressione, innestate su un corredo ritmo-armonico immediato, ma non prevedibile.
