Pasquale Innarella Quartet con «Abduction»: un vero disco «americano» nel metodo, ma italiano nell’anima
…tutte le tracce dell’album si amalgamano sintatticamente creando un costrutto concettuale coerente ed omogeneo che, pur seguendo le vestigia del passato, non disdegna di erigere inediti moduli espressivi ed esecutivi, dove il medesimo mood funge da collettore.
Francesco Cataldo Verrina
Pasquale Innarella è un «capitano di lungo corso», assai attivo sulla scena jazzistica italiana, protagonista in tanti eventi con piccoli combo o ensemble più dilatati, ma anche a sostegno della formazione giovanile, attraverso un’attività meritoria. Il sassofonista campano conosce bene le possibilità idiomatiche ed espressive del suo strumento, forte del rispetto per la tradizione ma con lo sguardo sempre teso alla contemporaneità. Tutto ciò gli consente di muoversi agilmente tra avanguardia, post-bop e contemporary-jazz , tra tonale e modale, tra ballate e free jazz.
Il suo nuovo album «Abduction», pubblicato come Pasquale Innarella Quartet, ne conferma doti ed intuito. Il disco si sostanzia sula scorta di nove composizioni, di cui sette a firma Innarella e due scelte nell’ambito di un repertorio certamente non convenzionale: «Ithi GQI» di Johnny M.Dyani, contrabbassista Sudafricano, innovatore per corredo genetico, rivoluzionario e terzomondista, legato al free jazz multi-etnico degli anni Settanta e «Serenade For Sariah» di George Adams e Don Pullen, compositori trasversali di scuola mingusiana. Senza tema di smentita, possiamo affermare, che i brani scritti da Pasquale non soffrono certamente di nanismo creativo di fronte alle due firme internazionali. Per contro, tutte le tracce dell’album si amalgamano sintatticamente creando un costrutto concettuale coerente ed omogeneo che, pur seguendo le vestigia del passato, non disdegna di erigere inediti moduli espressivi ed esecutivi, dove il medesimo mood funge da collettore. Il sassofonista Irpino ha capacità ed esperienza per offrire ai suoi sodali un terreno fertile su cui impiantare idee e prosperare musicalmente senza mai tradire gli assunti basilari dell’idea di partenza. Il sound del line-up scaturisce da una sorta di fusione a caldo fra il sax, a volte abrasivo, sfuggente e ispido, quasi post-coltraniano, altre volte materico e modellato di Innarella (tenore e soprano) ed un’armonica compliance con la sezione ritmica, magnificata dal pianoforte di Ettore Carucci, dal contrabbasso di Stefano Cantarano e dalla batteria di Lucrezio De Seta
Il soggiorno a Lacedonia, in provincia di Avellino, suo «natio borgo selvaggio» deve avergli offerto una dimensione più intima ed ampliato le spettro della creatività, poiché dal punto di compositivo, il sassofonista appare tonico ed ispirato, per quanto i brani siano nati in una situazione «fisicamente» faticosa, come traspare dalle sue parole: «I titoli del brani hanno nomi ginnici perché le idee guide dei nuovi brani le ho iniziate a scrivere al mio paese natio (Lacedonia AV) nella mia antica casetta sul costone della rupe del paese, e sono esercizi ginnici che sono obbligato a fare tutte le mattine per tenere a bada la mia schiena con l’ernia del disco che, da una decina di anni, mi tiene compagnia e non mi abbandona mai. Le melodie fondamentali di questo album sono arrivate mentre suonavo il sassofono e studiavo scale e accordi sul terrazzino di casa con lo sguardo aperto verso il bosco e la campagna che vedevo a perdita d’occhio».
L’album si apre con «Abdution», una ballata esplorativa dal movimento increspato ed ondeggiante, in cui Pasquale e soci rubano gli occhi alla notte, sbirciando in un coacervo di emozioni. Ma non c’è molto tempo per rilassarsi, perché «Squat», riversa subito sul groppone del fruitore una bordata di energia pro-attiva, semanticamente a schema libero, su cui Innarella, maestro indiscusso dell’improvvisazione, si produce in una perifrasi quasi ayleriana, almeno nella prima parte, per poi sondare un dedalo di sonorità più magmatiche e sfilacciate su una linea di confine, vagamente fusion, che sfiora il sixth-sense, o meglio, il sisxteen-sense. Al contrario «Ripe Jazz» è la quiete dopo la tempesta, una ballad sensuale e brunita, in cui il sassofonista di Lacedonia sottolinea anche le sue innate doti di balladeer. «Ithi GQI» di Johnny M.Dyani è il primo non inedito del disco, forte di una piacevole atmosfera afro-caraibica, che il musicista irpino personalizza con un piacevole afflato rollinsiano, complice l’impeccabile retroguardia che gioca di fino sulle accentazioni ritmico-armoniche. «Serenade For Sariah» di George Adams e Don Pullen è un’ode scapigliata, una ballata pungente libera da catenacci armonici e da sentimentalismi mielosi, che Pasquale e compagni restituiscono al mondo degli uomini in maniera vivida e tutt’altro che manieristica. «Crunch» è un costrutto tagliente dai contrafforti ritmici funkified, molto groove ed insanguato di soulfulness nei momenti più distanziati e nei cambi di passo, mentre il sax di Innarella, nella parte finale, quale nota di merito, ricorda vagamente quello George Adams e, perfino quello di Gato Barbieri. Il disco è un susseguirsi di emozioni agrodolci, così «I Go», un ballata di grana finissima, acquieta gli animi e spinge tutti verso più miti consigli. «Ra Bumbardon» ritrova un’aura terzomondista ed un sapore quasi bandistico, tra sonorità che sembrano provenire dai quattro punti cardinali della musica, in cui Pasquale dimostra ancora di essere un abile assemblatore di stimoli molteplici, attraverso uno sviluppo tematico che fa dell’improvvisazione la carta vincente, senza mai perdere la quadratura melodica e l’immediatezza della leggibilità: ottima la progressione pianistica ed il puntuale sostegno della retroguardia che non lascia mai aria ferma. In chiusura, «Stretch», un perfetto esempio di post-bop espansivo, con una verticalizzazione coltraniana, a cui il piano elettrico regala qualche suggestione fusion. «Abduction» del Pasquale Innarella Quartet è un album autenticamente jazz, forgiato con le armi della sapienza e dell’esperienza, ricercato nelle forme e nelle formule, ma facile da metabolizzare. Un lavoro di livello superiore rispetto alla media del periodo. Un vero disco jazz americano nel metodo, ma decisamente italiano nell’anima.