«Eros» di Paolo Fresu e Omar Sosa, Quando la Sensualità del Suono diventa Senso dell’Arte

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L’album si sostanzia in una multi-dimensione, che incrocia il sogno e la realtà, il mistero e la luce, il tangibile ed il trascendente, in un empireo sonoro polisensoriale fatto di vibrazioni, posizioni, movimenti e variazioni, ossia una rappresentazione di come l’eros viene percepito dall’immaginario collettivo.

// di Bounty Miller //

A quattro anni dalla pubblicazione di «Alma», Paolo Fresu aveva rinnovato il sodalizio con il pianista cubano Omar Sosa. Era il 2015, sono passati quasi otto anni dalla sua prima edizione, eppure «Eros», concept album il cui motivo ispiratore sembra essere «l’amore» nelle sue espressioni molteplici, non ha perso un minimo di attualità: il tutto è traslato e filtrato attraverso il linguaggio sonoro dell’anima, il ritmo del cuore e la sensualità della musica. Entrambi i titolari del progetto portano a corredo le loro composizioni originali, fatta eccezione per la rilettura di due cover. Da un insieme di frammenti creativi, ben assemblati e legati fra loro da un invisibile fil rouge, scaturisce un disco di intensa atmosfera dove, la rinnovata fusione a caldo fra il trombettista sardo e il pianista cubano Omar Sosa, sembra trovare inedita linfa vitale in un ambiente più corale e maggiormente condiviso con altri artisti, i quali contribuiscono a dare notevole spessore all’opera.

Non vanno sottovalutati gli apporti del brasiliano Jaques Morelenbaum al violoncello e della cantante belga, ma di padre tunisino e madre egiziana, Natasha Atlas protagonista nell’iniziale «Teardrop» dei Massive Attack, interpretata con una grazia sopraffina e con un tono quasi arcaico, nella sensualissima «My Soul, My Spirit», di cui è coautrice, nonché in «What Lies Ahead» firmata Peter Gabriel e dal figlio Isaac. Il Quartetto Alborada, ossia Anton Berovski e Sonia Peana al violino, Nico Ciricugno alla viola e Piero Salvatori al violoncello, senza eccedere nei barocchismi, aggiungono un forte senso di liricità e di ampiezza alla scena sonora. L’intera session si srotola piacevole come sospinta da un carezzevole vento di leggerezza dell’essere, sottesa da un levigato tappeto elettronico che avvicina l’album anche ai gusti dei cultori del jazz non propriamente ortodosso. Paolo Fresu, all’indomani della pubblicazione, ebbe subito modo di precisare: «Questo, forse, è il mio disco meno jazz di tutti». Si può aggiungere, però, che «Eros» possegga del jazz la medesima estetica formale e la voglia di indagare l’essenza dei suoni in profondità. E’ oltremodo difficile chiudere un lavoro così in recinto mentale, culturale e di genere; come risulterebbero limitanti le definizioni di world-music, ethno-jazz et similia; persino l’idea di third stream potrebbe apparire bizzarra.

«Eros» sfugge ad ogni catalogazione, poiché teso a declinare le molteplici componenti ritmico-melodiche attraverso un filtro di natura non solo musicale, ma anche culturale, individuale, collettiva, spirituale e religiosa, dove un misto di poesia e sensualità sonora creano un’inedita dimensione di scostamento spazio-temporale rispetto all’elemento materiale del vissuto quotidiano; un perfetto «altrove» che travalica la condizione fisica. Il tema dell’eros diventa una forma d’arte contemporanea sull’asse italo-caraibico: Paolo Fresu decanta la bellezza dell’amore con il suo tratto regale, dividendosi fra tromba e flicorno, mentre Omar Sosa gli spiana il cammino con le tastiere, gli effetti, la voce e le percussioni; l’utilizzo che entrambi fanno dell’elettronica è di contorno, non c’è mai un uso eccessivo di tecnologia surrettizia.

Tredici brani distillati nel brodo di cottura di una contaminazione sonora a presa rapida, tra cui svettano la già citata «Teardrop», capolavoro trip hop, rimodulato in un afflato tra jazz mediterraneo e sonorità del Sud del mondo, nel quale la cantante magrebina Natacha Atlas supera se stessa; «Brezza del Verano» si caratterizza come un caleidoscopio di voci che si fonde in tutt’uno fatto di molteplici espressioni che procedono all’unisono, dove il fraseggio di Fresu, per alcuni tratti, riprende gli archetipi del jazz in contrasto con la progressione classicheggiante degli archi; «Ya Habibi» nasce da un evidente sincretismo sonoro, dove i due protagonisti addensano elementi diversi con la sapienza di un demiurgo; «What Lies Ahead» viene restituito al mondo degli uomini in una forma quasi volatile. L’album si sostanzia in una multi-dimensione, che incrocia il sogno e la realtà, il mistero e la luce, il tangibile ed il trascendente, in un empireo sonoro polisensoriale fatto di vibrazioni, posizioni, movimenti e variazioni, ossia una rappresentazione di come l’eros viene percepito dall’immaginario collettivo.

In particolare «My Soul, My Spirit» trasforma la musica in tensione emotiva riuscendo a bypassare la condizione fisica ed a smaterializzarsi per diventare pura essenza dello spirito; in «Sensuousness» elettronica e strumenti classici si compenetrano, trovando una sorta di break-even-point in cui esaltare al massimo l’emotività e la poetica del plot narrativo. Il doppio album non riporta i titoli sulle quattro facciate che vengono distinte dai colori e da un simbolo, una semantica primitiva che lascia spazio a varie interpretazioni. Caratteristico, quello che potremmo indicare come il quarto lato, segnato da un unico titolo di breve durata, «Why» e da una lunga ghost-track, «Kypris». Il risultato finale è un riuscito crogiolo di note ricco di ingredienti, in un perfetto equilibrio melodico-armonico, teso su un tappeto ritmico dai vividi colori, dove percussioni, suoni, voci ed effetti sono tenuti insieme mirabilmente dal binomio Fresu/Sosa e dall’apporto fattivo di tutti i contribuenti; un disco che segue le coordinate di quello che possiamo definire «jazz contemporaneo» nell’accezione più larga del termine. Registrato (ad eccezione di «My Soul, My Spirit» realizzato al Mazeeka Studio di Rio De Janeiro il 18 agosto 2015), all’ArteSuono Studio di Cavalicco in provincia di Udine, dal 15 al 19 giugno del 2015, con il supporto tecnico di Stefano Amerio, una sorta di dodicesimo uomo in campo, per usare una metafora calcistica, «Eros» è un doppio album in vinile di pregio, riproposto in una splendida red edition audiofila e con una suggestiva confezione grafica, tipica dei lavori della Tuk Music. La citazione della poetessa Saffo, riportata all’interno del folder è forse la migliore sintesi dei contenuti dell’album. «Eros che scioglie le membra, mi scuote nuovamente, dolceamara invincibile belva».

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