La terza guerra mondiale: bombe e distruzione in tutta Europa. Che cosa ne sarà del jazz?
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// di Francesco Cataldo Verrina //
Quel giorno tanto temuto era arrivato: il nano ghiacciato russo, il putto con l’intestino retto direttamente collegato al cervello, aveva premuto il bottone e la prima testata nucleare era partita, proprio mentre gli Italiani non curanti di un insidioso conflitto bellico non troppo lontano da casa, indifferenti per indole, stavano continuando a parlare del Festival di Sanremo, del campionato di calcio, di settimane bianche, di incentivi statali per la rottamazione delle auto, dell’eredità di Gina Lollobrigida e di modifica alla legge sulle intercettazioni telefoniche. Per alcuni giorni c’era stato un fuoco incrociato. Quasi tutto il mondo, ma l’Europa, trovandosi in mezzo, ne aveva fatto le spese maggiori. Coloro che si erano salvati, erano rimasti nascosti per lunghi mesi sotto terra, nelle cantine e nelle fogne, fino a quando le autorità, ciò che ne era rimasto, avevano diffuso la voce che una miracolosa schiuma inventata da un chimico tedesco, spruzzata ovunque da aerei militari, aveva ridotto quasi a zero l’effetto delle radiazioni.
Gli umani cominciarono a sbucare come vermi dal sottosuolo, stanchi, impauriti ed affamati. Era stato costituito una specie di esercito, simile ad una guardia nazionale che presidiava larghi strati del territorio, al fine di garantire il razionamento dei viveri, dei medicinali e dei carburanti: i telefonini non esistevano più, non c’era più Internet, poca corrente elettrica solo in alcune ore del giorno, le uniche in cui si potesse ascoltare un po’ di musica, ma bisognava avere un giradischi o un lettore CD funzionanti. Le piattaforme digitali on line erano scomparse e con esse tutto ciò che gli umani avevano archiviato ed accumulato nel web. Le stazioni televisive avevano cessato di trasmettere, c’erano solo radio ad intermittenza che emettevano appelli, comunicati e inviti a rispettare le nuove regole imposte dal governo provvisorio, raramente qualche disco.
Quando io e mia moglie uscimmo dal box sotterraneo avevamo perso circa una ventina di chili, nonostante, nella cantinetta-dispensa del mio garage, io avessi preventivamente stivato un abbondante scorta di viveri a lunga conservazione e di acqua potabile. Nei mesi prima dello scoppio del conflitto nucleare avevo avuto un certo sentore ma, fortunatamente, non ero stato l’unico. Questo ci aveva salvato la vita. Appena uscito dalla rampa del garage che portava in superficie, a parte le piante intorno che sembravano come ibernate, mi accorsi che la palazzina dove abitavo era rimasta intatta, aveva solo cambiato colore: i mattoncini rossi che la rivestivano erano diventati grigio-verdastri. Salito in casa, mi accorsi che non c’era elettricità, né gas. Accesi una torcia elettrica e controllai i rubinetti dell’acqua. Usciva un liquame nerastro. Lo lascia scorrere per qualche ora prima di poter vedere un qualcosa che somigliasse vagamente all’acqua. Comunque l’acqua, o un liquido simile, c’era ancora. Apri le tapparelle e feci entrare la luce naturale. A questo punto, per istinto entrai nel mio studio: i miei dischi jazz ed i miei giradischi erano lì. Avevo bisogno di sentire la musica: la fame, la sete, la paura, il desiderio di lavarmi passarono subito in secondo piano. Dovevo ripristinare la corrente elettrica o procurarmi un gruppo elettrogeno.
Ero convinto che usare l’acqua per lavarmi sarebbe stata una pessima idea: mi spogliai, tirai fuori da un armadietto un flacone di alcool e me lo spruzzai addosso. Mi diede una sensazione di pulito. Andai in camera, mi cambiai, presi un pugnale da caccia e un’accetta. Pensai ad un’ipotetica difesa, non sapevo che cosa avrei trovato in giro. Montai in macchina e, dopo qualche vano tentativo, riuscii a farla partire spingendola in discesa. Conoscevo un tale che vendeva gruppi di continuità. Arrivai in una zona industriale: in giro c’era di tutto, ma nessun pericolo, ognuno pensava a procurarsi qualcosa per tirare avanti. Arrivai nel posto che cercavo, c’era una luce accesa in casa. Tirai un sospiro di sollievo. Suonai il claxon e si affacciò il figlio della persona che cercavo. Gli chiesi del padre, dicendo che ero un amico. Dopo qualche minuto scese e mi spiego che lui era l’unico superstite. Senza che io aggiungessi altro, mi chiese di seguirlo. Arrivati in un grande magazzino, mi diede un gruppo di continuità e due grosse taniche di carburante. Attaccato al suo capannone c’era un deposito di alimentari abbandonato.
Caricai in macchina più roba possibile, soprattutto scatolame: erano certamente i viveri più sicuri. Dopo circa mezz’ora rientrai a casa. Mia moglie aspettava sull’uscio visibilmente preoccupata. Scaricai il tutto velocemente, piazzando il gruppo di continuità sul terrazzo, versai una decina di litri di nafta nel serbatoio ed azionai l’accensione mettendolo in moto. A questo punto collegai il gruppo ad un lungo cavo elettrico che infilai nella presa più vicina e, come per incanto, l’elettricità tornò a circolare in casa. Corsi nello studio, accesi un impianto e misi sul piatto un vinile. Per un una strana coincidenza, mi era capitata tra le mani la «Freedom Suite» di Sonny Rollins. Nonostante lo scenario apocalittico che mi circondava, mi sentii felice e libero. Non so quanto sarebbe durata, ma ero nuovamente felice, stavo ascoltando jazz…
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