JACO PASTORIUS: WORD OF MOUTH / INVITATION
“..avete ascoltato troppo jazz e avete tralasciato aspetti di cultura generale e non bisogna avere una cultura parcellizata, occorre avere una cultura d’insieme…”
// di Marcello Marinelli//
Sarà un caso che il primo brano di Word of mouth si intitola “crisis”? si è un caso ma ripensando al geniale bassista e alle sue traversie e all’incedere nervoso dell’apertura del disco strani pensieri poco obbiettivi e per niente verificabili mi vengono in mente, associo il titolo del brano alla sua vita, lo so non avrei dovuto farlo ma l’ho fatto, sono pensieri in libera uscita e le associazioni libere sono un perno della psicoterapia, per quanto non l’abbia mai fatta, forse starete pensando che dovrei iniziare? Allora aspetto consigli su un’eventuale terapeuta, ma deve essere uno bravo. Ora però non vi azzardate a criticarmi Jaco altrimenti “mi isscrivo ai terroristi”, come asseriva il mitico Mario Magnotta quando, agli inizi degli anni ’80 gli volevano “appioppiare la lavatrice”. Come, non conoscete Mario Magnotta? Questo significa che avete ascoltato troppo jazz e avete tralasciato aspetti di cultura generale e non bisogna avere una cultura parcellizata, occorre avere una cultura d’insieme, quindi colmate questa grande lacuna e cercate in rete “Magnotta e la lavatrice”. In contemporanea, o più o meno in contemporanea, alla grande epopea di Mario Magnotta Jaco Pastorius incideva questo disco.
Ovviamente non mi “iscriverò” ai terroristi , dite tutto quello che volete su Jaco, siamo sempre in Jazzdemocrazia e accetterò anche improperi e invettive. Quando un artista non solo materia di indagine musicologia ma è dentro il tuo “corazon” a prescindere da considerazioni tecnico-storiche-musicologiche, il resto non conta. Il “passaparola” di Word of Mouth” che inizia con la già citata “Crisis” inizia col basso di Pastorius che va a duecento all’ora e parte dell’orchestra improvvisa liberamente su quel tempo velocissimo, inizio decisamente free, com’è eclettico il “nostro”, riconosco tra gli altri il sax di Brecker a suo agio con quel tempo velocissimo. La grande orchestra, composta da “superstar” Toots Thielemans, Herbie Hancock, Wayne Shorter, Othello Molineaux, Howard Johnson, Peter Erskine, Michael Brecker, Tom Scott , Don Alias ‘and others’, fa il suo ingresso trionfale nel solco della grande tradizione orchestrale con una composizione formidabile ed un arrangiamento sontuoso di “Three views of secret”, con Toots Thielemans che fa il solista, ispirato come sempre e fuoriclasse assoluto del suo strumento, concerto per armonica e orchestra, e l’orchestra dietro è un gioiello di armonizzazione, in cuffia riesco a distinguere il corno francese di John Clark e la tuba di Howard Johnson, e io, che ho militato in una grande orchestra, faccio fatica a trattenere le lacrime davanti a cotanta bellezza orchestrale e al suono d’insieme che sprigiona.
Che bello il segreto quando è tradotti in musica celestiale “three view of secret” però un peccato tenerlo per se è non condividerlo, questi segreto , contrariamente alla regola, va condiviso. “Liberty city” è un altro gioiello di arrangiamento orchestrale e qui oltre al solito Toots Thielemans, fa il solista Herbie Hancock e Pastorius ogni tanto emerge dal semplice ruolo di accompagnatore, con quel suo suono inconfondibile e emerge dalla moltitudine, pieno e vuoto in rapida successione. L’orchestra è un tripudio di colori musicali, mancano le stelle filanti e le majorettes, gioia allo stato puro. Poi il Nostro, nei rimanti solchi, col suo aratro musicale, il basso elettrico, passa con disinvoltura tra Bach, echi di oriente e Beatles, tra pieno di musicisti, e vuoto (si fa per dire) solo dei solisti con la sezione ritmica, il dico va avanti che è una meraviglia. Con “Invitation” cambiano quasi tutti i musicisti, ma il risultato non cambia. Randy Brecker prende il posto del fratello Michael e si ‘assola’ nel pezzo che prende il nome dall’album eseguito a velocità supersonica.
Poi il giusto tributo al “Duca” con “Sophisticated lady” di cui tutti i direttori d’orchestra devono fare i conti, i Conti col Duca, con Toots Thielemans, ancora in bella mostra, certamente il solista preferito di Jaco. Con “Soul Intro/the chicken” l’orchestra continua a macinare, come il macinino il caffè, l‘incidere è soul-funky e Bobby Mintzer fa la sua porca figura al sax tenore. Con Reza/Giant steps/Reza entra in scena Jon Faddis con la sua tecnica cristallina e scintillante e si destreggi con maestria sul registro acuto, ma in quel registro i trombettisti che andavano più in alto erano Cat Anderson e Maynard Ferguson, chissà chi più in alto dei due. Poi incredibilmente inizia il solo, sempre sullo stesso pezzo, non sarà il primo né l’ultimo, il percussionista Trinidiano , da Trinidad e Tobago, Othello Molineaux che alla domanda “Tu sei di Trinidad e che ne pensi di Tobago?” “Che siamo una grande famiglia, solo che Tobago è l’isola più piccola e quando giochiamo il derby li stracciamo, però siamo un unico paese, loro i parenti poveri” (fake). Othello appena uscito fuori dal romanzo di Skakespeare, comincia a randellare il suo ‘Steel drum o ‘Steel Pan’, il tamburo d’acciaio originario del suo paese, il padre di Othello era un fabbro (fake) e raggiunge dei llivelli di virtuosismo inauditi per questo strumento sul tempo veloce di “Giant Steps”, l’ennesimo coniglio dal cilindro di Pastorius.
Molineaux col suo strumento Mulinex, mulinella all’impazzata sul tempo coltraniano. Dopo la “full immersion” pastoriana il mio pensiero non può andare che a quella famosa notte del 11 settembre del 1981 quando Jaco Pastorius andò a vedere il concerto del suo amico Carlos Santana al Sunrise Munic Theatre di Fort Lauderdale, si avvicinò a Alphonzo Johnson che suonava con lui, dopo il suo assolo salì sul palco e alzò la mano di Johnson in segno di vittoria, le guardie del corpo non lo riconobbero e venne allontanato dal locale. Una volta fuori si diresse verso un altro locale il “Midnight Bottle Club”. All’entrata del locale ebbe una discussione col buttafuori. Pastorius era ubriaco e complice anche il non suo buono periodo, dovuto a depressione e dipendenze varie, certamente non aveva un buono aspetto.
La discussione degenerò e sta di fatto, o perché il buttafuori, esperto di arti marziali lo picchiò violentemente, o perché in seguito alla spinta cadde , ma l’unico dato certo è che entrò in coma e da lì a pochi giorni morì, era il 19 settembre. Una morte ingloriosa per un musicista glorioso, l’ironia della sorte e il fato avverso. Io che non avevo mai sentito Fort Lauderdale mi rimase impressa da allora e se il fato non avverso me lo concederà andrò a visitare la città e le spoglie di Jaco Pastorius al cimitero della stessa città. Pare, ma non ne sono sicuro, le fonti non propriamente attendibili, che sulla sua lapide ci sia scritto “Qui giace il grande musicista che amava il basso elettrico ma non i suoi tasti ed è per questo che inventò il fretless bass”.