Edgar Varèse, tra sperimentazione, elettronica e jazz. L’innovatore che affascinò Charlie Parker

La portata dell’influenza di Varèse è quindi duplice: da un lato, il suo ribaltamento e stravolgimento concettuale e normativo che ha fornito una base teorica e pratica per la musica elettronica e le installazioni sonore; dall’altro, la sua predisposizione genetica all’innovazione ha spalancato le porte ad inedite modalità interpretative e comunicative, di cui il jazz è una delle espressioni più evidenti.
// di Francesco Cataldo Verrina //
Edgar Varèse, all’anagrafe Edgard Victor Achille Charles Varèse, è universalmente riconosciuto come una figura rivoluzionaria nel panorama della musica moderna. Nato in Francia e cresciuto artisticamente negli Stati Uniti, Varèse si distinse per il coraggio di rompere con le convenzioni tradizionali, abbracciando un linguaggio sonoro radicalmente nuovo. Pur essendo nato nell’Ottocento il 22 dicembre 1883 è morto il 6 novembre 1965, Varèse ha avuto la possibilità di vivere a cavallo di due secoli veloci ed evolutivi, fondamentali per la contaminazione e l’inculturazione musicale, che si sono manifestate attraverso il travaso di generi, di cui egli è stato un epigono. Il suo metodo compositivo si concentrava in maniera quasi maniacale sul timbro e sul ritmo, aspetti che a suo avviso potevano essere «organizzati» per dare forma ad un’esperienza musicale certamente inedita ed inattesa. Questa visione innovativa, sintetizzata nel concetto di «organized sound», permise a Varèse di divenire un antesignano, un precursore non solo della musica d’avanguardia, ma perfino di quella elettronica, al punto da guadagnarsi l’autorevole titolo di Padre della Musica Elettronica.
Il legame di Varèse con il jazz rappresentò uno degli aspetti più intriganti della sua carriera. Sebbene la sua formazione e il suo percorso lo portassero su sentieri spesso ben lontani dalle tradizioni afro-americane, egli mostrò sempre una sensibilità e una curiosità, quasi morbosa, verso le improvvisazioni e le sonorità del jazz. Nel 1957, ad esempio, Varèse condusse un workshop estremamente significativo in cui si ritrovò a dirigere una sessione con alcuni dei più accreditati jazzisti dell’epoca. Tra gli altri erano presenti Art Farmer alla tromba, Hal McKusik al clarinetto e al sassofono alto, Teo Macero al sassofono tenore, John La Porta al sassofono alto, Eddie Bert e Frank Rehak al trombone, Don Butterfield alla tuba, Hall Overton al pianoforte, Charlie Mingus al basso ed Ed Shaughnessy alla batteria. Questo incontro, documentato in un raro nastro audio, viene spesso citato come uno dei primi esempi – e forse il primo in assoluto – di free jazz, anticipando di qualche anno «la cosiddetta forma del jazz che verrà» che Ornette Coleman avrebbe poi portato alla ribalta, sconvolgendo il panorama jazzistico di fine anni Cinquanta. La sessione dei jazzisti diretti da Varese non fu solo un esperimento sonoro, ma un vero e proprio banco di prova per l’incontro tra la disciplina rigorosa della composizione d’avanguardia e l’improvvisazione libera, aprendo la strada a nuove frontiere musicali.
Un altro episodio che testimonia la profonda connessione tra Varèse e il mondo del jazz riguarda l’aneddoto legato a Charlie Parker. Si racconta che, nell’autunno del 1954, l’inquieto sassofonista avesse manifestato l’idea di studiare sotto la guida di Varèse riconoscendo in lui una mente innovativa capace di spiegare e trasmettere una visione musicale completamente rivoluzionaria. Tuttavia, il destino giocò un ruolo cruciale: Varèse, impegnato in vari progetti in Europa – come la direzione dell’opera «Déserts» – non poté accogliere le richieste di Parker. Così, al suo ritorno a New York, nel maggio del 1955, scoprì con immenso rammarico che il mitico Bird era già scomparso. Tale circostanza, oltre a essere il triste epilogo di una potenziale collaborazione, dimostra quanto l’universo di Varèse e le ambizioni dei pionieri del jazz fossero destinati a incrociarsi, sia pure idealmente. Esiste un’altra prova della sua connessione con il vivace panorama jazzistico, Varèse era solito andare ad ascoltare John Coltrane al Village, rimarcando la sua continua curiosità e l’apertura verso le nuove sonorità emergenti.
Esistono diversi aneddoti che conferiscono all’incontro tra Edgar Varèse e Charlie Parker una dimensione quasi romanzesca, evidenziando come il confine tra la musica d’avanguardia e il bebop potesse essere superato dalla passione comune per l’innovazione. È noto che Parker nutriva una grande ammirazione per Varèse, tanto da desiderare studiare sotto la sua guida, arrivando persino a proporsi come suo domestico, sebbene – come già detto – l’incontro non si realizzò a causa della prematura scomparsa del sassofonista. Il fascino di questa vicenda sembra non essersi esaurito con la sola figura di Parker. Alcuni resoconti, sebbene meno documentati e in parte tramandati oralmente, fanno menzione del fatto che, in seguito, Varèse avrebbe avuto l’occasione di incontrare anche Chan Parker, la vedova di Bird. Sebbene le fonti ufficiali siano scarse e l’episodio permanga più come aneddoto che come fatto rigorosamente accertato, questo incontro – dove si narra che Varèse abbia espresso intimità e profondo rispetto per l’eredità parkeriana – viene spesso citato come ulteriore testimonianza della capacità del compositore d’avanguardia di attraversare i confini dei generi e di accogliere con interesse le innovazioni provenienti dal mondo del jazz.
Questo racconto evidenzia come l’interazione, reale o simbolica, tra Varèse, Charlie Parker e sua moglie non sia soltanto una curiosità storica. Essa simboleggia la convergenza di due galassie sonore apparentemente distanti: da un lato la ricerca sistematica della «musica organizzata», in cui il timbro e il ritmo assumono ruoli autonomi e rivoluzionari; dall’altro, l’improvvisazione e l’energia estetica del jazz, che, nella New York degli anni ’50, continuava ad evolversi in modo vibrante L’ipotetico contatto con la vedova di Bird, allora custode della memoria del sassofonista, suggerisce anche un rispetto reciproco e un riconoscimento del potere trasformativo della musica, capace di andare oltre le barriere stilistiche e culturali. Tale prospettiva offre numerosi spunti di riflessione: il dialogo fra interessi e passioni apparentemente inconciliabili ha spesso portato alla nascita di nuove forme espressive, ad esempio, di come tale scambio abbia lasciato tracce nella musica elettronica e nelle tecniche compositive contemporanee, creando un ponte tra passato e futuro musicale.
Sulla base di quanto acclarato, Edgard Varèse diventa un emblema della musica contemporanea, un santuario la cui influenza si estende ben oltre i confini della musica classica per abbracciare il jazz, l’elettronica e tutta l’avanguardia. Il suo impatto sul mondo del jazz, pur essendo in parte indiretto, è stato altrettanto profondo. I suoi approcci innovativi aprirono la strada ad una maggiore sperimentazione nei processi di improvvisazione, anticipando in modo sottile quelle energie che, nell’evoluzione del free jazz, avrebbero dato nuova linfa a generazioni di musicisti. L’eredità di Varèse, fatta di audacia, sperimentazione e profonda curiosità, continua a ispirare artisti e musicisti ed superare i confini convenzionali, dimostrando quanto la musica possa essere un linguaggio universale ed in continuo divenire, tanto da meritarsi – come già accennato – l’appellativo di Padre della Musica Elettronica. La sua indole pionieristica e l’utilizzo di nuove tecnologie e strumenti si concretizzò in opere emblematiche come il «Poème électronique». Composto per il padiglione Philips all’Esposizione Universale di Bruxelles, questo lavoro rappresenta uno dei primi tentativi di «spazializzare» il suono, creando un ambiente olistico e multisensoriale in cui il sound stesso veniva «disegnato» nello spazio. Il modo in cui Varèse integrò le possibilità offerte dalla tecnologia – dalla manipolazione elettronica dei suoni alle installazioni immersive – ha gettato le basi per lo sviluppo della musica elettro-acustica e ha influenzato non solo compositori, ma anche artisti e tecnici nel campo della produzione sonora contemporanea .
In senso più ampio, l’approccio di Varèse ha rivoluzionato l’approccio al concetto stessa di musica come costrutto concettuale coerente, che si trovava così a vivere all’interno di un perenne divenire: l’idea di che cosa fosse la musica, viene costantemente superata dal concetto di che cosa potesse e dovesse essere nell’immediato futuro. Rompendo con le regole del passato, Edgar Varèse ha incoraggiato una cultura della sperimentazione radicale e dell’innovazione perpetua, ispirando intere generazioni di compositori d’avanguardia. Il suo impulso a liberare il suono da qualsiasi vincolo tradizionale e coercitivo ha alimentato, anche nel jazz e in altri generi sperimentali, un atteggiamento di ricerca e di libertà creativa che segna il passaggio da forme musicali rigidamente strutturate a linguaggi più fluidi ed evolutivi. La sua eredità persiste nel condizionare la scena musicale odierna, in cui tecnologia e improvvisazione s’intersecano per dare luogo ad inediti paesaggi sonori. La portata del lascito di Varèse è quindi duplice: da un lato, la suo ribaltamento e stravolgimento concettuale e normativo che ha fornito una base teorica e pratica per la musica elettronica e le installazioni sonore; dall’altro, la sua predisposizione genetica all’innovazione che ha spalancato le porte ad inedite modalità interpretative e comunicative, di cui il jazz è una delle espressioni più evidenti.
