«Maiden Voyage» il nuovo album del turco Hakan Başar, astro nascente del pianismo jazz mondiale (Red Records, 2025)

0
Lenco_hHkak

Il disco immesso sul mercato dalla Red mostra i prodromi di una maturità esecutiva ed interpretativa ancora in fieri, ma assai superiore rispetto al precedente album del 2019, «On Top Of The Roof», in cui cui l’allora pianista quindicenne sfogava gli istinti post-puberali, riversando durante le performance anni di intenso studio sui tasti, attraverso un citazionismo ben calibrato, ma ancora acerbo.

// di Francesco Cataldo Verrina //

Ascoltando Hakan Başar viene subito in mente quel gioco chiamato Dots che si trova sulle varie rubriche di enigmistica, in cui bisogna unire i puntini. Il giovane pianista turco, ventunenne, al netto dei trionfalismi di una certa stampa sempre pronta ad individuare il successore di chicchessia, potrebbe sembrare uno dei tanti virgulti del pianismo europeo o para-europeo (ce ne sono tanti anche in Italia) che se la cavano benissimo con le dinamiche pianistiche e che, come Hakan, uniscono puntini. Solo che il turco i puntini li unisce e li combina meglio. Metaforicamente i puntini riguardano il suo metodo di legare le performance avocando a sé le composizioni ed il metodo espositivo di coloro che, tra i grandi maestri del jazz, sono stati i suoi «punti» riferimento: da Peterson a Monk, da Evans a Petrucciani. Ciò è quanto accade nel suo secondo album, «Maiden Voyage», pubblicato dalla Red Records di Marco Pennisi che, per tradizione, sa bene come intercettare il «fenomeno» di turno, prima che diventi eccessivamente esoso e debordante, accoglierlo nel suo roster ed indicargli una strada maestra da seguire. Rammentiamo, ad esempio, il fenomeno Mani Padme, che tra gli anni Novanta e Duemila, divenne una punta di diamante (e d’orgoglio) dell’etichetta rossa nell’ambito del pianismo extra-Nordamericano.

Il disco immesso sul mercato dalla Red mostra i prodromi di una maturità esecutiva ed interpretativa ancora in fieri, ma assai superiore rispetto al precedente album del 2019, «On Top Of The Roof», in cui cui l’allora pianista quindicenne sfogava gli istinti post-puberali, riversando durante le performance anni di intenso studio sui tasti, attraverso un citazionismo ben calibrato, ma ancora acerbo, il quale gli consentì comunque di accedere a molti eventi internazionali. Dopo averlo ascoltato, Chick Corea esclamò con soddisfazione: «La successione è garantita», tanto che l’endorsement dell’anziano pianista divenne presto un viatico per le stelle ed una cooptazione dell’enfant prodige, poco più che dodicenne, da parte di numerosi organizzatori di kermesse jazzistiche di rilievo, che cominciarono ad inserirlo ripetutamente nel loro portfolio nuove proposte. Lo stesso Ahmad Jamal, qualche anno addietro, come Corea, ne fu particolarmente colpito. Nato a Istanbul nel 2004, Hakan Başar ebbe l’onore della prima ribalta importante già a dieci anni, quale attrazione del Pera Music Festival. Per contro, è difficile dare una valutazione del Başar compositore, visto che l’album in oggetto contiene solo un pezzo, «Compassion» che potremmo definire farina del suo sacco, ma che lascia ben sperare per il futuro. Hakan Başar, il quale ha avuto modo di suonare e maturare a fianco di artisti come Jimmy Haslip e Will Kennedy (degli Yellow Jackets), Ron Carter, Russell Malone, Eddie Gomez, e lo stesso Chick Corea, affronta un repertorio di classici del jazz, rinnovandone l’espressività e ravvivandone l’impatto armonico in un vortice di ritmo e con un abbagliante intreccio di linee melodiche veloci, talvolta straigh-ahead, altre sinuose e non convenzionali.

Dopo aver metabolizzato gli stilemi e le regole d’ingaggio di eminenti pianisti jazz come Michel Petrucciani, Oscar Peterson, Cedar Walton e McCoy Tyner ed Herbie Hancock, unitamente a Billy Strayhorn (pianista, autore ed arrangiatore con attitudini più eurodotte) saccheggiato dai jazzisti post-bellici e di un chitarrista, formalmente innamorato delle armonie pianistiche, come Wes Montgomery, il giovane ottomano li ripropone a sua immagine e somiglianza. I nomi testé citati costituiscono la forma e lo scheletro del nuovo disco di Başar, perché la sostanza e la carne viva sono quasi tutta roba sua: mentre il microsolco fluisce, si dimentica spesso la provenienza del componimento che si sta ascoltando. Le parole di Hakan risultano alquanto eloquenti: «Ho iniziato ad otto anni, ma in realtà, avendo un padre chitarrista jazz, ascoltavo musica come quella di George Benson ed altri fin dall’età di cinque anni ed avevo già capito che avrei voluto suonare anch’io. Iniziai poi le lezioni con un docente proveniente dal Conservatorio di Mosca e le trascrizioni di altri artisti, studiando anche con mio padre ed esercitandomi su brani di grandi artisti come Michel Petrucciani, del quale suono ancora nel mio repertorio la famosa «Looking up». Quindi mi dedicai alla musica di Oscar Peterson e, dai dieci anni in avanti, iniziai ad esibirmi in concerti dal vivo che prevedevano tributi a questi artisti. Dopo varie collaborazioni ed incontri con grandi artisti come Chick Corea, Ron Carter, Russell Malone e Eddie Gomez, nel 2018 ho iniziato a registrare a mio nome e l’anno seguente è uscito il mio primo disco «On The Top Of The Roof». Dallo scorso anno è iniziata la mia avventura italiana nella formazione del trio prima con Ruben Bellavia e Paolo Benedettini, poi con Michelangelo ed il batterista olandese Yoran Vroom e quindi ancora con Michelangelo e Bernardo Guerra con i quali è scattata una vera e propria scintilla». Nel l’album «Maiden Voyage», che rappresenta un omaggio ad Herbie Hancock, almeno nel titolo, Hakan Başar riceve il robusto sostegno di Michelangelo Scandroglio al basso e Bernardo Guerra alla batteria.

Le otto tracce contenute nell’album la dicono lunga sulle peculiarità del pianista turco ad iniziare dall’opener «Chloé Meets Gershwin» di Petrucciani, di cui Başar coglie l’impeto ed il swing, ma accarezza diversamente l’impianto armonico su cui appone una melodia più ampia e declinata con meno urgenza rispetto al pianista italo-francese, così come in «Wheatland», egli evita accuratamente d’impigliarsi nei grappoli di note a raffica tipici di Oscar Peterson, ritagliandosi una sua dimensione espositiva tutt’altro che calligrafa ed offrendo maggiore spazio ai sodali, senza quell’innata voglia di primeggiare a tutti costi, tipica del suo idolo canadese. «Lotus Blossom» è un classico di Billy Stayhorn, che lo stesso Duke Ellington registrò al pianoforte nel 1997, un anno dopo la morte dell’ autore, senza sapere di essere ripreso. Il brano è basato su complessi giri armonici che Hakan riesce a variare senza snaturare la bellezza del concept originale, mentre l’assolo di basso di Michelangelo Scandroglio funge da spartiacque e da rampa di lancio per l’inventiva del pianista turco fino al rush finale. «Bolivia» di Cedar Walton diventa un ulteriore ambito di conquista per Başar, il quale vi imprime il proprio marchio di fabbrica con la complicità della retroguardia che non lascia aria ferma. La seconda facciata dell’album si apre con «Inception» del McCoy Tyner ipermodale, offrendo ad Hakan l’opportunità di misurarsi, a tutta velocità, su un un territorio più impervio, senza smarrire mai il contatto con il gancio melodico e la fruibilità del costrutto sonoro. «Maiden Voyage» di Hancock, scelta come title-track, appare più sospesa, esplorativa ed onirica con le note più scandite su tutto il registro. «Full House» di Wes Montgomery è la trasfigurazione in un habitat più metropolitano e funkified che a volte tende a distendersi in larghezza, dove i fili dell’impianto accordale sembrano sfilacciarsi e favorire una serie di cambi di mood e di passo, assai più contenuti nella partitura originale. In conclusione, l’unico originale a firma Başar, «Compassion», che pur nelle buone intenzioni, risulta essere una sorta di compendio di tutti gli stilemi precedenti: il cosiddetto collegamento dei puntini. In tanti, da anni, scrivono del pianista turco quale «New Rising Star Of International Jazz», ma forse, attendendo sempre Hakan sull’appuntito scoglio di un album fatto di composizioni originali, con «Maiden Voyage» della Red Records possiamo già affermare che «A New Star Of International Jazz Is Born».

Hakan Başar

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *