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Jany McPherson (ph. Arturo Di Vita)

// di Guido Michelone //

Classe 1979 l’avvenente pianista, vocalist, compositrice, bandleader può vantare un grande curriculum internazionale, se si pensa a collaborazioni quali Didier Lockwood, Andy Narell, Michel Alibo, Nicolas Folmer, Pierre Bertrand, oltre quelli cubani con i quali si forma come legittime erede della grande tradizione dei pianisti cubani Ernesto Lecuona, Bola De Nieve e Chucho Valdés, tra jazz, salsa, latin music. Jany arriva per la prima in Italia, nel 2018 al Festival Internazionale del Jazz di Sanremo (Uno Jazz San Remo), mentre ora, fra 4 giorni la si attende a Milanbo e poi a giugno a Roma. Al momento vanta all’attivo cinque album: Live in studio (2009), Tres Almas (2011), Blue Side Live (2014), Solo Piano (2020) e il ‘nuovo’ di cui parla, oltre la partecipazione alle antologie A La Costa Sud (2009) e Dis 1. 4. Raf (2016). Ma è lei nell’intervista a raccontare molto di più…

D In tre parole chi è Jany McPherson?

R Buongiorno Guido e innanzitutto grazie per l’opportunità che mi dai di raccontarmi ai tuoi lettori. Direi che Jany McPherson è il personaggio che mi è stato affidato in questo film intitolato “Esperienza Umana”. Sono nata a Guantánamo, Cuba, in una famiglia di artisti e amanti della musica e fino ad oggi la musica è stata il motore propulsore di tutte le mie esperienze di vita.

D Jany, ora raccontaci in breve la tua attività professionale.

R Ho iniziato a cantare all’età di 5 anni, accompagnata alla chitarra da mio padre. Poi ho intrapreso gli studi di pianoforte classico fino a raggiungere la Scuola Nazionale d’Arte dell’Avana. Lì ho avuto modo di apprendere moltissimo e se oggi posso realizzare i miei progetti originali come pianista, cantante, compositrice ed arrangiatrice lo devo in gran parte a quegli anni trascorsi studiando e suonando. Cuba è un luogo estremamente musicale ed i musicisti che ci vivono sono parte di una grande comunità dove tutti si conoscono ed hanno modo di incontrarsi musicalmente. Conoscevo e frequentavo Omara Portuondo prima ancora che si affermasse il fenomeno Buena Vista Social Club. Ero la pianista dell’Orquesta Anacaona, la più antica orchestra femminile di Cuba e abbiamo accompagnata Omara tantissime volte nei suoi concerti. Proprio con l’Orquesta Anacaona ho avuto la prima scrittura professionale che mi ha permesso di suonare all’estero, in America Latina, in Cina, negli Stati Uniti e in Europa.

D Nel 2002 hai avuto un grande riconoscimento a Cuba, se non erro…

R Sì ho vinto il premio Adolfo Guzmán come miglior composizione e miglior interpretazione, ma la situazione a Cuba era molto complicata e, grazie ad una scrittura di alcuni mesi a Monte Carlo, ho avuto l’opportunità di cambiare la mia vita e ho preso la decisione di trasferirmi in Francia. Non è stato facile, ma sentivo che la cosa giusta da fare era aprirmi a nuove esperienze, a nuovi incontri musicali e che per non perdere quella opportunità, avrei dovuto lasciare Cuba, la mia famiglia ed i miei amici. Un momento di svolta personale e professionale. Una scelta che mi ha permesso di incontrare artisti e persone straordinarie che mi hanno accolto con benevolenza e con le quali ho avuto modo di condividere esperienze professionali molto formative ed emozionanti. Cito uno per tutti: John McLaughlin con il quale ho potuto suonare in duo al Teatro Real di Madrid, al Montreux Jazz Festival ed in tutto il suo ultimo “The Liberation Tour” come pianista e cantante. John oltre ad essere un musicista straordinario, un caposcuola, è anche un uomo di grande generosità ed umiltà. MI ha fatto l’onore di suonare in duo in “Tú y Yo”, un brano del mio album “A long way”. E’ una collaborazione che continua e che mi regala tantissimo.

D A che età e come hai scoperto il jazz?

R Ho scoperto il jazz quando ero molto piccola, avrò avuto 7 o 8 anni. A quel tempo, a Cuba si vedevano le telenovele brasiliane e le colonne sonore erano composte da grandi musicisti, come ad esempio Ivan Lins. È lì che ho scoperto per la prima volta le sonorità delle armonie del jazz e ho capito che non mi sarei dedicata alla musica classica. Poi sono arrivati altri artisti e altre influenze. La musica soul, Aretha Franklin, Irakere con Chucho Valdés. Più tardi, sono arrivati Keith Jarrett, Bill Evans, Ella Fitzgerald e Sarah Vaughan… la lista è lunga.

D Dei lavori da te intrapresi quali ritieni siano i più gratificanti o esemplari per il tuo contributo alla musica?

R Certamente quello con John McLaughlin. Essendo il suo mondo musicale molto diverso dal mio, credo mi abbia voluta con lui proprio perchè apportassi il colore delle mie radici cubane sia nella parte pianistica che nelle interpretazioni vocali. Mi sono avvicinata alla sua musica con estremo rispetto e con un enorme senso di responsabilità, per non tradire la grande fiducia che mi era stata accordata. Spero di esserci riuscita. Un altro dei lavori più gratificanti e che mi ha riempito di grande gioia è stato la realizzazione del mio disco “A Long Way”.

D Parlaci del tuo ultimo disco.

R A Long Way in realtà non è un disco nuovo, ma è il mio ultimo lavoro, uscito il 6 ottobre del 2023. Lo stesso giorno mi trovavo a Basilea per la prima data del The Liberation Tour di John McLaughlin. Una doppia gioia in una data, per me, da ricordare. Questo disco è il gioiello del mio cuore. “A Long Way” è stato registrato in trio con Yoann Serra alla batteria e Antonio Sgro al contrabbasso. Contiene 11 brani originali, di cui 3 sono canzoni. In una di queste canzoni, “Tú y Yo”, ho John McLaughlin come artista ospite. Inaspettatamente e con mia grande sorpresa, sono stata benedetta da un’ispirazione travolgente, come se le mie esperienze di vita, il mio percorso, volessero riversarsi (rivelarsi) in una volta sola, nello stesso luogo. Ogni brano racconta la propria storia in modo unico e nessun brano è simile all’altro. E forse è proprio qui che sta la magia. Non posso che ringraziare la vita per avermi permesso di tirare fuori tutte queste melodie, armonie, colori e sfumature. Un ruolo fondamentale nella preparazione e nella realizzazione del disco lo ha avuto il mio produttore Gianluca di Furia, che mi ha dato indicazioni preziose ed un supporto costante, ma discreto, lasciandomi tutta la libertà creativa che un artista deve avere per portare a compimento le proprie idee. Senza dubbio questo disco rappresenta un prima e un dopo nella mia carriera artistica.

D Su cosa stai lavorando ora e nei prossimi mesi?

R Sto facendo concerti e lo farò per tutto il 2025. Il prossimo è quello al Blue Note di Milano il 19 aprile. Poi farò un concerto con John McLaughlin insieme a giovani talenti del jazz l’11 maggio a Monte Carlo. Sarò al Summer Festival alla Casa del Jazz di Roma in giugno, tanti festival estivi all’estero (molti di questi anche in Italia) e più tardi, in dicembre, tornerò all’auditorium Parco della Musica di Roma. Penso che mi dedicherò alla scrittura di un nuovo disco l’anno prossimo, ma solo se arriverà un’autentica ispirazione. Altrimenti non avrebbe senso.

D Jany, che idea hai del jazz quale espressione artistica?

R Guido, per me il jazz è un linguaggio che viene dall’anima, al di là dei suoni, delle melodie e delle armonie. Oltre a promuovere il dialogo interculturale e la libera creatività, il jazz è un genere musicale che incoraggia l’uguaglianza ed anche quella di genere. E voglio sottolineare questo aspetto, poiché gli spazi aperti a questa musica sono stati storicamente maschili. Da un po’ di tempo, ogni giorno vediamo molte più figure femminili essere protagoniste della scena del jazz internazionale. Pensando alla presenza femminile nel jazz generalmente, con le dovute eccezioni, si pensava principalmente alle donne come cantanti, Oggi invece vediamo donne che suonano in modo eccellente il piano, la batteria, il sassofono o il contrabbasso.

D Con quali modalità (anche personali) ti rapporti con i tuoi ‘colleghi’ o con chi comunque lavora al tuo fianco o in contesti similari?

R Mi piace lavorare in una buona atmosfera dove ognuno sa di essere importante e sa che può apportare qualcosa di personale. Ogni volta che posso, cerco di creare un clima di fiducia con i musicisti con cui lavoro e di essere il più chiara possibile nell’esprimere le mie idee. Non sono una di quelle che impone la propria volontà a nessuno. Preferisco e apprezzo che chi mi circonda, sia musicalmente che personalmente, contribuisca con le proprie idee, cosa che nutre e migliora sempre qualsiasi relazione. Mi piace la sensazione di far parte di una squadra al servizio della musica, al servizio della vita.

D Ritieni che in Italia vi siano spazi interessanti per contribuire ad accrescere o sviluppare una vera cultura del jazz ?

R Si tratta di una domanda per me impegnativa. Presuppone il fatto di conoscere in modo molto approfondito la situazione attuale del jazz in Italia ed il lavoro che stanno facendo i tantissimi jazzisti italiani. Non ho questa conoscenza. Non credo che tu per spazi intenda spazi fisici, ma immagino tu parli di un aspetto artistico. In genere sono i progetti originali con una forte identità a tracciare un percorso di evoluzione di un genere e a consolidarlo. L’Italia ha molti jazzisti di altissimo livello che sono in grado di farlo. Conoscenza, tradizione e innovazione sono gli strumenti necessari per riuscirci. Non si può non conoscere i grandi del passato, non si deve rinunciare mai alla propria tradizione culturale e alle proprie radici e non si può restare fermi a rifare ciò che è già stato fatto.

D Come ti rapporti all’oggetto disco, anche a livello personale?

R Il disco non è morto. Non sono una consumatrice di musica incontrollata. Non uso Spotify. Quando un brano o un artista mi piace davvero e ha attirato la mia attenzione, sono una di quelle che va ancora alla Fnac a comprare il disco. Sono una di quelle che ama aprire un disco e scoprire l’artista, i musicisti che hanno registrato, dove è stato registrato il disco, chi ha fatto il missaggio e chi il mastering. Anche il design grafico e le foto di un album sono per me molto importanti. Sono altre forme d’arte al servizio del tuo lavoro e rappresentano l’anima di altri artisti che si sintonizzano con la tua musica. Ho la grande fortuna di poter vendere i miei dischi alla fine di ogni concerto. Godermi questo incontro unico con il pubblico, ascoltare le loro impressioni sul concerto, firmare autografi e vedere i sorrisi di gioia e gratitudine sui loro volti sono momenti che mi arricchiscono e che non sarebbero possibili senza un disco fisico in mano.

D Come ultima domanda, forse banale, ti chiedo un a tua top five o top ten dei jazzmen più amati

R Ecco una lista dei Top 12 jazzisti: Keith Jarrett, Gonzalo Rubalcaba, John McLaughlin, Pat Metheny, Kurt Elling, Diane Reeves, Joey de Francesco, Ella Fitzgerald, Pino Daniele (sì, sì… è anche lui per me è un jazzmen), Miles Davis, Bill Evans, Sarah Vaughan.

D E Jany, se ti va, dimmi anche tre dischi da classica isola deserta.

R Tre album da portare su un’isola deserta, Guido? Direi My Song di Keith Jarrett, uno di Pino Daniele (devo riflettere perché la scelta è dura) e A Long Way di Jany McPherson (non perché sia all’altezza degli album che ho citato, ma perché è la musica della mia anima)…

Jany McPherson (ph. Arturo Di Vita)

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