Tra Lisistrata e Stoicheia. Intervista a Massimo Barbiero. Il raffinato percussionista eporediese tra duo ed Enten Eller, tra Markus Stockhausen e Iva bittova

/ di Guido Michelone //
D Massimo, di recente hai pubblicato quasi in contemporanea due dischi: come mai questa scelta?
R Semplicemente perché erano pronti, registrati a distanza di quattro giorni uno dall’altro e diversissimi tra loro. Ascoltate le registrazioni sono dei live, mi sono reso conto che c’era musica. Spesso i cd nascono da un’urgenza espressiva e, quando pensi che la musica vi sia, è giusto pubblicarli.
D Tra l’altro sono dischi autoprodotti: perché hai rinunciato a una label? Non ne esistono più di buone nel jazz in Italia?
R Pur pubblicando ogni tanto cd con label (Caligola, Jando, Dodicilune), si deve essere onesti, solo in Italia ci saranno 70-80 etichette, nessuna, o quasi, promuove e produce il lavoro dei musicisti semplicemente stampano i cd e li vendono ai musicisti stessi. Tutti lo sappiamo, ma fingiamo di non vederlo, per anni Splasc(h) Records mi pagava studio e dava minimo 200 copie ai musicisti, oltre a pagare l’eventuale ospite straniero. E soprattutto distribuiva in maniera seria. Oggi nessuno lo fa, né i musicisti controllano che venga fatto… certo il mercato è cambiato, ma io ho un’età e un minimo di credibilità, ragion per cui un mio lavoro sia esso un solo o faccia parte di progetti vari, ottiene sempre decine di recensioni e attenzione da parte della critica , anche se autoprodotto, anzi spesso anche di più che per una label… ma molti o sono giovani o ingenui o semplicemente vogliono credere che il mondo sia quello di venti trent’anni fa.
D Un prima realtà evidente che accomuna i due album è la presenza di due noti musicisti stranieri: è una scelta per darsi visibilità oppure c’è qualcosa di molto più profondo?
R Mai fatto simili operazioni, ogni ospite nei miei lavori arriva dopo lunghissimi percorsi. Enten Eller ebbe Tim Berne dopo 15 anni di storia o Odwalla Billy Cobham dopo altrettanti… e le recensioni sottolineavano come non sembravano ospiti ma erano integrati perfettamente nel “suono” del gruppo, ma quel “suono” deve esistere, devi averlo… come del resto stanno scrivendo della Bittova, che ha avuto zero prove ma poche chiacchiere al bar prima del concerto, oltre le parti e la struttura del concept, ma tutti scrivono che sembra abbia sempre suonato con noi.
D La Bittova con il tuo quartetto Enten Eller e il duo con Markus Stockhausen?
R Nasce da almeno quindici anni di rimandi… Markus è molto impegnato, ma incrociandoci a vari festival e chiacchierando a cena e a colazione ipotizzammo questo duo, sfiorando più volte la possibilità, poi semplicemente si è presentata l’occasione al festival che io organizzo e abbiamo immaginato un concerto performance, c’è anche la danza di Roberta Tirassa, in un luogo particolare che conosci l’archivio storico Olivetti. L’ospite per la visibilità, non fa parte della mia cultura, e nel 90% produce risultati sterili che non producono mai musica.
D Hai lavorato anche con artisti nord (TIm Berne) e sudamericani (Girotto):cosa distingue l’approccio tra noi europei e gli americani?
R Potrei aggiungerti Alexander Balanescu o Baba Sissoko, Don Moye o Hamid Drake… ma io continuo a pensare che suono con uomini, persone oppure che vi siano relazioni empatiche, affinità elettive o culturali. Il resto è materiale per la critica o psicologi spiccioli. Non mi sfugge il senso della domanda, ma potrei mettere a confronto il quartetto americano e quello europeo di Keith Jarrett o molta musica colta europea o americana, ma preferisco un approccio in cui le varie esperienze, musicali, di vita si mescolano e le cose dette a cena politica letteratura, cinema pittura… ti portino a cercarti nella musica, serve una disponibilità a lasciarsi andare, a rischiare a non cercare la confort zone dove non accade mai nulla, e anche li sappiamo che nel jazz, e non solo sta diventando ormai lo standard.
D Altra realtà accomunante è il riferimento alla cultura classica greca: ce lo vuoi spiegare?
R Quello è da sempre uno dei miei riferimenti, anche se puoi trovarci altro, nei tanti cd da Joyce a Kandinsky o da Pavese a Perrault. Diciamo che nel mito, nelle pieghe di figure tragiche spesso puoi concentrare un “tema” puoi scavare nei contenuti e cercare d dare un senso ad un progetto e non ridurlo solo all’ennesimo disco di standard o vari omaggi. Lisistrata ad esempio si rifà ovviamente alla commedia di Aristofane ma che è praticamente il primo testo pacifista e se vogliamo femminista (avviene durante la Guerra del Peloponneso dove mariti e figli morivano) , la struttura dei temi e improvvisazioni racconta e descrive , o ci prova, l’epoca che viviamo oggi l’essere immersi in guerre usate a mo’ di special televisivi, dibattiti o promo elettorali ma distanti anni luce da carne, sangue e sofferenze d quello che è una guerra. Serve ? Non lo so, ma non mi giro dall’altra parte e non cerco misere soluzioni con un versamento su Telethon o con qualche post pacifista serve un lavoro più profondo, intimo con cui confrontarsi quando si rimane soli, perché è in quella solitudine che si fanno i conti.
D Ci parli ora in dettaglio della musica di Lisistrata e Stoicheia?
R Lisistrata è un concept di Enten Eller (Alberto Mandarini,Giovanni Maier,Maurizio Brunod) gruppo che compie 38 anni e che non suonava da prima della pandemia, vi sono due ospiti, un secondo contrabbasso Danillo Gallo e la violinista cantante Ceca Ivà Bittòva, che seguo da trent’anni. Il duo con Markus (e la danzatrice Roberta Tirassa, che nel cd non si può vedere ovviamente) è un’improvvisazione o forse meglio definirla musica intuitiva. Dove nulla è stato concordato prima, il tutto su una terrazza che da su Ivrea in un parco dell’Archivio storico Olivetti
D Diversi critici, come dicevamo, hanno sottolineato la naturalezza con cui sia la Bittova sia Markus si sono inseriti nelle tue musiche: come la spieghi?
R Ci sono affinità musicali, percorsi spesso simili, ma alla fine è tutto più semplice, devi cercarti ascoltarti sapere non suonare quando suona l’altro. Viviamo in un’epoca di rumore, chiasso violenza…. Serve pudore, rispetto nella musica l’ascolto è tutto, devi ascoltare riscoprire il silenzio. È la musica la prima cosa non tu che suoni, devi metterti al servizio e credimi non sto parlando di banalità da new age o meditazione, ma ti direi la stessa cosa per John Coltrane o Arvo Part.
D Che metodi diversi di lavori usi nel suonare col tuo quartetto o da solo con un ospite?
R Non vi sono “metodi” e tieni conto che per il termine metodo io ho il massimo rispetto sia da didatta che lettore e studioso di filosofia… ma preferisco un approccio come detto in precedenza sul costruire rapporti, certo va detto io immagino i progetti, immagino con chi realizzarli, ma non mi sognerei mai di dire ad uno come deve suonare, ballare, fotografare… il progetto è immaginare uno spazio e collocarci persone che tu pensi lo riempiranno nel migliore dei modi ma si devono divertire, sentirsi a loro agio altrimenti sarà solo un “esercizio di stile” e non accadrà nulla verranno suonate le note giuste…ma come diceva Monk… sono quelle sbagliate che fanno la differenza. Non mi piace dirlo ma certo che io ho in mente quello che deve uscire ma cerco di fare in modo che esca in maniera naturale, deve stupire anche me. Servono le persone giuste in Odwalla almeno il 90% di quello che suoniamo è scritto ma nessuno sembra accorgersene. In Enten Eller le parti free sembrano più scritte di quelle improvvisate e viceversa… è il quadro in cui tutto è immaginato che è fondamentale.
D Nonostante la mole di lavoro che stai conducendo da decenni, mi sembra che il mercato purtroppo continui a preferire un mainstream talvolta banale a cui persino o i ‘grandi’ (Bolani, Rea, Fresu) si adeguano. Tu ci hai mai pensato? Hai mai pensato di fare ad esempio un tributo ai Beatles per raggiungere maggior popolarità?
R La situazione è delicata (vedi tu se vuoi pubblicarla) la situazione negli ultimi dieci anni è degenerata in maniera preoccupante prima si suonava, poco ma si suonava, e tolti quei tre, quattro nomi che devi mettere (organizzo un festival e lo so…) perché l’Italia è ormai un Paese che definire provinciale è ancora poco (per dirla con Giorgio Gaber i limiti che abbiamo c’è li dobbiamo dire), ma si è creata una situazione di becera politica di spartizione che solo un analfabeta può non vedere e se non sei nella stanza dei bottoni non suoni più, sono parole che non mi attireranno simpatie ma vedo che nessuno ha il coraggio di affrontare il tema per paura di essere messo nell’angolo, e come sempre l’Italia paga questa sua propensione a piegarsi, tacere pur di avere qualcosa in cambio. I credo solo che vi sia un limite che non si può superare, che vi è una dignità, come sai ormai 25 anni fa sono stato in quella azienda chiamata Olivetti ed ero nel sindacato (vedi il cd Exstinzione) e anche per le mie letture, i diritti e la possibilità di camminare con la schiena dritta non è materia barattabile. Soprattutto se suoni jazz perché in quel caso vuol dire che hai capito poco di quella musica da Leroi Jones a Carles et Comolli, eccetera, e che hai ridotto tutto a qualche settima diminuita, ma quella è un’altra cosa. Io vedo da recensioni, interviste da sempre che ho conquistato una stima importante, certo non ci paghi le bollette, ma ti fa dormire sereno.
D Progetti per l’immediato futuro?
R Esce a giugno il cd (per Dodicilune) Live at Billia con il trio Gulliver, il terzo, Danilo Gallo, Maurizio Brunod, con ospite Roberto Ottaviano, dove esploriamo brani dal mondo, melodie antiche a volte sconosciute, trattate tra improvvisazione e melodia c’è Finlandia, Etiopia, Grecia, Turchia c’è pure la Palestina che esiste nonostante ci sia chi lo nega. Verrà presentato il 18 luglio a Saint Vincent.
