«Inceptum» di Lewis Saccocci, le nuove sfide dell’organ trio jazz, fra tradizione e contemporaneità (WOW Records, 2025)

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Lewis Saccocci riesce a conglobare elementi della tradizione e soluzioni melodiche, armoniche, ritmiche e timbriche proiettate nella contemporaneità, basandosi proprio sulla molteplicità espressiva dell’organo e sulla sua personale ricerca stilistica, capace di ottenere una riconoscibilità immediata sin dalle prime note.

// di Francesco Cataldo Verrina //

Il suono dell’Hammond risulta molto caratterizzante e, come prima sensazione, rimanda ad alcune particolari epoche della storia della musica del Novecento: il soul-jazz degli anni ’50, l’R&B degli anni ’60 ed il rock degli anni ’70. Per quanto l’Hammond (se si pensa all’ingombrante B3) possa apparire retrodatato, oggi esistono ottime tastiere elettroniche, più leggere e trasportabili che riescono a surrogarne le sonorità, tutto ciò ha avvicinato molti giovani musicisti jazz al suono dell’antico strumento ecclesiale, i quali dal pianoforte si sono avvicinati all’organo, talvolta ad integrare, mentre per alcuni di essi è diventata una scelta di campo ben precisa come nel caso di Lewis Saccocci.

Il musicista romano è riuscito a stabilire con lo strumento una vera simbiosi creativa, divenendo una delle punte d’eccellenza nell’ambito di un jazz a larghe falde declinato, attraverso le infinite possibilità espressive dell’Hammond che oggi, in ambito jazzistico, si colloca in una posizione di templare della tradizione appartenuta ai padri fondatori come Jimmy Smith, Larry Young, Lonnie Smith o Jack McDuff, ma che si è cristallizzata nel tempo aprendosi alla contemporaneità grazie a personaggi di raccordo come Joey DeFrancesco, scomparso anzitempo, appena cinquantenne, il quale ne ha sperimentato le possibilità nei contesti più disparati: da Miles Davis a Van Morrison. Saccocci, in una recente intervista, alla domanda sull’attualità dell’Hammond ha dato una ficcante definizione dell’organo e delle sue infinite potenzialità espressive: «Dividerei la risposta in due parti», ha detto il musicista romano. «La prima sull’Hammond come strumento in generale. È apprezzato perché ha delle potenzialità quasi infinite, può essere un sibilo, un sussurro o può sovrastare qualsiasi altro strumento con il suo volume e la sua ampiezza armonica. La seconda riguarda l’organo nel jazz: svolge un lavoro completamente diverso perché ha anche il ruolo del bassista e quindi il trio, o comunque la sezione ritmica, cambia completamente perché il basso ha un suono potente, meno pulito visto che non ha la definizione della corda, però crea questo abbraccio gigante che coinvolge tutta la ritmica e il solista.».

Nel suo nuovo album «Inceptum», che in latino significa «Iniziato», Lewis Saccocci riesce a racchiudere elementi della tradizione e soluzioni melodiche, armoniche, ritmiche e timbriche proiettate nella contemporaneità, basandosi proprio sulla molteplicità espressiva dell’organo e la sua personale ricerca stilistica, capace di ottenere una riconoscibilità immediata sin dalle prime note. A sostenere l’organista nel suo itinerario sonoro, ci sono due musicisti di rango: Enrico Bracco alla chitarra e Valerio Vantaggio alla batteria, con i quali Saccocci stabilisce un’autentica circolarità di movimento, di scambio e di interscambio. Basta ascoltare fugacemente l’album per comprendere quanto affiatamento vi sia fra le singole parti e come esse riescano ad addensarsi nei punti di massima confluenza, quando il suono diventa più groovy. In riferimento agli otto brani che compongono il disco, Saccocci dichiara. «Alcuni vengono da una gestazione più lunga e hanno ritrovato nell’organo la loro lettura migliore, altri invece, e sono la maggior parte, sono stati scritti proprio per questa formazione e per questo progetto. Ci ho messo un po’ a selezionare quelli che secondo me potevano andare in un’unica direzione, pensando proprio a Valerio Vantaggio alla batteria e a Enrico Bracco alla chitarra, musicisti perfetti per me, sia umanamente sia musicalmente».

L’opener dell’album è affidato a «Il Prenestinato», in cui emergono tematiche autobiografiche legate al quartiere, il Prenestino, dove Lewis ha vissuto. Un ottimo abbrivio che offre una chiara visione di elementi concatenati fra nostalgia, ricordi e suggestioni giovanili che la chitarra tratteggia perfettamente nell’introduzione del tema, lasciando poi a Saccocci il compito dell’Io-Narrante, il quale si abbandona in un crescendo di sonorità a volte più acide e strisciate, come se le rimembranze si accatastassero nella mente attraverso un cumulo di emozioni. A seguire, «Il Pirata», un’ode all’indimenticabile Marco Pantani, che sottolinea la passione di Lewis per il ciclismo. Qui l’atmosfera diventa più brunita e struggente, inizialmente, quasi un soffio leggiadro al calar della sera, mentre l’organo s’introduce nei suoi abissi armonici, che si protraggono per oltre otto minuti, diventando romantico, languido e tagliente al contempo. «Un amaro compromesso» ha le sembianze di una ballata soulful, che si trasforma in una luminosa vetrina per la chitarra di Bracco, mentre in molti frangenti Saccocci si limita a puntellare il territorio come se stesse suonando un vibrafono. «Onetime Episode» scava un solco profondo nella tradizione, a metà strada fra l’atmosfera churching ed un classico boogaloo soul jazz. «Lament For JDF» è un sentito tributo a Joey DeFrancesco, una delle principali influenze di Lewis Saccocci, in cui chitarra ed organo s’inabissano in una perifrasi sotterranea e piena di pathos, fino a giungere ad crescendo rapsodico e rabbioso in cui l’Hammond libera tutto il suo PH acido, mentre la chitarra si cala nuovamente nei cromatismi bruniti e crepuscolari. «Una strana piega» se la gioca sull’arte dei cambi: dopo un abbrivio molto funkified, gli animi si stemperano in una dimensione più meditativa, ma sempre alquanto metropolitana, come se vi fosse stato il trapasso dal giorno alla notte; per contro, l’incedere percussivo della batterista, Valerio vantaggio, riporta il quadro sonoro alla cornice iniziale. «Malcompensi stilografici» usa le medesime carte nautiche, mantenendosi in rotta con le coordinate del progetto, basato molto sul gioco dei contrasti e segnato da qualche allucinata distorsione sonora, quasi psichedelica. In chiusura, «One For Sara» diventa la dimostrazione lampante che perfino uno strumento potente, sferzante, roboante ed assoluto come l’Hammond possa distillare piccole gocce di poesia, divenendo seducente e romantico. Tirando le somme, va detto che «Inceptum» di Lewis Saccocci, per i cultori dell’Hammond o del classico organ trio jazz, se non una conferma, potrebbe essere una piacevole scoperta.

Lewis Saccocci

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