Charlie-Parker-Ornithology-The-Best

Il Charlie Parker risolutore anche nelle condizioni più disparate, capace di prodezze, perfino quando tutto sembrava perduto (…) Chi tra i viventi ha avuto il privilegio di sentire Parker nelle sue performance live, quando ne parla è ancora raggiante ed il viso gli si illumina.

// di Francesco Cataldo Verrina //

Charlie Parker è stato un funambolo capace di districarsi nelle situazioni più disparate e, sovente perfino in condizioni estreme dal punto di vista psico-fisico. Il sassofonista di Kansas City aveva la capacità di estraniarsi del contesto e di suonare a prescindere da quanto stesse accadendo intorno a lui. Come abbiamo avuto modo di scrivere in altre circostanze, generalmente, quando si ascoltano talune performance di Parker, alle prese con i suoi assoli, le repentine fughe, i suoi i intervalli e le progressioni ascendenti con chiusure improvvise sull’ultima nota, si dimenticano tutti gli altri strumenti, ed è una sensazione, o se preferite, una suggestione largamente condivisa.

Il 30 luglio del 1953, Bird, con il suo immancabile ritardo, varcò l’uscio di uno studio newyorkese per registrare una sessione per la Verve che venne subito fu considerata un disastro. Gil Evans, già arrangiatore nell’orchestra di Claude Thornhill e, incubatore del nonetto di Miles Davis, aveva arrangiato alcune canzoni di Cole Porter, tra cui «In The Still Of The Night». L’ensemble comprendeva un corno francese, un oboe e un fagotto, a cui fece suonare armonie relativamente complesse, mentre un coro misto dalla vocalità melliflua cantava i testi. Immaginate Stravinsky che arrangia per Perry Como. All’abbrivio, Charlie Parker sembrerebbe intrappolato in una giungla da cui non riesce a districarsi. Le prime take partono a rilento: il coro canta su un tempo diverso da quello del line-up e la batteria di Max Roach è poco udibile, soprattutto dal coro. Eppure, sta per accadere qualcosa di sorprendente. Dopo la ripresa di un altro tema imperfetto, Parker decide di suonare comunque, mentre una raffica marea di frasi fascinosamente modellate ed articolate escono dal suo sax, quasi per magia: un turbine di note, ma il controllo mercuriale di Bird è indiscutibile, forse ignaro, ma non del tutto, che la registrazione fosse inutilizzabile. Ciononostante, continuò a suonare al massimo delle sue possibilità fisiche e mentali, solo per la gioia di fare musica, mentre ogni assolo sprigiona una forza ed un energia sovrannaturale.

A differenza del personaggio sudato e rockeggiante interpretato da Forest Whitaker nel film «Bird» del 1998, Parker sembrava sempre chiuso in se stesso; era un «osservatore» capace di valutare il pubblico anche quando una ridda di frasi virtuosistiche e radicalmente inventive fuoriusciva copiose dal suo strumento come sangue da una ferita profonda, ma con la medesima noncuranza e disinvoltura riscontrabile nella versione live di «Confirmation» inclusa in questa antologia di registrazioni per la Savoy. Parker poteva mettere occasionalmente in difficoltà gli strumentisti che lo accompagnavano, ma il suo modo di suonare risultava sistematicamente coinvolgente. In tanti fra i suoi sodali ammisero che Bird fosse musicalmente intimidatorio. Il trombettista Howard McGhee, raccontò che non vedeva l’ora di che iniziasse il concerto, ma che poi non vedeva l’ora di scendere dal palco. «Ornithology: The Best of Bird» è una raccolta della Savoy Records che inizia con l’improbabile versione di «Koko», basato su una melodia di sessantaquattro battute. «Cherokee» fu realizzato in coda a una leggendaria sessione, apparentemente maledetta, il 26 novembre 1945. Il pianista non si presentò e Parker aveva evidenti problemi con il sassofono: il suo lo aveva impegnato. Miles Davis doveva essere il trombettista, ma venne sostituito su «Koko» da Dizzy Gillespie, che alla bisogna offrì perfino qualche accordo al pianoforte. Si dice che il giovane Miles non fosse in grado di eseguire l’introduzione di «Koko», come richiesta da Parker.

Nella prima registrazione, qui non inclusa, la band iniziò a suonare la melodia di «Cherokee», ma venne invitata a fermarsi. Si presume che la Savoy non volesse pagare i diritti d’autore per questa melodia, oltremodo riconoscibile. Un’altra ragione potrebbe essere la mancanza di tempo a sufficienza per l’intera esecuzione del tema e per le relative improvvisazioni. Per contro, la registrazione pubblicata coglie direttamente all’assolo di Parker ed una progressione di Max Roach. L’album contiene altre due take del 26 novembre. «Now’s the Time» che si caratterizza come un motivo immediatamente memorizzabile, registrato un’infinità di altre volte. Il trombettista di turno è sicuramente Davis, ma risulta assai differente dal virtuoso – si dà per scontato che fosse Gillespie – il quale suona nell’introduzione di «Koko». C’è una palpabile delusione nel momento in cui Miles finisce e cede goffamente il passo ad un assolo di basso poco evidenziato dalla modesta ingegnerizzazione. Il terzo componimento incluso nel disco, proveniente dalla stessa sessione, è «Billie’s Bounce»: questa volta l’assolo di Davis è da manuale. La raccolta prosegue con un altro capolavoro di Bird, «Parker’s Mood». A conti fatti, parliamo una sessione in quartetto che dovrebbe mettere a tacere tutte le critiche, almeno per il contributo e l’impegno profuso da Parker.

Gli ultimi cinque componimenti inclusi in questa antologia sono esecuzioni dal vivo. Nelle note, Ashley Kahn sostiene che gli ascoltatori in genere abbiamo perso la capacità di «capire quanto intensa e impegnativa fosse la musica di Bird ai suoi tempi… e quanto potesse spaventare il pubblico più sprovveduto». Un tipo di affermazione fuori luogo, anche perché la gente continuava a tornare al Royal Roost, alla Carnegie Hall e alla Massey Hall o dovunque Parker suonasse e non sembrava per nulla spaventata. Chi tra i viventi ha avuto il privilegio di sentire Parker nelle sue performance live, quando ne parla è ancora raggiante ed il viso gli si illumina. Nello specifico, lo «spaventoso» Bird distilla un lungo assolo in «Confirmation» fissato su nastro alla Carnegie Hall e la folla risulta plaudente ed in tripudio, più che atterrita. Ci sono tre esibizioni selezionata da trasmissioni radio riprese dal dal vivo al Royal Roost. Il sassofonista Sid Torin introduce «Ornithology» di Parker, in modo divertente, fedele alla stesura originale, per contro Al Haig, pianista al Roost, risulta leggermente lontano dal microfono. Bird è indiscutibile come al solito, mentre Kenny Dorham, che suona la tromba in «Groovin’ High» e nell’uptempo «Anthropology», appare più adatto al quintetto di Parker, più di quanto non lo fosse Miles Davis. A metà assolo, su «Anthropology», Bird attinge a una delle sue figure preferite, citando «High Society», un classico dello stile New Orleans; dal canto loro, Milt Jackson ed il sassofonista tenore Lucky Thompson danno un rilevante contributo con due ottimi interventi.

L’album si chiude con «Salt Peanuts», tratto dal famoso concerto alla Massey Hall del 15 maggio del 1953. Parker introduce il tema come composto da Dizzy Gillespie, dal canto suo Dizzy urla in sottofondo, mentre la folla va in visibilio. Mingus, che era in possesso dei nastri, pubblicò il concerto per la sua etichetta Debut con una nuova partitura di basso sovraincisa in alcuni frangenti. Sia i nastri originali che le versioni modificate dei brani sono presenti anche in «Charles Mingus: The Complete Debut Recordings». In sintesi, nella tracklist, si spazia dal 1945 al 1953, tra incisioni in studio (con il giovane Miles Davis) e dal vivo, finendo con un brano del «Greatest Concert Ever» alla Massey Hall di Toronto, presente tutto il Ghota del bebop schierato in assetto da combattimento: Charlie Parker, Dizzy Gillespie, Bud Powell, Charles Mingus e Max Roach. L’antologia risulta, però, frammentaria e zavorrata per esigenze di mercato, sebbene non sia difficile cogliere la grandezza di Charlie Parker, il quale, come da copione, dà l’idea aver già suonato tutto ciò che c’era da suonare e che agli altri rimanesse sempre ben poco. È questa una delle costanti della discografia di Bird: si viene rapiti dal suo sax e, raramente, si presta attenzione a tutto il resto. (Charlie Parker – «Ornithology: The Best of Bird», 2004)

Charlie Parker, 1947

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