Vinile sul Divano: fughe extra moenia

/// di Gianluca Giorgi //
The Charlie Munro Quartet, Eastern Horizons (1967 ristampa ltd ed 500 copie 2015)
“Eastern Horizons”, un classico fuori stampa da tempo, del violoncellista e suonatore di fiati australiano Charlie Munro, ora di nuovo disponibile. Registrato nel 1967 è considerato un punto di riferimento del jazz australiano e una delle registrazioni moderne più iconiche dell’Australia, “Eastern Horizons” è il risultato di diverse sessioni di workshop jazz registrate a metà degli anni ’60 a Sydney. Un’esplorazione pionieristica del jazz moderno di influenza orientale che rappresenta uno dei primi prototipi del genere, probabilmente prima di altre registrazioni internazionali della fine degli anni ’60 e dei primi anni ’70 influenzate dalla musica orientale e dall’indo jazz e che hanno avuto più riconoscimento. Fondamentalmente una miscela eccellente di jazz e musica americana suonata da non americani e musica orientale suonata da occidentali. Seguendo le orme di Coltrane dei primi anni ’60 e del jazz esotico di Yusef Lateef, il Quartetto ha deciso di sperimentare varie influenze orientali, come le scale islamiche, indiane, ebraiche e giapponesi. Con importanti musicisti jazz di Sydney; Charlie Munro (sassofonista e violoncello) e Mark Bowden (batterista e percussionista), hanno arruolato i giovani musicisti Neville Whitehead al basso (Neil Ardley e Ian Carr) e il miglior trombonista turnista di Sydney Bob McIvor (Sven Libaek), insieme hanno approfondito l’esplorazione del jazz moderno. Munro, supportato da un suono di basso potente che si unisce al trombone e alle percussioni, riesce a produrre un disco avvincente, in cui le note del tempo orientale, le improvvisazioni jazz e le armonie classiche occidentali si fondono perfettamente. La musica è a volte modale nella struttura e occasionalmente più libera nello stile, ma non perde mai la sua dolcezza di fondo. Sicuramente un disco non per i puristi. Munro mostra uguale virtuosismo sia ai fiati che sul violoncello, mentre gli altri eccellono nei rispettivi strumenti. A differenza delle registrazioni indocentriche di Pharoah Sanders e di Alice Coltrane che traevano ispirazione dalla musica orientale e trasportavano l’ascoltatore alla meditazione, “Eastern Horizons” è più come viaggiare o guardare un film su luoghi esotici. Ripubblicata per la prima volta in 35 anni, questa nuova ristampa è un’importante visione del jazz australiano poco conosciuto eppure altamente avventuroso degli anni ’60. Un disco intrigante, con un suono esotico, inciso da una parte del mondo non ben nota per il suo jazz, da scoprire ascolto dopo ascolto.
Work Money Death, People of the Fast Flowing River (2025)
I Work Money Death da Leeds si stanno imponendo nel panorama musicale inglese e non, come una delle migliori nuove band jazz. Dopo 2 ottimi album arriva il terzo lavoro che continua il percorso intrapreso dal combo nell’esplorazione di tutto quello che orbita intorno al jazz spirituale, con il gruppo formato dal pianista Richard Ormrod, dal bassista Neil Innes e dal batterista Sam Hobbs che creano una potente base per le “scorribande” del sassofono tenore “soul” di Tony Burkill. In questo nuovo lavoro il quartetto è inoltre supportato da: Johnny Enright (trombone), James Hobbis (tuba), Danny Templeman (percussioni), Sam Bell (congas) e Olivia Cuthill & Tom Sharp (trombe). Una menzione a parte per Richard Ormord, che sembra essere il musicista (polistrumentista) più influente nel disco. Con un tocco misurato suona: pianoforte, armonium, Wurlitzer, flauto, flauto contralto, sassofono baritono, clarinetto contrabbasso, corno tenore ed eufonio. Questo nuovo lavoro, anticipato dall’ottimo singolo “We are the people”, si compone di 4 tracce, ognuna delle quali ha come tema un fiume che scorre. I brani musicalmente spaziano dall’India all’Africa centrale, dal suono blues meditativo di Alice Coltrane “The River Becomes The Stream” al soul di Galt MacDermot “We Are The People”, con intricati suoni stratificati di siharmonium, congas, flauti tremo che donano calore e profondità a brani come “Headwaters Of The Soul” e “The Fast Flowing River”. Questo ultimo brano è una traduzione moderna della vecchia parola “lantenses”, che fa riferimento alle persone di Leeds, città di provenienza della band. Nel disco forse manca un po’ di “caos”, comunque le estese jam continuano a dare le stesse vibrazioni molto Pharoah Sanders e Alice Coltrane. Un album pieno di dettagli sfumati fatto da registrazioni improvvisate di alta qualità che attingono alle radici del jazz spirituale nella sua forma più coinvolgente e autentica con un suono ricco e di ispirazione globale.


Joki Freund Sextet, Yogi Jazz (1964 ristampa ltd ed 500 copie 2018)
Walter Jakob “Joki” Freund (1926-2012), un nome ancora non molto conosciuto, è stato un musicista importante nella scena jazz tedesca degli anni ’60. Soprannominato “Joki” dai tempi della scuola, è nato e cresciuto vicino a Francoforte dove ha sviluppato presto il suo interesse per la musica e ha iniziato a suonare in band locali. L’etichetta Tiger Bay, dopo l’eccellente “Now Jazz Ramwong” dell’’Albert Mangelsdorff Quintet, è tornata con questa ulteriore gemma un po’ trascurata della scena jazz tedesca degli anni ’60. “Yogi Jazz”, senza dubbio il capolavoro di Joki Freund. L’influenza di John e Alice Coltrane è chiara in tutto l’album e il sestetto, per il quale Joki ha riunito un gruppo di giovani musicisti europei che in seguito avrebbero raggiunto una grande notorietà (Wolfgang Dauner al piano e Eberhard Weber al basso), sviluppa un personale concetto di “cool jazz”, toccando apici unici con momenti di originale e rara bellezza. Il disco è composto da sei brani, 3 originali (“Carribean Ringo”, “HL 20” e “Yogiana”) e 3 standard (“Caravan” di Duke Ellington, “Aisha” di McCoy Tyner e “Killer Joe” di Benny Golson) ed è pieno di grandi melodie con diverse sfumature orientali e accenni latini. Il gruppo propone una musica originale e creativa, sviluppando nuove idee e molteplici modi di improvvisare. Nonostante le loro idee rivoluzionarie, questo ensemble d’avanguardia, nel disco, non porta mai la sperimentazione astratta a livelli estremi, anzi sviluppa creazioni musicali comprensibili con una qualità eccezionale. Joki Freund divenne un musicista professionista dal 1948, negli anni è entrato a far parte di diversi progetti e in questo peregrinare incontrò i fratelli Mangelsdorff, Albert ed Emil, con quest’ultimo entrò nel quintetto di Jutta Hip. Formò diverse band, come quella che ha co-diretto con Albert Mangelsdorff, dove ha sviluppato le sue abilità come compositore e polistrumentista. A parte tutti i tipi di sassofono (ma principalmente tenore e soprano) Joki suona tromba, clarinetto, trombone, violino, fisarmonica, sousafono, pianoforte e vibrafono. Inoltre, eccelse come compositore e arrangiatore. Tra le tante iniziative, ha composto la musica per il film “Praeludium in Jazz”, ha suonato in diversi festival e ha preso parte a numerosi progetti che gli hanno fatto guadagnare un posto di rilievo nel panorama jazz europeo. Se questo bellissimo album fosse nato sul suolo americano avrebbe avuto maggior riconoscimento internazionale ed una maggior divulgazione, con maggiori ristampe considerato che le stampe originali sono ormai rare e costose.
Organic Pulse Ensemble, Zither Suite (2024 seconda stampa, ltd ed 500 copie numerate a mano, copertina serigrafata su carta riciclata 2025)
“Zither Suite” è il quinto album degli Organic Pulse Ensemble ed è stato registrato nell’appartamento di Gustav Horneij a Kortedala, appena fuori Göteborg. L’album offre una curiosa miscela di antico e moderno, grazie anche all’uso di una cetra, che ha dato il nome al disco e alla prima traccia, scoperta ed acquistata da Gustav Horneij nel negozio di beneficenza locale. Le tracce dell’album sono tutte composizioni originali ad eccezione di “Jämtland” che è basata su una vecchia melodia popolare svedese, che si dice sia stata suonata da musicisti a Jämtland già alla fine del 1700. La contea di Jämtland rivendica da sempre una sorta di indipendenza dal governo svedese (nello spirito piuttosto che nelle politiche reali) e Jämtlandssången è il suo “inno nazionale” non ufficiale. La title track che apre il disco, concepita per la prima volta dieci anni fa e che finalmente raggiunge la maturità, si basa su una melodia di basso malinconica compensata dai delicati pizzicati della cetra. “Ypocalypse” prende una svolta più oscura, un pezzo elettronico cupo che esplora trame più sperimentali. “Jamtland” reinventa una melodia popolare tradizionale svedese, risalente al 1700, con una sensibilità elettronica contemporanea. Il lato B offre momenti più sereni come nel titolo appropriato “Peace Piece”, mentre “Respect” si estende per dieci minuti in un’esplorazione lenta di paesaggi sonori in evoluzione e melodie emotive. “Compassion” chiude l’album con le sue trame delicate e le armonie rilassanti offrendo un momento finale di riflessione. La cetra, anche se non è presente in ogni traccia dell’album, è importante nello spirito dell’album nel suo complesso ed è il tappeto che lega insieme la “stanza”. Questo nuovo album dell’Organic Pulse Ensemble, un gruppo jazz spirituale di un solo uomo con sede in Svezia, diretto da Gustav Horneij, è il terzo album in meno di un anno e rispecchia il lavoro costante di Gustav, bravo nel suonare tutti gli strumenti (flauti, pianoforte, arpa, percussioni e corni) da sembrare che suoni una grande ensemble. Disco che sarà apprezzato da tutti i fans di Alice Coltrane della fine degli anni ’70, di Nat Birchall con le sue opere che si rifanno ai giganti del jazz del passato o del lato più jazz del lavoro di Panfilov. Edizione in 500 copie numerate a mano, già esaurite. Bellissima copertina serigrafata.

