Gunther Schuller. La mia premessa ideale di Third Stream

Gunther Schuller
// di Guido Michelone //
Tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio dei Sessanta anche Gunther Schuller (1925-2015) è nel mirino dei critici quando teorizza e sostiene un metodo (quasi una scuola) di composizione che battezza ‘musica della terza corrente’. Si tratta di un’autentica ‘filosofia’ che attinge liberamente tanto dal gergo jazz quanto dal vocabolario classico, senza che nessuno dei due sottometta l’altro. La novità schulleriana sfocia dall’idea alla prassi che si può facilmente ascoltare nell’album collettivo Jazz Abstractions (sottotitolo John Lewis Presents Contemporary Music: Compositions by Gunther Schuller and Jim Hall, uscito da Atlantic nel 1961) che, a sua volta, combina elementi dell’atonalità della seconda scuola viennese con figure del modern jazz. Schuller vanta pure un impressionante curriculum quale suonatore di corno, esibendosi da un lato con l’American Ballet, la Metropolitan Orchestra, dall’altro con il tentet (o tuba band) del Miles Davis di The Birth Of The Cool (1949-1950). Negli anni Sessanta, durante l’esecuzione della parte del corno nella Sagra della primavera di Stravinskij, Schuller incontra un altro grande compositore americano che spesso chiede al jazz in prestito armonie e ritmi: Leonard Bernstein. Bernstein, direttore della partitura stravinskijana viene così impressionato dal modo di suonare il corno di Schuller, da offrirgli di eseguire la prima di una delle composizioni; e, nel 1967, il suo capolavoro, Triplum No. 1 for Orchestra – può vantare la première alla Philharmonic Hall di New York City con Leonard sul podio. Un anno dopo, nel 1968, inizierà a scrivere un’enciclopedica storico-musicologica del jazz medesimo, interrotta solo dalla morte.
Ma procedendo con ordine, bisogna ora approfondire alcuni episodi biografici che si riflettono nella carriera artistica di Gunther Alexander Schuller – nato a New York il 22 novembre 1925 e scomparso a Boston il 21 giugno 2015 –facendo di lui tra gli anni Sessanta e Novanta del secolo scorso un personaggio di assoluto rilievo nel più generale panorama della moderna cultura statunitense, fondamentale tanto come strumentista e compositore quanto nel ruolo di docente, teorico, musicologo. Cresciuto nel Queens, figlio di genitori tedeschi, Elsie (Bernartz e Arthur E. Schuller (violinista della New York Philharmonic) Gunther studia alla Saint Thomas Choir School diventando un affermato suonatore di corno francese ee di flauto traverso. Appena quindicenne suona già a livello professionale con l’American Ballet Theatre, ottenendo poi da l’incarico di cornista principale con la Cincinnati Symphony Orchestra e quindi con la Metropolitan Opera Orchestra di New York, dove rimase ininterrottamente dal 1945 al 1959. Durante la giovinezza, frequentò la Precollege Division alla Manhattan School of Music, per poi insegnare in quella stessa scuola, ma abbandonando le superiori per suonare professionalmente, Schuller non riuscirà mai a conseguire una laurea da nessuna istituzione (senza che, insomma, qualche ateneo gliene consegni uno ad honorem, titolo invece conferito a musicisti molto meno bravi di lui).
Nel 1955, Schuller assieme al pianista jazz John Lewis fonda la Modern Jazz Society (nota poi come Jazz and Classical Music Society), tenendo il primo concerto nella prestigiosa Town Hall di New York lo stesso anno; nel 1957 invece mentre tiene lezioni alla Brandeis University, conia l’espressione “Third Stream” per descrivere la musica che combina tecniche classiche e jazzistiche. Diventa subito un entusiasta sostenitore di quest’idea mettendola in pratica scrivendo molte partiture. Soprattutto dal 1957 al 1960, tra cui Transformation per ensemble jazz, Concertino per quartetto jazz e orchestra, Abstraction per nove strumenti e Variants on a Theme of Thelonious Monk per tredici strumenti, utilizzando due esponenti del free quali Eric Dolphy e Ornette Coleman. Nel 1966, compone musiche e libretto del melodramma The Visitation ispirato a un racconto di Franz Kafka. La trama dell’opera infatti riguarda tre uomini e un ispettore si intromettono nella quotidianità di Carter Jones, uno studente di colore, avvertendolo che la sua vita è nota ai loro superiori. Sebbene innocente, viene perseguitato dalla legge e ridicolizzato da amici e vicini di casa. Non riceve alcun aiuto dalle istituzioni come la Legal Aid Society e nemmeno dalla zio o dal predicatore a cui si rivolge alla fine. in una disperazione totale. Vagando senza speranza per le strade, Carter Jones viene inseguito fino alla morte. Dopo il funerale, una processione di umanità esprime i propri sensi di colpa. The Visitation è scritta per cinque baritoni, tre bassi, due mezze soprano, due soprano, sei tenore e un baritono basso, per un coro e per un’orchestra jazz.
E a proposito The Visitation c’è una bella intervista a Schuller di Bruce Duffie in cui gli domanda se si tratta di un’opera che unisce musica standard, se così può chiamarla, a elementi jazz e se con questo criterio stia cercando di creare nuove aperture per un pubblico ignaro di melodramma: “Non è tanto questo – spiega Gunther – e niente di così specifico. È molto più generale e molto più ampio, e non è limitato alla mia opera The Visitation. Per tutta la vita, in un modo o nell’altro, ho cercato di unire il mondo del jazz e della musica ‘dotta’ o ‘classica’. Ho concepito il termine ” Third Stream Music”, che è genericamente applicato a tali tentativi di amalgamare queste musiche. L’ho fatto nella mia composizione e l’ho fatto nelle esibizioni riunendo musicisti jazz e musicisti classici ai concerti o in sedute di registrazione. L’ho fatto anche nella mia pubblicazione e in ogni modo possibile e immaginabile perché mi sento così veementemente contrario alla separazione che è stata imposta al jazz come musica scissa dal mainstream della musica per tutti i tipi di ragioni sociali e razziste non proprio buone. Quel divario e abisso imposto tra la musica ‘classica’ e il jazz è per me qualcosa di completamente insostenibile, filosoficamente”.
La questione interessa moltissimo a Schuller che pare scaldarsi fino a inveire contro i detrattori del jazz che appartengono soprattutto agli ambienti classici: “Ma il punto è che tutta questa cosa chiamata jazz è ancora oggi segregata dal resto del campo musicale. Ci sono sempre più persone che cercano di tenere la musica jazz separata dalla musica classica di quante ce ne siano che cercano di unirle. Per tornare al punto originale, le somiglianze tra jazz e classica sono molto più grandi delle diversità o delle differenze, e su questa premessa la mia lotta per tutta la vita è stata quella di unire queste musiche, e questo è stato fatto molto spesso e con molto successo. Quindi, per tornare a The Visitation, questo è stato solo uno dei tanti esempi in cui ho cercato di farlo portando un gruppo jazz nell’orchestra sinfonica. Hanno suonato nella buca con l’orchestra sinfonica nell’opera, e questo era forse particolarmente appropriato perché The Visitation tratta di pregiudizi razziali e della storia dei neri. Ho pensato che sarebbe stato davvero intollerabile scrivere un’opera del genere senza coinvolgere la musica che i neri hanno contribuito alla nostra cultura. Il jazz è la nostra unica vera musica indigena, nata interamente su suolo nostrano e ancora non molto apprezzata”.
Stranamente The Visitation non viene molto apprezzata da pubblico e critica, mentre uno strabiliante consenso viene ottenuto con la nuova orchestrazione che Schuller propone di Treemonisha, unico melodramma sopravvissuto dell’afroamericano Scott Joplin (1867-1917) geniale pianista di ragtime di successo ma che per l’indifferenza dello show business (in mano ai bianchi) verso quest’opera finisce i propri giorni addirittura in manicomio. Presentata in anteprima nel 1975 alla Houston Grand Opera Treemonisha diventerà ben presto un caposaldo del melodramma statunitense a tutt’oggi il più rappresentato in America dopo Porgy And Bess di Gershwin, nonché la prima opera in assoluto nello stile ‘third stream music’. Circa un decennio dopo Gunther torna a riscuotere consenso e successo grazie alla curatela di Epitaph è una composizione inedita del jazzman Charles Mingus (contrabbassista e band leader, 1922-1979). La partitura, lunga 4.235 battute, richiedente più di due ore per essere eseguita, viene scoperta per intero solo durante il processo di catalogazione dopo la morte dell’autore. Con l’aiuto di una sovvenzione della Ford Foundation, Gunther può quindi lavorare sulla partitura e soprattutto sulle parti strumentali presentando l’opera stessa per la prima volta il 3 giugno 1989 all’Alice Tully Hall: l’orchestra di trenta elementi è ovviamente diretta da Schuller e sponsorizzata dalla vedova di Mingus, Sue, per celebrare il decennale della scomparsa. Si tratta di un lavoro forse riassuntivo dove convergono parecchie idee musicali, non ultima anche la Third Stream. Il titolo Epitaph deriva invece dal fatto che Mingus è convinto di non poterla eseguire durante la propria esistenza dichiarando che la sta scrivendo ‘per la mia lapide’..
In anni recenti il pianista jazz Ethan Iverson intervista un Gunther ormai anziano, ma sempre combattivo, soprattutto quando gli si chiede perché mal sopporta la nuova espressione Third Stream Jazz, dove jazz sostituisce music: “È solo una ridondanza ed è un termine improprio che implica che Third Stream debba essere principalmente jazz. Dovrebbe essere la migliore fusione possibile di queste due tradizioni, senza pendere da una parte o dall’altra, e più è profondamente fusa, meglio è Third Stream. Perché sono contrario a ogni tipo di contaminazione superficiale, in cui hai un po’ di questo e un po’ di quello. La mia premessa ideale di Third Stream, che sarebbe l’unione più profondamente compresa e sentita di queste due tradizioni, che sono comunque enormemente ampie e vaste, sai, c’è molto margine di manovra lì, ma ciò verrebbe fatto nel pieno rispetto di entrambe le tradizioni e nella piena conoscenza di come funzionano e quali sono le cose migliori che hanno realizzato”.
