«Chorale» di Giacomo Papetti / The Loom, un raffinato intreccio sonoro di stoffa pregiata (Barly Records, 2024)

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Un ordito sonoro ricco di cromatismi e di essenze aromatiche lontane nel tempo che toccano le frontiere del free form a livello esecutivo, dove i vari strumenti sembrano distanziarsi progressivamente, per poi ritornare al nucleo gravitazionale dell’idea di partenza, in una sorta di meccanismo perpetuo che si ripete in maniera spontanea e multidirezionale.

// di Francesco Cataldo Verrina //

Con queste parole, attraverso le note di copertina, Giacomo Papetti introduce il suo nuovo lavoro discografico: «L’idea di «The Loom» sorse in me molto tempo fa, ma per varie ragioni si e concretizzata solo di recente e, forse non per caso, in uno dei periodi più difficili ed intricati della mia vita. Come spesso accade, la complessità di fasi tanto dense di ostacoli genera carburante emotivo per l’urgenza dell’espressione creativa. E cosi ho trovalo la forza d’animo di rimettere mano a tante musiche che ho scritto in un lungo lasso di tempo, tra il 2008 e il 2023. Musiche in cui avevo sviluppato la composizione, come spesso mi è più naturale, primariamente come intreccio di melodie simultanee su vari registri. Questo è il filo che mi lega (istintivamente e senza alcuna filologia) a molta musica antica, in cui l’armonia è un mutevole ed ambiguo risultato, piuttosto che una realtà predeterminala che definisce l’ambiente sonoro».

Quando il bassista è il band-leader in un progetto jazz di qualsiasi natura, si genere una chimica particolare. Solitamente, perché i contrabbassisti hanno necessità di avere una prima linea di strumentisti sinergici come «soci in affari», ma soprattutto perché sono fra i più eclettici compositori su piazza. Storicamente, si potrebbe pensare, ad esempio, a Charles Mingus. Al netto di ogni suggestione, il bassista possiede una duplice sensibilità compositiva: in primis quella melodica, ma nondimeno quella ritmica che gli consente di agire attraverso un calibrato controllo della metratura armonica. Basta l’ascolto delle prime due tracce, «Be As You Come» e «The Woolen Cat», per essere risucchiati in una spirale di suggestioni che si ripetono alimentati da una dinamo creativa che proietta il fruitore in un’orbita ellittica, la quale ruota intorno ad un asse che fluttua fra il passato ed il futuro dell’idioma jazzistico. Nelle parole di Papetti c’è una perfetta capacità descrittiva, priva di qualunque fingimento: «Le relazioni tra la forza di gravita dei suoni prodotti dal mio strumento grave, con una o più melodie, prive di una univoca struttura modale, mi hanno sempre affascinato. Per questo, escludendo strumenti polifonici/armonici veri e propri o dall’intonazione fissa, ho deciso di mantenere la vaghezza. come valore estetico: un paesaggio cangiante e lievemente nebbioso. Cosi la fluttuante permeabilità tra le linee, formata dal contrappunto spontaneo in un intreccio generativo, mi ha fornito ispirazione per il nome del progetto: «The Loom» (il telaio, in italiano), uno degli strumenti più antichi sviluppati dalle civiltà umane, e, seppur di estrema utilità pratica, rimane un congegno capace di generare meraviglia estetica attraverso le trame che, gradualmente e con apparente imprevedibilità, disegnano i tessuti, ad esempio nei tappeti persiani o negli arazzi. La suggestione che ad un ordito (i fili stabili sul telaio) si possano intersecare infinite trame, mi ha condotto all’idea operativa che ogni musicista si potesse assumere il ruolo ora dell’ordito, ora delle innumerevoli trame, in modo libero ed estemporaneo, per generare in itinere figure nuove, sempre strettamente correlate alle linee degli altri elementi». Con «Realism» e Lullablue»,si penetra in profondità nel parenchima sonoro dell’album, in cui è percepibile un’idea di costruzione in tempo reale, come una complessa trama di fili che s’intrecciano per dare vita ad un ordito sonoro ricco di cromatismi e di essenze aromatiche, lontane nel tempo, che toccano le frontiere del free form a livello esecutivo. Sensazione convalidata dall’arrivo di «Seguire», «Skein» e «Chorale», dove i vari strumenti sembrano distanziarsi progressivamente, per poi ritornare al nucleo gravitazionale dell’idea di partenza, in una sorta di meccanismo inarrestabile che si ripete in maniera spontanea e multidirezionale.

Nel vergare sul pentagramma i dieci componimenti destinati al suo concept, «Chorale», edito dalla Barly Records, Giacomo Papetti ha escluso volutamente la presenza di uno strumento armonico, per intenderci un pianoforte o una chitarra. Le parole del contrabbassista in proposito sono alquanto eloquenti: «Il fatto di lasciar aperto lo spazio armonico mi ha permesso di sfruttare al massimo la polifonia contrappuntistica, sia scritta che improvvisata, e di valorizzare «l’ambiguità» modale di ogni ambiente sonoro, in funzione dell’interazione estemporanea. Ogni voce strumentale, ogni singola linea melodica, apporta nuovi elementi di riconoscibilità agli accordi impliciti che, in pratica, così si formano e trasformano gradualmente, senza soluzione di continuità, in modo spontaneo, a seconda delle sovrapposizioni che si creano a livello corale». La libertà armonica, che consente ai quattro musicisti di spostarsi come in una prateria libera da fili spinati mentali e strutturali, emerge prepotentemente dall’ascolto di «The Warp And The Weft», che letteralmente significa «L’ordito e la trama», nonché dalle interazioni presenti in «Tihori» e «Mottetto».

Oltre a Giacomo Papetti, titolare dell’impresa, «Chorale» nasce dalla confluenza di alcuni fra i più rinomati improvvisatori continentali: Achille Succi al clarinetto basso, Fulvio Sigurtà alla tromba/flicorno e Nelide Bandello alla batteria, che il bassista-leader ringrazia accoratamente: «Fulvio, per aver «detto» le cose che ho scritto proprio come le avrei volute dire, con quel suono inconfondibile che ha sul suo strumento, e, con riconoscenza, per aver generosamente e magistralmente registrato e mixato questo lavoro con tanta passione e dedizione. Grazie non è abbastanza; Achille per aver saputo, come sempre, portare quel misto di gioco, imprevisto ed eleganza alla musica e alle giornate e, naturalmente, per il buonumore che già solo il suo “ciao!” trasmette; Nelide, per l’arte dell’ironia e per l’appoggio che, non solo stavolta, mi ha dato, per la sua capacita di ascoltare, interpretare e sostenere ogni singolo momento musicale con il suono lirico e libero della sua batteria». La struttura sonora, pur dimenandosi attraverso armonie e ritmi contemporanei, trae ispirazione dalla musica polifonica pre-tonale, antica e rinascimentale, dove i ruoli strumentali sono complementari, mutualistici e mai assoluti, in un susseguirsi di tensione e rilascio, nel quale ciascuno diventa dettaglio e totale, attraverso una visione complessiva della trama sonora. «II disco si chiama «Chorale» – sostene Papetti – perché, al di la dell’ispirazione data dalla musica rinascimentale e medievale (spesso appunto corale), questa vuole essere musica dialogica, collettiva, paritetica e a spiccata impronta vocale, sebbene non vi siano voci vere e proprie. Il dialogo fra i quattro sodali risulta, a dir poco, eccellente, ponendo il disco una spanna più in alto all’interno della messe di magre proposte contemporanee

Giacomo Papetti / The Loom

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