Disco_calcio

// di Guido Michelone //

Trovare connessioni, correlazioni, concatenazioni tra jazz e calcio resta quanto di più difficile (e improbabile) possa verificarsi nell’ambito della cultura contemporanea. Benché nascano più o meno nella stessa epoca (fine Ottocento) la cosiddetta musica dei ‘neri’ e il gioco del pallone corrispondono a due universi socio-antropologici lontanissimi: il jazz, come si sa, sorge nella città di New Orleans, diventando in breve un’autentica moda con lo stile dixieland e addirittura una musica di massa nell’era swing, in un contesto precipuo statunitense, ovvero in una grossa nazione dove il football – che nell’idioma yankee corrisponde addirittura a un altro sport, una variante del rugby, oggi infatti chiamato football americano – è minoritario rispetto allo sport nazionale, il baseball, vissuto proprio nell’esclusiva identità a stars-and-stripes (benché fin dalla seconda metà Novecento degnamente praticato in altri continenti). Il baseball, come pure il basket, l’atletica e la boxe, appassionano molti jazzmen soprattutto ‘neri’ (al punto da citarne i campioni nei loro dischi, come Miles Davis per il 33 giri Jack Johnson, in realtà colonna sonora del documentario omonimo ), mentre non vi è traccia di tifosi del pallone rotondo tra i solisti hot o cool, free o bebop, se non ci si sposta in Europa dove, in quest’ultimo mezzo secolo, esiste un jazz autoctono di originale rilevanza estetica: in tal senso forse sarebbe l’ora di raccogliere qualche testimonianza di jazzmen calciatori o di giocatori appassionati al sound del Nuovo Mondo e del Vecchio Continente; un lavoro che magari spetterebbe alla Nazionale Italiana Jazzisti fondata nel 2014 e sufficientemente documentata su Facebook.

Però è bello ricordare alcune chicche più o meno recenti: anzitutto il discografico Renzo Pognant Gros, il quale, in tempi non sospetti (fine Seventies), giovanissimo, partecipa a una mitica partitella, durante una pausa del Festival di Moeurs, fra critici ed esponenti del free e della creative music europea, all’insegna del jazz più radicale. Per quanto riguarda l’approccio filosofico alla dialettica calcio/jazz l’unico ‘testo’ ufficiale resta ancora il discorso tra Enrico Pieranunzi e Massimo Nunzi apparso nel video Jazz istruzioni per l’uso (2008) quando appunto i due, discutendo, concordano in pieno nel riscontrare le molte affinità (o analogie) tra jazz e calcio: gioco di squadra per entrambi, assolo e dribbling, maestri e fuoriclasse, comprimari e sgobboni, improvvisazione musicale e fantasia agonistica, uno per tutti e tutti per uno e via dicendo. A livello critico non c’è molto e paradossalmente uno dei contributi più interessanti non arriva da nazioni calcistiche come Inghilterra, Germania, Spagna, Francia, Olanda, Brasile, Argentina, Uruguay, bensì dagli Stati Uniti, il 17 marzo 2019, dalla prestigiosa «LA RB» («Los Angeles Review Of Books») con il saggio The Improvisational Wonders of Jazz and Soccer di Michael J. Agovino, il quale analizza soprattutto le ripercussioni sia formali sia stilistiche fra le due ‘materie’.

Ma, per finire il discorso, vanno segnalate due curiosità: da un lato esiste al mondo un’unica squadra che si chiama Jazz, ubicata in Finlandia: risulta l’abbreviazione di Football Club Jazz, nome che nel 1991 va a sostituire l’originale Porin Pallo-Toverit del 1934; la compagine biancorossa omaggia in tal modo l’unica manifestazione internazionale della propria città – Pori, circa 83.000 abitanti nella regione del Satakunta – ovvero il Pori Jazz Festival, tra i migliori al mondo: e nella storia della serie A finlandese – la Veikkausliiga – il Jazz riesce a vincere il campionato ben due volte, nel 1993 e nel 1996. Dall’altro nel 2001 esce l’album per Egea 1-0 (uno a zero) di Gabriele Mirabassi(cl.), Patrick Vaillant (mand.), Luciano Biondini (fis.), Michel Godard (tuba), tributo jazzato al grandissimo flautista/compositore brasiliano Pixinguinha alias Alfredo da Rocha Vianna Filho (1897-1973): è un bel disco, ma la copertina quasi vanifica il tutto, contenendo uno strafalcione iconico madornale. C’è una foto in bianco e nero di un esultante Pelé durante un match della nazionale carioca, dove l’immagine quasi statutaria viene colorata con l’idea di omaggiare i campioni verde-oro: peccato però che per due terzi si usino le tinte sbagliate, facendo assomigliare il ‘povero’ Edson Arantes Do Nascimento a un giocatore dell’Australiana: la casacca gialla con risvolti verdi è giusta, ma i pantaloni del Brasile sono azzurri (non veri) e le calze bianche (non gialloverdi): a Rio de Jaineiro e dintorni saranno offesi ancora adesso,

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