Il 23 Novembre del 1921 nasceva Fred Buscaglione, un mito che resiste all’usura del tempo

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Fred Buscaglione

Le sue erano canzoni ironiche, trasgressive ed inconsuete per l’epoca, tanto che le case discografiche si mostravano restie e titubanti nel pubblicarle, forse negli anni Cinquanta in Italia non c’era neppure la competenza per poter gestire un personaggio così innovativo e distante dal modello di crooner o entertainer dell’epoca.

// di Cinico Bertallot //

Se pensiamo all’Italia del secondo dopoguerra, mezza distrutta ed in bianco e nero, povera, semi-analfabeta ed affamata, un personaggio come Fred Buscaglione sembrerebbe davvero saltato fuori da una pellicola hollywoodiana. La sua verve e la sua ironia riuscirono, per un breve tratto di storia italica, a regalare qualche sorriso e ad accendere la fantasia di quanti in quell’Italia da ricostruire possedevano già un televisore o un rudimentale giradischi. La radio fu il principale mezzo di diffusione della sua musica e dei suoi spettacoli in quell’Italia in fase di ricostruzione che non aveva ancora conosciuto il boom economico. Buscaglione, che morì nel 1960, era nato il 23 Novembre del 1921 a Torino., divenendo all’apice della carriera il primo vero show-man italiano, nel senso più americano del termine: cantautore, polistrumentista ed attore, l’artista torinese si appassionò alla musica fin da bambino: a undici anni fu ammesso al Conservatorio Giuseppe Verdi di Torino, istituto che abbandonò dopo un triennio per scarso interesse verso la musica classica e per le difficoltà economiche della sua famiglia, iniziando così, già da adolescente, ad esibirsi nei locali notturni come jazz-singer e polistrumentista, sfoggiando una discreta abilità su contrabbasso, pianoforte, violino e tromba.

Durante la Seconda Guerra Mondiale, il giovane Fred fu distaccato in Sardegna, dove organizzò spettacoli per intrattenere le truppe. Fatto prigioniero dagli americani, venne contattato da Franco e Berto Pisano per formare il «Quintetto Aster», gruppo con cui si esibì per la radio alleata e per Radio Sardegna, venendo a contatto con gli stili musicali, i ritmi e i balli che le truppe avevano portato in Europa, ma anche certi mood e alcune atmosfere tipicamente americane. Questa esperienza gli consenti di intercettare taluni moduli espressivi molto vicini al jazz e allo swing. Il musicista torinese era almeno vent’anni avanti rispetto al modello di cantante / intrattenitore italiano, rigido ed impettito, di quel periodo, tanto che, dopo la guerra, tentò la fortuna arruolandosi in varie orchestre che giravano in lungo ed in largo per l’Europa. La visione del mondo di Fred Buscaglione impattava violentemente con i costumi, le leggi e le convenzioni conservatrici, moraliste, bigotte di un’Italia ancora schiacciata dalla paura della guerra e dal ricordo di un ventennio di dittatura. Le mode americane introdotte dal cinema e dai rotocalchi erano guardate con sospetto e combattute dalla cultura dominante, specie quella cattolica, che prescriveva la castità e la verginità prematrimoniale, l’indissolubilità del matrimonio, il ruolo subalterno della donna e l’avversità al divorzio.

Fondamentale fu il sodalizio umano ed artistico con Leo Chiosso, di professione avvocato, che lo spinse a interpretare i personaggio dei testi che lui scriveva, i quali erano una parodia, sviluppata con fine ironia ed intelligenza, intorno ai luoghi comuni del prototipo americano «dell’uomo che non doveva chiedere mai» impersonato da attori come Clark Gable e Humphrey Bogart. Proprio Con Chioso, Buscaglione iniziò a scrivere pezzi originali che spesso erano calati in un immaginario completamente cinematografico e fumettistico e che guardavano oltre i confini dell’Italietta di quegli anni, soprattutto accendevano la fantasia degli ascoltatori che venivano trascinati in un mondo collocato idealmente tra tra Chicago, Boston, New York e Hollywood, fatto di bulli e pupe, play-boy ante-litteram, maneggioni, attricette e guappi da strapazzo, duri spietati con i nemici ma in balia dell’alcool e di donne bellissime, terreno di coltura ed ispirazione per una serie canzoni che gli diedero fama, ricchezza, successo e gloria ad imperitura memoria. Alla registrazione di primi dischi seguirono anche innumerevoli spettacoli live e televisivi – alcuni in coppia con la moglie Fatima – che erano dei veri e propri show, in cui la musica veniva sceneggiata e teatralizzata. Perfettamente immedesimato nel personaggio, Buscaglione si fece crescere un paio di baffetti alla Clark Gable, esibendosi spesso con abiti gessati a doppio petto, cappelli a larghe falde ed ispirandosi ai gangster americani alla Al Capone, capelli imbrillantinati e ciuffo calante sulla fronte, ghigno sarcastico e arrogante da bullo di periferia, sigaretta tra le labbra, con onde di fumo che lo avvolgevano ed un immancabile bicchiere di whisky in mano. Le sue erano canzoni ironiche, iconoclaste, trasgressive ed inconsuete per l’epoca, tanto che le case discografiche si mostravano restie e titubanti nel pubblicarle, forse negli anni Cinquanta in Italia non c’era neppure la competenza per poter gestire un personaggio così innovativo e distante dal modello di crooner o entertainer dell’epoca, televisivamente ligio ai dettami del partito di maggioranza relativa e del monocolore democristiano, che faceva della sobrietà e della censura una necessità, ma non tanto una virtù.

Solo grazie alle forti pressioni dell’amico Gino Latilla, il quale, nel 1955 , arrivò ad anticipare le spese di tasca propria, che la Cetra accettò di pubblicare un singolo di Fred Buscaglione. Il 78 giri conteneva «Che Bambola» e «Giacomino». Per paradosso, senza alcuna pubblicità, il disco vendette 900.000 copie, un successo straripante in quell’Italia ancora povera ed in bianco e nero, dove, oltremodo, erano ancora davvero in pochi a possedere un grammofono. Il disco spalancò le porte della fama all’artista torinese, da quel momento la corse sarebbe stata solo in discesa. I contratti di lavoro e gli ingaggi s’intensificarono, mentre pubblicazioni discografiche a raffica e le partecipazioni a programmi radiofoniche e varietà televisive decretarono un enorme successo al quel personaggio irriverente e spaccone che sembrava saltato fuori da una pellicola hollywoodiana. Richiestissimo ovunque, arrivò a girare due film contemporaneamente la mattina, registrare spettacoli televisivi nel pomeriggio, incidere dischi la sera, fino ad esibirsi nei night club, pullulanti di un mondo simile a quello trattato nelle sue canzoni, un universo immaginario che aveva fantasticato da bambino, popolato di malavitosi, poliziotti corrotti; locali dall’intensa vita notturna e sotterranea, spesso ambigui, frequentati da truffatori e ragazze facili, dove si praticava il gioco d’azzardo, scoppiavano risse e volavano botte da orbi.

Il successo ed i soldi – come spesso accade nel mondo dello spettacolo – crearono quel delirio d’onnipotenza che dà all’artista un’idea d’immortalità, d’impunità e di superiorità rispetto ai comuni mortali, tanto che l’incauto Fred iniziò a vivere come i personaggi dei suoi spettacoli e delle sue canzoni, tremendamente sensibile al fascino delle bionde maggiorate, assai facile alle sbandate e agli eccessi, tra donne alcool, gioco d’azzardo e motori, menando una vita senza limiti e freni inibitori, soprattutto a grande velocità. Per paradosso, morì nel 1960 all’età di 38 anni, in un incidente stradale mentre era alla guida della sua Ford Thunderbird lilla, che andò a schiantarsi con un camion in una strada del quartiere Parioli di Roma. Sembrerebbe una scena vista in un film o che quelle si sono ripetuta più volte nell’ambito della show business del secondo dopoguerra (per una strana maledizione che incombe (ed incombeva) su una certa tipologia di divi), colpendo musicisti, cantanti ed attori di vario calibro coinvolti in incidenti o sottoposti ad una fine violenta. Dall’America all’Europa, l’elenco sarebbe lungo. Buscaglione rientrava in albergo dopo l’esibizione in un locale notturno in cui aveva forse fatto incetta di note e di alcool o di qualche sostanza psicotropa. Nonostante la prematura scomparsa, le sue canzoni continuarono ad essere cantate e suonate per anni nei juke-box e nelle radio. Molte di esse, come «Eri Piccola Così», «Che Bambola!», «Il Dritto di Chicago», «Love in Portofino», «Le Rififi», «Guarda che Luna», «Whisky Facile», «Che Notte», «Porfirio Villarosa», «Teresa non Sparare», sono diventate dei classici senza tempo. Ai funerali che si svolsero a Torino parteciparono migliaia di persone, a testimonianza della sua immensa popolarità. C’erano giovani, studenti coi libri sotto il braccio, operai, commesse, casalinghe e impiegate. Mentre il lungo corteo funebre si portava verso il cimitero, dalle porte spalancate dei bar i fans gettonavano nei juke-box tutti suoi grandi successi. La fine, violenta e prematura dell’uomo-Buscaglione, dopo una vita vissuta a grande velocità, aumentò a dismisura il mito dell’artista-Buscaglione, alimentato da un film, appena terminato pochi giorni prima della sua morte, «Noi Duri», che nel titolo descriveva perfettamente l’essenza del personaggio e dei «demoni» creativi che lo circondavano.

Fred Buscaglione

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