J.J. Johnson e Kai Winding con «Great Kai & JJ»: il trombone come strumento di elevazione (Impulse! Records, 1961)

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Di solito il genio ama sfidare la perfezione e la regolarità, distorcerle e modellarle a propria immagine e somiglianza. Ci troviamo di fronte a quello che potrebbe essere definito il «capolavoro della normalità»

// di Francesco Cataldo Verrina //

Il trombone è l’unico strumento della tradizione musicale occidentale rimasto praticamente invariato nella sua costruzione di base (forma e dimensioni) e nella sua funzione tecnica sin dalla prima apparizione risalente alla fine del XV secolo. Tutti gli altri strumenti, come il violino, l’organo o la tromba, hanno subito importanti trasformazioni o aggiunte fisiche (come le valvole nelle trombe). Sebbene all’inizio del XIX secolo sia stato sviluppato un trombone a valvole, esso non ha mai sostituito nella musica classica o nel jazz il cosiddetto trombone a coulisse. Originariamente sviluppato come derivazione della tromba a coulisse rinascimentale in uso nella musica tardo-medievale, il trombone ha esteso la gamma dei registri della famiglia degli ottoni alle tonalità del sax tenore e del sax baritono. Inoltre, fin dalle origini il trombone, con la sua intrinseca agilità di movimento e la potenziale libertà da altezze fisse (una limitazione, ad esempio, per gli strumenti a valvole o a chiavi), era considerato non meno versatile di un violino. Questo ne spiega il posto centrale e coerente nella letteratura musicale accademica e jazzistica

Sebbene il trombone sia stato meno protagonista come strumento solista, molti interpreti hanno lasciato segni distintivi nella storia del jazz. Ognuno di essi è debitore nei confronti dei trombonisti precedenti e di altri musicisti che hanno dettato i vari stilemi jazzistici. Tale linea di sviluppo può essere tracciata partendo dai primi trombonisti Dixieland, come Kid Ory e Miff Mole, fino a giungere a fenomeni più recenti quali Ray Anderson e Craig Harris. Nel corso della storia e dell’evoluzione del jazz, importanti trombonisti hanno influenzato una pletora di succedanei attraverso lo sviluppo dell’armonia, della melodia, del ritmo e della tecnica. Tra questi si ergono maestose, nonostante le differenze, le figure di J.J. Johnson e Kai Winding.

L’album «Great Kai & JJ» ha un’importanza storica notevole, anche perché fu il primo disco pubblicato ufficialmente dalla Impulse! appena fondata da Creed Taylor, il quale mirava ad un pubblico abbastanza ampio, ma ricercato. L’idea del produttore, sin dall’inizio, fu quella di dare alle stampe album di alta classe con un suono eccellente in un’elegante confezione. Pensate che i dischi prodotti da Taylor costavano due dollari in più rispetto agli altri LP pubblicati dalle etichette concorrenti. Questo set rappresenta la vetrina ideale della primigenia formula della Impulse! Records. Tutto l’insieme rasenta quasi la perfezione: due trombonisti di alto lignaggio, J.J. Johnson e Kai Winding, che si sfidano ad armi pari su una selezione di brani assai collaudata con il sostegno di alcuni sidemen d’eccezione, quali Bill Evans al piano, Paul Chambers al basso e Roy Haynes alla batteria, in alternativa Tommy Williams al basso e Art Taylor alla batteria; la qualità sonora è impeccabile e le tonalità di colore giallo/arancione/marrone scuro (tendente al nero), esaltate da una copertina patinata e signorile, definiscono l’estetica dei futuri art-work di casa Impulse!; il gioco di ruolo dei due titolari dell’impresa funziona egregiamente, così come l’intero line-up assolve in maniera mercuriale alle esigenze del progetto, attraverso un interscambio ed una comunicazione inter pares da manuale.

J.J. Johnson probabilmente è il vincitore di questa singolar tenzone del trombone in campo libero, poiché sembra muoversi con più disinvoltura e per vie meno prevedibili: dal canto suo Kai Winding è un esecutore sopraffino, ma alcuni suoi assoli appaiono più formali, nonostante fungano da meccanismo di compensazione. I tempi sono ridotti, i brani alquanto standard, gli spazi improvvisativi ristretti e l’impianto melodico è condensato in frasi brevi ed a presa rapida. Il costrutto sonoro e l’abilità esecutiva dei sodali, fanno di «Great Kai & JJ» un disco perfetto, che significa piacevole, fruibile ed immediato, ma non necessariamente geniale, una sessione troppo patinata che non indaga mai il jazz attraverso il pensiero laterale.

Di solito il genio ama sfidare la perfezione e la regolarità, distorcerle e modellarle a propria immagine e somiglianza. Ci troviamo di fronte a quello che potrebbe essere definito il «capolavoro della normalità», nato dal raduno di validi musicisti jazz ben integrati in ogni performance e capaci di rendere l’ascolto gratificante, ma ancora lontano dalla linea editoriale innovativa e trasversale che la Impulse! definirà soprattutto con l’arrivo di Bob Thiele. I due trombonisti esaltano la forma melodica del costrutto sonoro con un approccio quasi divertito, specie su brani come «This Could Be The Start Of Something Big», «Blue Monk», «Side By Side» e «Theme From Picnic», aggiungendo spesso un tocco esotico al solito mélange di swing blues e bop.

Registrato allo studio Van Gelder il 3 ottobre, il 2, il 4 e l’8 novembre del 1960, «Great Kai & JJ» diventa per Johnson e Winding il paradiso fiscale del trombone, sostanziandosi come un album che, per meriti e circostanze, passa alla storia, almeno ottiene un posto di rilievo negli annali della Impulse! Records a guida Creed Taylor.

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