«Racconti Mediterranei» di Pieranunzi, Mirabassi e Johnson, quando sogno e realtà, semplicità e bellezza diventano le due facce della stessa medaglia. (Egea Records)

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…un vettore di sentimenti ed un turbine emozionale fatto atmosfere struggenti e crepuscolari, intensamente toccanti e fitte di lirismo narrativo.

// di Francesco Cataldo Verrina //

Era il febbraio del 2000, quando Enrico Pieranunzi registrò al Teatro Comunale di Gubbio «Racconti Mediterranei» del tutto ignaro, forse, che quell’incontro con il clarinettista Gabriele Mirabassi punta di diamante del jazz italiano e il contrabbassista americano Marc Johnson, lo avrebbe consegnato agli annali della storia del jazz mondiale. Di certo Enrico Pieranunzi non era un novellino, essendo l’unico artista europeo ad essere presente (con ben due componimenti) nella collezione di Jazz Standards nel New Real Book, mentre di premi e riconoscimenti importanti ne aveva già avuti a bizzeffe, forte anche delle prestigiose collaborazioni di livello internazionale. Quel giorno nella cittadina umbra, famosa per la Festa dei Ceri, si stabilì una singolare alchimia ed un favorevole allineamento di pianeti che portarono i tre sodali sul tetto del mondo, attraverso una serie di affreschi sonori che oltrepassano i confini spazio-temporali e la panoplia decorativa e pittoresca degli stilemi, dei sottogeneri e dei metalinguaggi, fondendosi in un armonioso intarsio fatto di tinte mediterranee, umori jazzistici e sentori eurodotti.

Le undici composizioni contenute nell’album, tutta farina del sacco del pianista romano diventano immediatamente un vettore di sensazioni ed un turbine emozionale fatto atmosfere struggenti e crepuscolari, intensamente toccanti e fitte di lirismo narrativo. Così nel 2001 la rivista statunitense JAZZIT lo incluse tra le migliori produzioni discografiche di quell’anno. Diciannove critici musicali, dopo aver selezionato centonovanta dischi, dieci a testa, elessero diciannove assoluti numeri uno, quali migliori candidati al premio della critica, tra cui «Racconti Mediterranei» che il giornalista Juan Rodriguez scelse con questa motivazione: «Una smagliante, raffinata ricchezza melodica, una sintesi naturale di musica da camera, jazz e radici popolari mediterranee. Come affermato dallo stesso Pieranunzi, pianista dal tocco vellutato, quella di ‘Racconti Mediterranei’ è musica che cerca di narrare storie. La sonorità strumentale di Mirabassi, miglior clarinettista in circolazione, è di seducente sensualità mentre il gioco contrappuntistico di Johnson al contrabbasso lascia senza fiato per vitalità e fantasia». In effetti, le melodie emergono lentamente come onde carsiche dal profondo dell’intreccio armonico descrivendo paesaggi a volte lussureggianti, altre bruniti, mentre il pianoforte amoreggia con i fraseggi ibridi e frastagliati del clarinetto, fatto di confluenze molteplici, attraverso fluide corse di singole note e progressioni eseguite con levità. Dal canto suo, Johnson funge da perfetto collettore adattandosi ai due solisti di prima linea ed acclimatandosi all’habitat sonoro mediterraneo, stabilendo una proficua cooperazione, per nulla artefatta ed opportunistica, ma frutto di un sorgivo e mercuriale gioco delle parti. Così l’album si dipana tra ambientazioni a tratti rarefatte e cromatismi dalle tinte tenui muovendosi tra dotte citazioni, sentori di Debussy, atavici influssi della lunga civiltà musical-canora italica e reminiscenze legate alla tradizione popolare. Basta l’iniziale «Kingdom-Where Nobody Dies» per aprire lo scrigno dei preziosi e indicare le coordinate del viaggio, seguita da «Les Enfants» narrata come un valzer mousette dall’aura brunita e decadente, ma con un bonus melodico a presa rapida ed immediatamente spendibile.

Nonostante, però, l’immediatezza e la facilità di fruizione, «Racconti Mediterranei», recentemente ripubblicato dalla Egea Records e riproposto in trio in vari eventi jazzistici (con Luca Bulgarelli al posto di Johnson), si sostanzia sulla scorta di una complessa varietà armonica e compositiva, in cui il triunvirato si esprime attraverso una simbiosi quasi mutualistica ed una collegialità circolare segnata da una conclamata attitudine al controllo strumentale: il clarinetto di Mirabassi si erge sulle pulsazioni del contrabbasso di Johnson accarezzando il registro più alto dello strumento e sviluppando insieme al pianoforte di Pieranunzi un afflato melodico basato su una mercuriale sintesi accordale. In tal senso basta addentrarsi nei labirinti di «Canto nascosto», motivo dall’incedere enigmatico e flendente, quasi un blues strappato alle limacciose acque del Mississipi e trapiantato sulle rive del Mare Nostrum in un’alba struggente dai colori diafani e velati, o proprio in «Un’alba dipinta sui muri»; così come «La Canzone di Nausica» e «Una piccola chiave dorata» sono srotolate alla medesima stregua di una narrazione epica, verosimilmente poetica e mitologica, dimostrando a volte che, grazie al potere della musica nelle sue espressioni molteplici, sogno e realtà, semplicità – che non significa banalità – e bellezza possano coincidere o diventare le due facce della stessa medaglia. In taluni momenti, come in «Corale» e « Lighea» si potrebbe percepire anche il battito d’ali di una farfalla, tale e tanta è la serenità che scaturisce dagli enunciati dei tre musicisti, i quali offrono una percezione ed una visione prospettica per gli occhi e per la mente, ma soprattutto fanno lievitare dell’ottimo cibo per l’anima. Non manca qualche guizzo jazzistico come «O toi desir», ma la sua esecuzione, pressoché impeccabile, diviene un’ulteriore fonte di stupore, allineandosi all’humus compositivo di «Stefi’s Song» o al mood degli assoli emotivi de «Il Canto delle differenze». Va detto che «Racconti Mediterranei» di Pieranunzi, Mirabassi e Johnson è una tempesta perfetta di note, in cui i tre sodali tracciano i contorni di un oggetto sonoro, la cui raffinatezza espressiva ed esecutiva potrebbe corrispondere ad una chimera aurale prossima al sublime o contemplarne la similitudine udibile attraverso un’idea di bellezza non comune.

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