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La diversità genetica e sonora delle tracce ed il relativo mood che ne scaturisce, trova il suo collante naturale nei testi corrosivi e penetranti, imperniati su problematiche ambientali di varia natura e argomenti scomodi che mettono in discussioni talune scelte politiche.

// di Francesco Cataldo Verrina //

La musica di Leo Pesci rievoca immediatamente paesaggi suburbani di metropoli affollate di suoni molteplici, colori, groove e razze meticce, un ponte tra l’Europa e le Americhe, tra Napoli e Londra, passando attraverso le istanze propugnate da Kendrick Lamar, Robert Glasper o Thundercat e dai nuovi hip-hop/soul/jazzer, i quali tracciano sentieri su una linea di confine operando a cuore aperto su una musica di confluenza che catalizza e centrifuga le frustrazioni quotidiane degli abitanti delle periferie, bisogni giovanili, aneliti generazionali e problematiche sociali. Leo Pesci, all’anagrafe Giuseppe Diodato, è un polistrumentista / cantante napoletano, di stanza in terra d’Albione, da anni residente a Peckham (quartiere di Londra, nel Southwark), non come «emigrante», per citare la metafora di Massimo Troisi, ma come musicista a tutti gli effetti, appartenente alla legacy e consapevole di far parte dell’ambiente. L’uscita del recente album in vinile «Impolite» per la Ramrock Red Records ha fatto salire lo score e la credibilità di Leo Pesci solidificandone e corroborandone l’immagine e le finalità, dopo aver pubblicato in precedenza alcuni EP, «Leo Pesci» nel 2020 e «Community» nel 2021, realizzati con la partecipazione di noti artisti della scena jazz londinese, quali Jas Kayser, Ella Knight, Nicola Guida, Johnny Woodham, Simon JNR e Dani Diodato. Questi primi lavori sono serviti a sondare il terreno ed ottenere un primo plauso da parte di critici e addetti ai lavori.

Il nuovo «Impolite» si muove seguendo le medesime regole d’ingaggio spaziando tra jazz, hip hop, soul, funk, alternative R&B, rap. L’album presenta quindici diversi artisti jazz/hip hop, ed una una prima collaborazione con i Moeazy su «Power Clash». La diversità genetica e sonora delle tracce ed il relativo mood che ne scaturisce, trova il suo collante naturale nei testi corrosivi e penetranti, imperniati su problematiche ambientali di varia natura e argomenti scomodi che mettono in discussioni talune scelte politiche. In ogni caso, risulta difficile perimetrare la musica di Leo Pesci e racchiuderla in un recinto, almeno secondo un criterio standard di classificazione enciclopedica o manualistica. Egli stesso tenta una definizione, ma certamente non astringente o vincolante che trascende i limiti di genere: «Quando ascolto la mia musica spesso faccio fatica a etichettarla ma, razionalmente, penso che sia un miscuglio di soul, funk, jazz e un po’ di tradizione popolare napoletana. Con ‘Impolite’ ho pensato semplicemente di essere me stesso. Dal punto di vista del genere, ho cercato di non dare una linea comune a tutte le tracce; ho solo pensato che ciascuna delle composizioni dovesse essere una cosa completamente diversa, una sorta di mix tape. Odio essere scontato e l’ho evitato. Con il mio ultimo disco, la prevedibilità era proprio quello che volevo evitare ma per quanto riguarda i testi, sì: lì c’è una linea comune. «Impolite» è una album concept a tutti gli effetti, il cui titolo s’ispira all’opera d’arte omonima disegnata dall’architetto/street-artist, Julian Corgan, a raffigurazione della storia del complesso residenziale «Pruitt-Igoe» di St. Louis, un modello abitativo del secondo dopoguerra, un fallimentare tentativo di quel neoliberismo macrofago incapace di rispondere alle esigenze della classe operaia. Non a caso alcuni temi dell’album come «Nuffin’ Left But Crumbs», «Evry1’s Theory» e «Nu-st8» affrontano, con impeto passionale ed autentica presa di coscienza, argomenti riguardanti politica e corruzione, disuguaglianza e razzismo, capitalismo finanziario ed il progressivo impoverimento delle fasce sociali meno abbienti. «Quando ho parlato del mio progetto a Julian» – spiega Leo Pesci – «e lui ha proposto l’idea del Pruitt-Igoe e della sua demolizione, sono rimasto stupito dall’affinità con il contenuto dell’album. Sebbene la storia possa essere ricordata principalmente come il fallimento dell’architettura moderna e delle case popolari, c’è un significato profondo di segregazione e, oltre a questo, il primo segno che il capitalismo ha creato di proposito la povertà per alimentare le tasche delle grandi aziende. Dall’altro lato, la sovrappopolazione, il sottofinanziamento dell’istruzione e della sanità, l’idea occidentale di meritocrazia, la crisi degli alloggi, il cambiamento climatico sono tutti segni che la nostra società non sta andando da nessuna parte e che dobbiamo pensare – e parlare – di nuovi modi per affrontare questi problemi». Ovviamente, non c’è solo denuncia sociale ed impegno militante: nell’album vengono affrontate anche problematiche intime e personali, nonché relazioni umane come il maschilismo in «Soprano’s Theme»; mentre in «Betta Now» si narra delle difficoltà di una coppia che discute di poligamia: invece «Dario’s Pummarola», con la sua spazialità crescente in cui affiorano sentori di post-di Flying Lotus e Kamasi Washington, magnificati da un eccellente lavoro di synth e percussioni, si sostanzia come un’ideale connessione italo-britannica, quale tributo alle radici del batterista Dario Scotti, di padre italiano, nato e cresciuto nel Regno Unito.

«Impolite» è un disco collegiale e comunitario, ricco di umana creatività e relazioni musicalmente a simmetriche ma confluenti, tese a trovare costantemente il nucleo gravitazionale dell’idea. Tanti i nomi coinvolti nel progetto: Jackson Mathod, John Swana, Jay Phelps, Dylan Jones, Dani Diodato, Louis Nelson, Tendayi, Gabriele Pribetti, Vincenzo De Fraia, Saint, Ben Vize, Dario Scotti, Moeazy, Alias, Vittorio De Angelis, con la co-produzione curata da Vincenzo De Fraia, Saint e dallo stesso Leo Pesci. L’album si apre con «Muffin Left But Crumes (E)», un valido tentativo di travaso di hip-hop nel jazz, un ottimo melting-pot sonoro in cui i due genere si amalgamano perfettamente, adattandosi alle esigenze di una contemporaneità onnivora e multidirezionale alimentandosi ad una tromba dall’afflato metropolitano che sarebbe piaciuta anche a Roy Hargrove. Un habitat sono ampliato e magnificato anche in «Power Class»; in quanto a «Soprano’s Theme’», l’humus narrativo fa il paio con «Evry 1’s Theory», giocando sulla voracità del testo, mentre «Betta Now» accentua una vocazione di tipo BAM con un taglio decisamente new-soul fitto di blackness. «NU-ST8» riprende un metodo old-school con una narrazione lenta ma efficace ed un invito a riflettere sul mondo circostante, metodologia che si espande e si consolida con «Leo’s MSG», sulla scorta di uno speech diretto e senza fronzoli. In conclusione, le parole di Pesci risultano alquanto illuminanti: «La pubblicazione di «Impolite» è stato sicuramente il mio momento di maggior orgoglio per tutto ciò che «Impolite» comporta. Nei miei precedenti EP ero ossessionato dall’idea di inserirmi nella scena, di essere considerato dagli ascoltatori e dalle persone del settore , DJ, curatori, promotori, giornalisti, ecc. Ciò significava che non ero veramente libero di essere me stesso e di scrivere ciò che volevo dire. Con «Impolite» mi sono sentito libero di farlo e ne sono orgoglioso».

Leo Pesci

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