Ray Charles in Jazz. In ricordo di «The Genius» a vent’anni dalla morte
// di Francesco Cataldo Verrina //
A metà dicembre del 1960, i numeri del catalogo Impulse! da A-1 a 4 erano pronti per essere distribuiti: un titolo riguardava il compositore/arrangiatore Gil Evans, due il trombonista Kai Winding, e, come sottolineava Taylor: «con la cooperazione di Larry Newton, la neonata Impulse! fu in grado di prendere in prestito Ray Charles per un progetto jazz». L’etichetta trasse notevole beneficio dall’organizzatissimo settore marketing, dai contatti e dalle relazioni con i media e la stampa di cui la ABC-Paramount disponeva da tempo. Quando Ray Charles pubblicò «Genius + Soul = Jazz» per la Impulse!, il terreno di coltura del jazz era di tutt’altra composizione, ma l’album riveste una notevole importanza storica, essendo il lavoro di ibridazione tra generi fratelli, dove si assiste al massimo grado di compenetrazione tra soul e jazz, mentre il PH dell’organo raggiunge un elevato gradiente di acidità funkified, alimentato dall’orchestra diretta da Quincy Jones che si abbevera nelle limacciose acque blues del Mississippi. Jones rimodella lo swing e lo riadatta ad un contesto più metropolitano, collocandolo in una narrazione sonora da Blaxploitation dieci anni prima di Curtis Mayfield.
«Genius + Soul = Jazz» non è un album jazz in senso moderno e neppure il classico saltello da music-hall, tipico delle big band, ma una linea di confine con spazi aperti e comunicanti tra i vari linguaggi di derivazione afro-americana. Dopo un periodo fertile e redditizio alla Atlantic Records, che l’aveva trasformato in una vera star dell’R&B acclamata a livello planetario, nel novembre 1959, Ray Charles fu attratto dalle lusinghe di una nuova casa discografica, soprattutto dalla promessa di un cospicuo anticipo e, cosa più importante, dalla prospettiva di una sorta di indipendenza artistica che implicava la possibilità di avere una label personale, la Tangerine; inoltre l’accordo prevedeva una partnership, che permetteva al genius di mantenere il diritto di proprietà sulle sue registrazioni. «Dopo l’arrivo di Ray, tutto andò alla grande», raccontò Syd Feller, arrangiatore di molti successi di Charles, tra cui «Georgia On My Mind». Feller era in forze alla ABC dal 1955, dove aveva contribuito ai successi di Paul Anka.
Con una serie ininterrotta di vendutissimi singoli ed album, Charles restituì abbondantemente l’investimento alla ABC, aiutandola a finanziare alcuni progetti più avventurosi e sperimentali. Nel 1960 Charles registrò tre album per la ABC/Paramount ma il suo quarto lavoro, «Genius + Soul = Jazz», per il quale Creed Taylor portò il genio in studio affiancato dall’arrangiatore Quincy Jones e dai membri della big band di Count Basie, mostrava orgogliosamente sulla copertina il logo della neonata Impulse! Records, satellite della ABC/Paramount. Spinto dal successo del 45 giri «One Mint Julep», l’album «Genius + Soul = Jazz» diede alla Impulse! un sostanzioso apporto in termini di vendita, aggiungendo credibilità all’etichetta, il cui marchio ottenne subito il plauso di un vasto pubblico ed il riconoscimento immediato della stampa di settore.
Come dicevamo, «Genius + Soul = Jazz» fu il secondo di quattro titoli pubblicati da Creed Taylor per annunciare al mondo la nascita ed il lancio della Impulse! Records. Il primo era stato «The Great Kai And JJ» dei trombonisti Kai Winding e J.J. Johnson, che per l’erigenda etichetta era diventato sinonimo di espressione jazzistica moderna; al contrario il disco di Ray Charles mostrava un’impostazione decisamente conservatrice, rispetto all’evoluzione del vernacolo jazzistico del periodo, anche se di forte impatto commerciale. Lo stesso «The Incredible Kai Winding Trombones», terzo capitolo della saga Creed Taylor, fu un progetto legato alla tradizione, mentre un’inclinazione più progressista venne evidenziata nel quarto microsolco immesso sul mercato, «Out Of The Cool», un concept orchestrale scritto, diretto ed arrangiato da Gil Evans.
Tutti e quattro i set erano stati registrati alla fine del 1960 al Van Gelder Studio. «Rudy stava facendo i dischi con la migliore qualità sonora che si potesse desiderare», racconterà qualche anno più tardi Creed Taylor, confessando una sorta di dipendenza dal metodo lavorativo di Van Gelder. Nonostante i fuochi d’artificio sul mercato «Genius + Soul = Jazz» di Ray Charles, non diede alla Impulse! la caratterizzazione di etichetta innovativa e di rottura rispetto al passato, ma gli consentì di avere il salvadanaio pieno e le spalle coperte per lungo tempo. Solo, nell’estate del 1961, quando Taylor tirò fuori dal cilindro magico «The Blues And The Abstract Truth» di Oliver Nelson, il mondo del jazz capì che con l’arrivo della Impulse!, quel mondo non sarebbe stato più lo stesso.