«Wind Tales» di Fabio Vernizzi è un lavoro di grana finissima, sviluppato attraverso la turnazione di un composito ensemble di musicisti, originale nel concept, nella struttura e nella formula esecutiva, al netto degli stilemi, dei generi e dei linguaggi interpellati.
// di Francesco Cataldo Verrina //
«Wind Tales» di Fabio Vernizzi ha un titolo suggestivo, come dire storia narrate dal vento o portate dal vento. Dopo il primo ascolto il recensore, piacevolmente sospinto da una procella di suoni e dall’imponente struttura strumentale, aspetta proprio quella risposta nel vento e dal vento per comprendere quale siano le coordinate nautiche più adatte per inquadrare un concept di tal fatta che non è jazz, nonostante ne utilizzi a volte il mood e talune armonie; non è rigidamente musica di derivazione eurodotta, poiché gli schemi sonori a volte appaiono non irregimentati nell’uso stringente e vincolante di talune regole, specie nell’uso degli agenti percussivi. È pur vero che il modulo adottato nelle otto composizioni inedite farebbe pensare ad una matrice colta ed accademica. Nel disco non c’è un’atmosfera da jam-session ma, allo stesso tempo, si aprono improvvisi ed ampi squarci nel parenchima sonoro che tendono a un’improvvisazione calibrata, ma libera, mentre il vento creativo dell’ensemble, che spira in tante direzioni, richiama innumerevoli elementi stilistici che rimandano ad una forma di «terza via» contemporanea proiettata alla ricerca di un’unicità espressiva ed esecutiva. Il fruitore medio, perfino il critico esperto, potrebbe non individuare facilmente i punti di ancoraggio dell’opera, ma di certo uscirà satollo da ogni ascolto con la consapevolezza di essersi imbattuto in un progetto originale, per quanto sul lineage di illustri precedenti desiderosi di individuare una sorta di communis moenia o di communis agere fra jazz, sonorità ambientali e musica di derivazione eurodotta. Fra le tante citazioni riportate da Maria Paola Tagliazucchi nel descrivere le singole tracce dell’album, ve n’è una che calza a puntino e si riferisce a Torquato Tasso, autore della Gerusalemme Liberata, per intenderci, e che al liceo non risultava molto simpatico, il quale sosteneva: «Quella della musica è una delle tre vie per le quali l’anima torna al cielo».
Battute a parte, se all’epoca avessimo saputo dell’esistenza di una tale sensibilità del Tasso per la musica, forse noi poveri liceali tartassati da austeri docenti imbevuti di cultura classica, lo avremmo trovato meno ostico. Non è un divagazione, poiché suddetta frase descrive quasi in maniera mercuriale il disco di Fabio Vernizzi pubblicato dell’etichetta Dodicilune, dove la musica diventa la condicio sine qua non al netto di ogni scelta stilistica o esecutiva. Siccome Tasso non avrebbe mai potuto immaginare le evoluzioni della musica euro-dotta del Novecento o l’avvento del jazz , quella sensazione avrebbe potuto essere esternata da chicchessia o potrebbe esternarla chiunque si accinga ad ascoltare «Wind Tales». Vado oltre, senza prestare il fianco all’iconoclastia o alla blasfemia. C’è una storiella che parla di un ipotetico paradiso in cui gli angeli quando sono da soli suonerebbero e ascolterebbero jazz, mentre quando c’è Dio nei paraggi, si dedicherebbero alla musica classica. Sono convinto che per il disco in oggetto perfino il Supremo concederebbe una deroga, accettandone la fluida bivalenza, mentre il background classico ed il percorso professionale di Fabio Vernizzi, pianista e autore di sette composizioni su otto, diventerebbe un’incontestabile garanzia.
Al netto di un’aura sacrale e sospesa, non sempre il disco s’invola verso le sfere celesti, ma si mantiene a contatto con il terreno ed il modulo jazzistico apparentemente celato fra le righe, ad un certo punto dell’opera, inizierà ad emergere in superficie. L’opener «Bosh», ad esempio, offre notevoli spazi di laica espressività all’ensemble, caratterizzandosi come una tela pittorica ricca di cromatismi, in cui il dipinto sonoro viene creato progressivamente dalle varie sezioni orchestrali. «Piccola Capitale», ispirata alla città medievale di San Gimignano, presenta una struttura orchestrale non rigida e dilatata da ripetuti innesti improvvisativi. «Mai Più Tardi» possiede una duplice personalità legata dalla stessa atmosfera brunita e crepuscolare. Concepito come una struttura pianistica per pianoforte si trasforma nella fase conclusiva in un componimento dai tratti esotici in stile bossa nova. «Whitman» è una composizione per piano solo dall’ambientazione sonora ed ideativa ampia e dilatata. In «ShorTrane» l’anima jazz fa capolino e reclama il suo diritto alla redenzione. Quale omaggio a John Coltrane e Wayne Shorter, dai cui cognomi fusi nasce il titolo, il concept ritmico-armonico trascina l’ensemble su un terreno più ardimentoso, dopo l’intro del tema a colpi di basso ed un maggior spazio concesso all’apparato percussivo, i cui cambi di passo sono magnificati dal sax e dal flauto. A seguire «Fancy», che dopo un festoso abbrivo dal sapore quasi balcanico s’immerge in un lavacro jazzistico locupletato dal pianoforte di Vernizzi che sembrerebbe rinverdire alcune sfumature jarrettiane. «The Flight» predilige la forma canzone con l’ingresso della voce di voce di Claudia Sanguineti, autrice del testo, che apporta un piacevole vento di brezza carico di poesia e lirismo in stile new cool inglese anni ’80. A suggello dell’album, «Dark Wind» è un vento di tempesta dai cromatismi accesi, quale riconversione elettronica del materiale sonoro contenuto nei brani precedenti che, attraverso l’elaborazione e l’interpretazione di Riccardo Dapelo, restituisce una versione surreale ed onirica della summa di tutte le tracce dell’album. «Wind Tales» di Fabio Vernizzi è un lavoro di grana finissima, sviluppato attraverso la turnazione di un composito ensemble di musicisti, originale nel nel concept, nella struttura e nella formula esecutiva, al netto degli stilemi, dei generi e dei linguaggi interpellati.