// di Guido Michelone //

Avvenuta nel maggio scorso, quest’inedita intervista acquista ora tutt’altra valenza alla luce di quanto accaduto nei giorni scorsi. La propongo nella sua interezza, anche per voler ancora cogliere l’attualità di un jazzista che già comincia a mancarci moltissimo. Ricordiamo che Dino Piana è scomparso lo scorso 6 novembre all’età di 93 anni.

D Dino, come ci si sente ad essere il decano del Jazz Italiano?

R Mi sento fortunato, sono ancora curioso, mi piace suonare, studio il trombone tutti i giorni e faccio qualche concerto con mio figlio Franco. Proprio il 7 giugno sarò alla Casa del Jazz con la nostra Big Band per ricordare il grande Maestro ed amico Armando Trovajoli.

D Ci vuole raccontare in breve la sua carriera di musicista?

R Ho iniziato a suonare la tromba nella banda di Refrancore, il mio paese, ero così piccolo che non riuscivo a tenere il passo degli altri musicisti, poi dopo gli anni difficili della guerra sono passato al trombone a pistoni ed ho iniziato a suonare un po’ dappertutto. Durante una serata in un Dancing ho conosciuto Gianni Coscia e siamo diventati amici fraterni. Proprio grazie a lui abbiamo formato il “Quintetto di Torino” e ci siamo iscritti alla Coppa Del Jazz 1959 – 60. Fu un grande successo, arrivammo secondi dietro al quintetto di Gil Cuppini ed io vinsi il premio come miglior solista.

D Ed è da lì che iniziò la sua ascesa?

R Tutti mi volevano ma l’esperienza per me più importante fu entrare a far parte del quintetto Basso-Valdambrini, una vera scuola. Ho poi collaborato con tanti musicisti italiani ed ho avuto il privilegio di suonare con i migliori jazzisti americani: Chet Baker, Gerry Mulligan, Maynard Ferguson, Kay Winding, Slide Hampton, Thad Jones, Mel Lewis, George Coleman, Charlie Mingus. Cosa desiderare di più! Ogni tanto ripenso a queste importanti esperienze e mi sembra un sogno.

D All’estero viene spesso ricordato come elemento aggiunto al Basso-Valdambrini Quintet che appunto diventa Sextet o Plus Dino Piana, in dischi memorabili. Cosa ricorda oggi di quell’esperienza?

R Se ripenso a quei dischi mi vengono ancora i brividi, gli arrangiamenti di George Gruntz erano difficili e molto articolati, fin qui niente di strano, il problema era che io non leggevo una nota di musica. Ricordo ancora le nottate trascorse a casa di Oscar ad imparare i brani a memoria, è stato molto difficile ed anche loro si stupivano del mio orecchio musicale, però ce l‘ho fatta e non finirò mai di ringraziare Gianni ed Oscar musicisti e persone straordinarie!

D Com’era vissuto il Jazz nell’Italia di 60-70 anni fa senza tutti questi Festival e senza nemmeno i telefonini?

R Ogni concerto era una gioia, la passione e l’entusiasmo erano grandi, alla “Taverna Messicana” si provavano i nuovi arrangiamenti per poi proporli nei concerti o ai Festival. C’era un grande fermento, certo i telefonini non esistevano ma c’era una forte comunanza e condivisione d’intenti. Si facevano arrivare i dischi dall’America e si trascrivevano gli arrangiamenti, l’ascolto era fondamentale così come il desiderio di capire ed imparare.

D Invece come ha vissuto gli anni in cui il Jazz è diventato musica di massa, pensando ad esempio a tutti i giovani che hanno invaso Umbria Jazz o altre manifestazioni?

R Certo rispetto agli anni ’60, dove il jazz era una musica di nicchia, il fatto che sia diventato più aperto ai giovani è stato un fatto positivo, inoltre in quegli anni si sono formati molti musicisti che poi si sono rivelati molto importanti per il jazz italiano.

D Quali sono i suoi dischi che ricorda più volentieri?

R Non è facile, però ricordo con grande piacere i dischi con Basso-Valdambrini, quelli di “Jazz Flamenco” con Pedro Iturralde e Paco de Lucia, il disco con Kay Winding “Duo Bones”, il disco con il grande Charlie Mingus, “Al Gir dal Bughi” con l’amico Enrico Rava e mio figlio Franco e poi i cd del “Dino e Franco Piana Ensemble”.

D Ci racconta di qualche suo incontro memorabile con i Maestri del jazz americano?

R Il primo “grande” che incontrai è stato Chet Baker, eravamo al Bussolotto di Forte dei Marmi ed era la mia prima esperienza importante. Chet non venne alle prove, così noi preparammo un’ipotetica scaletta di una ventina di brani, arrivò con molto ritardo, vide l’elenco dei brani, annui ed iniziò a suonare “Tune up”, che naturalmente non era in scaletta, ad una velocità pazzesca…io pensai: iniziamo bene! Poi per fortuna si ravvide e la serata si concluse senza altri problemi.

D Altre occasioni importanti?

R Quella con Kay Winding con il quale ho registrato “Duo Bones”, mi sentì suonare e mi volle per una lunga serie di concerti, fu una grande esperienza con un musicista eccezionale ed una persona per bene, un vero amico. Qualche anno dopo fui chiamato a far parte della Jazz Orchestra Europea di Thad Jones “The Ball Of Fire”. Thad ci venne incontro abbracciandoci con grande cordialità, pensai: “Però non è poi così burbero”, ce ne accorgemmo alle prove…la sezione delle trombe era esausta, però la musica era stupenda. E quindi l’incontro con il grande Charlie Mingus,

D Come avvenne la collaborazione con lo storico contrabbassista e band leader?

R Fui chiamato da Filippo Bianchi: Dino vieni subito che bisogna registrare le musiche del film “Todo Modo” il Maestro è il più grande contrabbassista del mondo: Charlie Mingus. Conoscendo il carattere di Mingus fui molto incerto nell’accettare, ma mia moglie mi convinse. Entrai in studio e mi trovai tutto il suo gruppo schierato, salutai e guardai subito le parti, erano molto impegnative. Entrò Mingus con il cappellone e un grande sigaro in bocca, salutò e staccò il tempo. Di colpo mi trovai immerso in una musica stupenda, con colori e timbri Ellingtoniani, un’emozione indescrivibile. Mingus mi guardò, era soddisfatto, ad un certo punto mi fece segno d’improvvisare, presi la “plunger”, chiusi gli occhi e suonai. Alla fine del brano Mingus mi venne incontro e mi abbracciò, non riuscivo a crederci… un’esperienza indimenticabile e commovente.

D Ancora di recente ha pubblicato un disco con suo figlio: che cosa le dice ancora la musica?

R La musica mi tiene in vita, quando a volte la lampadina si spegne, arriva mio figlio con un nuovo progetto e la luce si riaccende

Franco Piana e Gianni Basso

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