Steve Lehman è un musicista dall’indiscutibile talento e dall’apprezzabile capacità di non fossilizzarsi in esso. Egli ama operare fra le righe, spesso preferendo percorrere strade poco battute per scoprirvi intriganti motivi d’interesse.

// di Gianni Morelenbaum Gualberto //

Per Ex Machina, Lehman ha riunito un trio con il trombettista Jonathan Finlayson e il vibrafonista Chris Dingman, suoi abituali collaboratori, e i quindici elementi dell’Orchestre National de Jazz (OJN). Con il direttore di quest’ultima, Frédéric Maurin, il compositore e sassofonista ha condiviso le composizioni dell’album, ma un’altra presenza è non meno rilevante, cioè il Dicy2, un software prodotto dall’I.R.C.A.M. (il celebre Institute for Research and Coordination in Acoustics/Music di Parigi) in grado di generare sequenze musicali che possono essere integrate in situazioni musicali che vanno dalla produzione di materiale strutturato all’interno di un processo compositivo alla progettazione di agenti autonomi per l’interazione improvvisata. Lehman e Maurin spiegano nelle note di copertina che: “Dicy2 è stato utilizzato anche come strumento pre-compositivo e integrato direttamente nei nostri concetti generali di orchestrazione, ritmo e forma”.

L’interdipendenza musicale tra essere umano e macchina è parsa a molti evocare il pensiero compositivo di Gérard Grisey e un lavoro come Tempus Ex Machina, studio sul suono e sulla manipolazione e dilatazione del tempo, quando invero l’organizzazione armonica e timbrica di cui fanno mostra queste pagine sembra fare riferimento soprattutto all’opera di Tristan Murail (con il quale peraltro Lehman ha studiato) e all’interesse per l’ibridazione cognitiva da questi nutrito. L’abilità dei due compositori sta certamente nell’aver saputo coniugare materiali improvvisati di origine afrologica con una lezione che valuta eminentemente una riconciliazione  ferreamente controllata fra sonorità e formalismo, in opposizione all’astrazione seriale e alla scarsa flessibilità espressiva dell’elettronica.

L’interazione fra strumentisti e software è stata sviluppata con estrema cura, dando vita ad un intreccio fitto quanto sorprendentemente efficace che, nel caso di Lehman, fa tesoro anche del suo lavoro con George Lewis, un pioniere nel campo dei rapporti compositivi fra improvvisazione afrologica e tecnologia. Jérôme Nika e Dionysios Papanikolaou hanno fornito l’interfaccia elettronica sviluppata all’IRCAM e sono stati incaricati di supervisionare i contributi del software alla musica; questi comprendono principalmente l’interfaccia del computer che reagisce in tempo reale alle varie mosse improvvisative dei musicisti, i quali a loro volta aprono ulteriori percorsi per l’ensemble (a tal proposito, è indispensabile leggere un’interessante disanima scritta dallo stesso Nika e da Jean Bresson: Composing Structured Music Generation Processes with Creative Agents).

EX MACHINA Los Angeles Imaginary (Steve Lehman)

Per quanto possa sembrare improbabile, le origini di alcuni di questi lavori paiono emergere già in Xaybu: The Unseen, recente incisione di Lehman con Sélébéyone (gruppo che pratica un’ibridazione di hip hop senegalese, musica elettronica e improvvisazione afrologica):  il connubio fra suoni acustici ed elettronici; l’uso di tecniche armoniche spettraliste; il proliferare di poliritmie e di percorsi dall’andamento geometricamente esatto ma sottoposti a improvvise alterazioni; l’operare su spazi interstiziali, assumono lo stesso afflato trascendente,no uno sguardo indirizzato verso l’inconoscibile. Altresì, come altre opere recenti del sassofonista (e già sin da Travail, Transformation & Flow), Ex Machina evidenzia un ruolo preponderante e immediatamente riconoscibile del compositore che è difficilmente inquadrabile all’interno di quanto delimitato dai parametri canonici dell’improvvisazione di derivazione africano-americana: il contributo  dei solisti è estremamente “indirizzato”, circoscritto, persino condizionato dal materiale scritto e gli stessi interventi del software rispondono, evidentemente, all’input di dati che sono imprescindibili dalla struttura della composizione.  La complessità di quest’ultima, peraltro, non rende agevole un approccio improvvisativo “canonico”, per quanto siano evidenti la presenza di una sensibile conoscenza della tradizione e di una pertinente propulsione ritmica che si fa spesso manifesto “groove”, senza avvertire i gravami di strutture orchestrali non trascurabili (il che invece accade in talune sperimentazioni di Anthony Braxton, al cui brillante modello di Creative Music Orchestra del 1976 Lehman non nasconde di guardare). Paradossalmente, è proprio questa difficoltà a rendere l’opera nel suo complesso così apparentemente varia eppure compattamente logica e omogenea nel risultato finale, ché gli apporti improvvisati agiscono lungo un tracciato apparentemente ampio ma, in realtà, necessariamente delimitato per quanto con grande sagacia (gli eccellenti solisti danno, infatti, l’impressione di operare con notevole naturalezza, per quanto in ogni caso si tratti di una serie di lavori che non può essere affrontata all’impronta e senza numerose prove: non casualmente, il livello di sofisticazione raggiunto è tale che più volte è difficile identificare il suono generato dal software da quello emesso acusticamente). Ex Machina è opera di ammirevole e affascinante intelligenza che difficilmente lascia indifferenti: che lo si voglia o meno, la via elettroacustica all’improvvisazione è segnata.

Steve Lehman – sassofono contralto, electronics / Jonathan Finlayson – tromba / Chris Dingman – vibrafono / Orchestre National de Jazz

EX MACHINA Jeux d’anches (Steve Lehman)


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