«Flowers» di Antonio Del Sordo, un piacevole andirivieni tra passato e presente del jazz (Alfa Music, 2023)

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// di Francesco Cataldo Verrina //

A volte bastano due minuti di ascolto della prima traccia di un album per intuire che il band-leader del progetto sia un batterista. Anche l’ascoltatore medio si avvede subito che lo spiritello beffardo di Art Blakey o, quanto meno, il modus agendi dei Messengers, si sia infiltrato fra le pieghe di questo album. Procediamo, però, per gradi spiegando che nel jazz non tutti i musicisti hanno lo stesso approccio allo scibile sonoro: molto dipende dallo strumento suonato. I lavori in cui il «capo branco» è un lupo dei tamburi, il flusso sonoro sembra avere una spinta perpendicolare rispetto all’asse centrale del costrutto musicale, mentre la batteria, complice il basso, diventa come la corrente che spinge un torrente di musica sempre in piena.

«Flowers» di Antonio Del Sordo, pubblicato da Alfa Music, nonostante il nome delicato e naturista, è un sinergico e ben arrangiato album di moderno post-bob, dove la retroguardia ritmica, guidata dal leader, pur alternando momenti in agro-dolce, non lascia aria ferma concedendo pochi momenti di divagazione sui prati in fiore ad inseguire farfalle. Questo il punto di vista del titolare dell’impresa: «Il titolo di questo lavoro scaturisce dalla voglia di rinascita, come il meraviglioso spettacolo che la primavera ci offre. L’idea di fare un disco tutto mio è spinta dallo sprone di Francesco Palmitessa (chitarra) amico di infanzia che, sin dai tempi in cui ci rinchiudevamo in cantina a suonare, insisteva sul fatto che avrei dovuto registrare un disco a nome mio. Tuttavia gli eventi hanno voluto che passasse del tempo e che questa idea si rafforzasse e diventasse più concreta. Avevo già le idee chiare sui musicisti che avrebbero dovuto far parte di questo progetto. Nicola Borrelli (contrabbasso) è stata la mia spalla. Entusiasta, disponibile, professionale e pieno di talento (…) Poi ho chiamato Giovanni Amato (tromba) a cui ho chiesto se gli avesse fatto piacere suonare nel mio disco (…) Sono veramente felice di aver condiviso le mie note con le sue». In effetti all’interno del disco di buone idee ne sbocciano tante ed a getto continuo come fiori di campo; soprattutto si percepisce che i quattro sodali, come pianeti simili, siano allineati sulla stessa congiunzione astrale ed all’interno della medesima galassia sonora.

Tutte le tracce inedite di «Flowers», per la precisione quattro, sono farina del sacco di Antonio Del Sordo, che dimostra di avere anche una spiccata verve compositiva; il resto del materiale è costituito da due jazz-standard e due classici dell’AmericanSongBook. La progressione e la combinazione degli elementi vecchi e nuovi è perfettamente innestata nel parenchima ritmico-armonico con garbo e ponderatezza, mentre il line-up dimostra apertamente di guardare verso un futuro dell’orizzonte espanso, senza scrutare eccessivamente nello specchietto retrovisore del jazz . Sostiene Del Sordo: «La collaborazione che è nata fra di noi ha un nonsoché di magico e, aver messo a disposizione ognuno la propria esperienza, ha fatto in modo che «Flowers» diventasse un progetto originale. Per registrare questa musica sono state dette poche parole fra di noi per intenderci sul risultato che avrei voluto venisse fuori e, devo ammettere che con tre musicisti di questo spessore, non è stato difficile raggiungerlo. Le emozioni che ho provato alla fine delle sessioni di registrazione mi hanno riportato indietro nel tempo a quando mi diplomai in conservatorio, quella sensazione di aver messo un punto ad un percorso lungo fatto di fatiche, dolori ma soprattutto gioie e tanta soddisfazione».

Già l’opener, Chick’s Tune» di Chick Corea e Blue Mitchell assume le sembianze di un indicatore di marcia, dettando le linee guida dell’intero concept. Del Sordo e compagni ne implementano il plot sonoro rendendolo molto simile a «Moanin’» di Blakey (solo nel mood), pur lasciando intatto il naturale corredo cromosomico del componimento con il suo spanish-tinge: un encomio solenne va alla tromba che spazia a tutto campo. «Trabuccalipso», a firma Del Sordo, mantiene la medesima ambientazione, con qualche richiamo al Colosso: ottimo il gioco dell’alternanza fra tromba e chitarra, mentre basso e batteria erigono gli argini in cui il flusso sonoro viene incanalato. «Nobody Else But Me» di Jerome Kern, pur mantenendo lo svolgimento tematico originale, viene insanguato di blues dall’ottima progressione chitarristica. La title-track, «Flowers» è una perforante ballata con un impianto melodico a presa rapida, locupletato dalla tromba di Amato, che raggiunge alte vette di lirismo, e intarsiato dalle armonie della chitarra di Palmitessa; dal canto loro basso e batteria garantiscono un misurato apporto ritmico. «Peter’s Blues», terza composizione originale in sequenza, possiede i tratti somatici di un hard-bop post moderno, che fa pensare ad Horace Silver con le sue armonie soulful ed i contrafforti urban-funk dettati dal kit percussivo di Del Sordo e caratterizzati dalla tromba. «Beatrice» di Sam Rivers viene restituita al mondo degli uomini con le sembianze di una ballata declinata a luce soffusa ed avvolta in un’atmosfera crepuscolare, in cui chitarra e tromba si fanno promesse per l’eternità. «Figli Miei», scritta dal batterista leader, procede con passo felpato, mentre la tromba distilla una melodia da brivido, assencondata dalla chitarra e dal calibrato groove della retroguardia. «My Man’s Gone Now» di George Gershwin, con un andamento narrativo quasi filmico, consente ai quattro sodali un’escursione metropolitana, tra luci e ombre, fughe improvvisative e ritorni di fiamma. «Flowers» di Antonio Del Sordo non è un disco rivoluzionario ed impegnativo, ma agisce sul piano inclinato del contemporary mainstream, in un piacevole andirivieni tra passato e presente.

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