L’epica guerriglia gay di Julius Eastman

Nel dibattere sul minimalismo, spesso ci si dimentica come esso sia coinciso con un’epoca in cui andavasi affermando una diversa sensibilità politica, il cui motto corrente era the personal is political. Tale ‘motto’ influenzò profondamente i movimenti di liberazione gay e femministi negli Stati Uniti alla fine del ventesimo secolo.
// di Gianni Morelenbaum Gualberto //
I primi compositori di quello che sarebbe stato definito, anche erroneamente, “minimalismo”, tra cui La Monte Young, Steve Reich, Terry Riley e Philip Glass, operarono contro l’establishment contemporaneo del serialismo e delle eurocentriche avanguardie storiche per creare una nuova tradizione musicale che divenne sempre più rilevante per il contesto americano; infatti, il legame del minimalismo con la controcultura degli anni ’60 e ’70 ha legato questo genere all’attivismo sociale fin dalla sua nascita, oltre ad esprimersi in un linguaggio che rifletteva gli interessi delle nuove generazioni per culture e tradizioni aliene all’influenza perdurante dei residuati eurocentrici. Il legame del minimalismo con la controcultura degli anni Sessanta e Settanta ha legato questo genere all’attivismo sociale fin dalla sua nascita. Erano i tempi in cui Bob Dylan cantava The Times They Are A-Changin’ e una nuova filosofia culturale si apprestava a cambiare l’idea del tempo e dello spazio secondo criteri non più legati alla storica colonizzazione europea.
Questa associazione musicale con l’attivismo sociale è continuata con l’emergere del postminimalismo come tendenza musicale distinta. Apparso per la prima volta intorno al 1980, esso ha permesso ai compositori americani di combinare le tecniche minimaliste con i propri stili compositivi distinti; di conseguenza, processi quali la ripetizione, l’armonia statica e le strutture udibili sono stati impiegati da compositori provenienti da un’ampia gamma di contesti musicali e geografici. Secondo la definizione di Timothy Johnson e Kyle Gann, l’espansione motivica, la tavolozza armonica e l’abbandono di una rigida “struttura come forma” collocano molte opere di Eastman all’avanguardia del postminimalismo musicale. La definizione di postminimalismo data da Gann nel 1986 prevede una “musica che utilizza una pulsazione costante, una tonalità diatonica semplice ma non tradizionale e strutture numeriche semplici ma non ovvie” (Kyle Gann, Music Downtown: Writings from the Village Voice, 13), laddove Johnson (Timothy Johnson, Minimalism: Aesthetic, Style, or Technique? In The Musical Quarterly, Volume 78, Issue 4, Winter 1994, 742) definisce un minimalismo musicale che può essere combinato con altri elementi, come le melodie espansive su schemi ripetitivi e una tavolozza armonica dissonante.
Eastman è stato uno dei primi autori a utilizzare l’idioma postminimalista per esprimere messaggi, non solo musicali ma politici. In particolare, una pagina come Gay Guerrilla (1979, per quattro pianoforti o altra combinazione di strumenti) promuoveva una critica consapevole dei movimenti contemporanei di liberazione gay e femminista, incitandoli a manifestare posizioni più militanti e aggressive. Come affermava il compositore: What I am trying to achieve is to be what I am to the fullest— Black to the fullest, a musician to the fullest, a homosexual to the fullest. It is important that I learn how to be, by that I mean accept everything about me (“Quello che sto cercando di ottenere è di essere ciò che sono fino in fondo, nero fino in fondo, musicista fino in fondo, omosessuale fino in fondo. È importante che io impari a essere, intendendo con ciò l’accettare tutto di me”).
Durante una nota, polemica e contestata performance del 16 gennaio 1980 alla Northwestern University (quando furono eseguite tre composizioni: Crazy Nigger, Evil Nigger, Gay Guerilla) , Eastman affermò anche il suo legame con il movimento di liberazione gay collegando una pagina come Gay Guerrilla alla definizione del guerrigliero come qualcuno “che sta… sacrificando la sua vita per un punto di vista”. Eastman criticava il movimento gay contemporaneo per la mancanza della forza d’animo necessaria per morire per la causa, alludendo contemporaneamente a una forma di protesta militarista: Ora, il motivo per cui uso Gay Guerrilla – G U E R R I L L A, quello – è perché questi nomi – permettetemi di mettere qui un piccolo sottosistema – questi nomi: o li glorifico io o loro glorificano me. E nel caso della guerriglia: che glorifica i gay – cioè non ci sono molti guerriglieri gay. Non credo che il “gaydom” abbia – abbia – quella forza, quindi uso quella parola nella speranza che lo facciano. Vede, io sento che – a questo punto, non credo che i guerriglieri gay possano davvero competere con i guerriglieri ‘afghani’ o con i guerriglieri ‘dell’OLP’, ma speriamo che in futuro possano farlo, vede. Ecco perché uso la parola guerriglia: significa che un guerrigliero è qualcuno che, in ogni caso, sacrifica la propria vita per un punto di vista. E, sapete, se c’è una causa – e se è una grande causa – coloro che appartengono a quella causa sacrificheranno il loro sangue, perché, senza sangue, non c’è causa. È per questo che uso il termine guerrigliero gay, nella speranza di poterlo diventare, se richiesto.
Gay Guerrilla, per volontà o per caso, nasce in concomitanza con il decimo anno dai Moti di Stonewall. Era la notte fra il 27 e il 28 giugno 1969 quando la polizia di New York irruppe allo Stonewall Inn, uno dei bar gay più famosi della città, punto di riferimento per tutta la comunità LGBT della città. In quel piccolo locale di Cristopher Street, nel Greenwich Village, iniziarono quella notte i cosiddetti Stonewall Riots, passati alla storia come il momento che segnò la nascita del movimento di liberazione gay in tutto il mondo. Fu la transgender Sylvia Rivera, colpita con una manganellata, a lanciare una bottiglia contro i poliziotti che avevano fatto irruzione nel bar: la folla del quartiere si riversò nelle strade, costringendo I poliziotti a barricarsi nel locale. Oltre 2000 persone affrontarono più di 400 poliziotti in assetto anti-sommossa. Non vi furono vittime, ma lo scontro ebbe conseguenze epocali, maturate dopo precedent rivolte delle comunità queer e trans alla Gene Compton’s Cafeteria di San Francisco (1966) e alla Black Cat Tavern di Los Angeles (1967). Fu l’inizio del movimento di protesta gay che portò, a luglio, alla formazione del Gay Liberation Front, fondato da Craig Rodwell e Brenda Howard, mentre nei mesi successivi nacquero iniziative simili in tutto il mondo occidentale, dalla Gran Bretagna al Canada, passando per Francia, Belgio e Australia. L’anno seguente, proprio il Gay Liberation Front organizzò una marcia dal Greenwich Village a Central Park in commemorazione dei Moti di Stonewall; vi presero parte dalle 5mila alle 10mila persone e si trattò del primo gay pride della storia.
Gay Guerrilla presenta due strati ritmici distinti: uno strato “veloce” composto da crome e semiminime e uno strato “lento” composto da semibrevi e minime. Quando vengono ripetuti, questi due strati formano la struttura di base del brano, con almeno uno strato udibile in ogni momento durante i ventinove minuti della composizione. Sebbene la maggior parte dell’opera presenti entrambi gli strati simultaneamente in più combinazioni di registri , in una occasione viene eseguito solo lo strato “lento” e in un’altra solo quello “veloce”. Altrimenti, entrambe le sezioni si avvicinano e si allontanano in modo fluido attraverso la graduale aggiunta o sottrazione dello strato opposto che crea confini sfumati tra le distinte strutture ritmiche. Dal punto di vista armonico, la composizione vive delle combinazioni fra i due strati ritmici, creando sezioni di centralità modale o di instabilità modale. Nei primi sei minuti, dopo l’iniziale, delicato incipit di un La naturale più volte ripetuto, l’espandersi di un esacordo Re dorico fornisce una certa stabilità diatonica, anche se l’aggiunta di Fa diesis interrompe tale campo armonico. Dopo una breve sezione di ambiguità modale, emerge una scala pentatonica minore di Fa diesis. Tuttavia, la stabilità diatonica di questa sezione viene rapidamente minata dall’aggiunta di materiali ripetitive e non diatonici. Questa costante alternanza tra sezioni di armonicità generale e ambiguità modale, insieme alle fluide transizioni tra questi rispettivi passaggi, sono centrali per il contenuto musicale di Gay Guerrilla.
Nel descrivere il suo approccio compositivo, Eastman faceva riferimento al concetto di “musica organica”, ovvero una musica caratterizzata da un graduale accumulo verticale di altezze che vengono poi lentamente rimosse. Questo approccio assomiglia al “tropo mantrico” della ripetizione minimalista così come descritto dalla teorica musicale Rebecca Leydon (Towards a Typology of Minimalist Tropes, in Music Theory Online, Volume 8, Number 4, December 2002), in cui la ripetizione sembra invocare una forma di misticismo o di “trascendenza spirituale” attraverso la trasformazione di un musema microcosmico ripetuto in un una frase ripetitiva e “discorsiva” più estesa. Sebbene i due strati ritmici di Gay Guerrilla funzionino come musemi e siano combinati per creare sezioni più ampie, l’incorporazione da parte di Eastman della “musica organica” nel brano crea una tessitura che supera di gran lunga l’effetto del “tropo mantrico” di Leydon. Coerentemente con le frustrazioni politiche condivise da Eastman nella sua introduzione al concerto alla Northwestern University, la musica di Gay Guerrilla si espande oltre le tecniche minimaliste in uno stile postminimalista che esplora temi come l’eroismo e il militarismo.
Dopo più di diciotto minuti di complessità e tensione musicale gradualmente crescente, la pagina cita, in un contesto del tutto drammatico ed ispido, la melodia del popolare inno luterano Ein feste Burg ist unser Gott. Questo inno, originariamente composto da Martin Lutero all’inizio del XVI secolo, è stato associato al coraggio e al militarismo sia dalle congregazioni tedesche che da Lutero stesso, e da allora ha mantenuto la sua popolarità e le sue associazioni eroiche all’interno delle comunità protestanti in Europa e in Nord America. In Gay Guerrilla, la melodia dell’inno appare durante il culmine del brano ed è presentata in Si maggiore all’interno di una tessitura quasi-canonica in cui l’organizzazione contrappuntistica tradizionale del canone è sostituita da una sequenza appassionata di melodie sovrapposte. Ciò corrisponde alla filosofia personale di Eastman di attivismo attraverso la violenza, come indicato dal titolo dell’opera. Musicalmente, l’inclusione di Ein feste Burg ist unser Gott va oltre la tradizionale impostazione di una linea di cantus firmus, poiché la grandiosa melodia costituisce il culmine di frammenti melodici ripetuti durante la lunga costruzione della composizione. Inoltre, la sua inclusione crea un’estetica musicale di nuova intensità che supera il passionale e sfiora il violento, poiché la presentazione di questo inno tradizionalmente religioso in un simile contesto espressivo suggerisce un’appropriazione queer, o addirittura il sequestro, di un dominante del protestantesimo. L’accostamento delle due linee melodiche in Gay Guerrilla è una mossa contemplativa di Eastman per suscitare nell’ascoltatore un collegamento tra il titolo dell’opera, l’inno religioso e l’ideologia della Riforma luterana. L’operazione di accoppiare linee melodiche storicamente disgiunte ma politicamente intenzionate è uno strumento contestuale che il compositore impiegherà anche in altri lavori.
I temi eroici e coraggiosi di Gay Guerrilla furono formulati da Eastman in un momento in cui il movimento per i diritti dei gay negli Stati Uniti stava guadagnando terreno, dopo le già citate rivolte a San Francisco, Los Angeles e New York. La “militanza e le tattiche” utilizzate da questi rivoltosi ispirarono un movimento decennale contro la cultura sociale oppressiva e discriminatoria degli Stati Uniti attuata nei confronti di certe comunità. Negli anni ’70, il movimento per i diritti degli omosessuali si era basato sulla copertura nazionale ottenuta dai movimenti omofili dei decenni precedenti, creando nuove organizzazioni come il già citato Fronte di Liberazione Gay (GLF), che propagandavano politiche sempre più radicali e utilizzavano forme di attivismo e di sensibilizzazione come le prime Pride Parade. Al centro delle ideologie di questi gruppi vi era la nozione che il personale, o meglio il sessuale, era politico, e l’incarnazione fondamentale di questa ideologia era l’atto del “coming out”. Scegliendo il titolo di Gay Guerrilla, Eastman non si limitava a rivelare la sua sessualità al pubblico; piuttosto, la esibiva provocatoriamente, rendendola parte primaria della sua identità pubblica, in un atto politico e in una dichiarazione radicale di autoespressione che lo collegava alla lotta contemporanea per la liberazione degli omosessuali. Al contempo, così come già aveva dichiarato il free jazz (l’affermazione primaria, fortissima e politica di un nuovo modo, squisitamente ed inequivocabilmente africano-americano, di intendere la sperimentazione musicale nel mondo contemporaneo), egli lascia intendere che l’avanguardia è una cosa africano-americana e che l’africano-americano in sé è avanguardia. Poiché in precedenza l’avanguardia era stata definita all’interno di una formulazione canonica eurocentrica e euro-americana che escludeva l’arte africano-americana, Eastman si inserisce nel processo di decolonizzazione della musica accademica americana, infrange la sicurezza di tale spazio euro-americano-centrico e lo problematizza, ponendolo di fronte ai suoi personali comportamenti oltraggiosi e a un ideale di bellezza queer basato sulla supremazia della negritudine. Non solo, egli rifiuta la separatezza della musica accademica eurocentrica, il suo implicito razzismo nei confronti dell’”esotismo”, e attraversa generi, vernacoli, linguaggi, contaminazioni, in un tipico esempio di ciò che è stato definito everyday practices of Black space-making (The Black Mediterranean: Bodies, Borders, and Citizenship, Palgrave MacMillan 2001). I temi esplorati nell’opera di Eastman erano anche il frutto di importanti eventi della politica gay contemporanea, tra cui l’elezione di Harvey Milk al Board of Supervisors (Consiglio Comunale) di San Francisco nel 1977, primo legislatore apertamente gay degli Stati Uniti.
In una fredda mattina del novembre 1978, Dan White, ex-consigliere della città di San Francisco, prese una rivoltella, entrò nel municipio e assassinò il sindaco George Moscone e Harvey Milk. Fu un atto di vendetta personale e politica che sconvolse la nazione e fece precipitare San Francisco in un baratro dal quale ci vollero anni per riprendersi. Solo nove giorni prima, 912 membri cittadini del Peoples Temple del Reverendo Jim Jones erano morti in un omicidio-suicidio collettivo nella giungla della Guyana. Una città già provata dalla tragedia, che era stato teatro degli omicidi seriali definiti Zebra e Zodiac e del rapimento di Patty Hearst, aveva perso il suo sindaco liberale insieme a Milk, il primo funzionario eletto apertamente gay in America. Non vi furono scuse da parte di White, un ex-poliziotto afflitto da depressione e paranoie che aveva lasciato il suo lavoro nel Consiglio Comunale ed era esploso quando non era riuscito a riaverlo. White ammise di aver ucciso a sangue freddo due funzionari pubblici, ma fu condannato (da una giuria prevalentemente bianca, cattolica e eterosessuale) solo per omicidio colposo, scontando poco più di sette anni di carcere. Con una difesa innovativa, i suoi avvocati sostennero che White aveva agito in condizioni di “ridotta capacità di intendere e di volere”, causata da un forte consumo di cibi spazzatura. Indignati, i legislatori californiani si mossero per limitare tali tattiche nei futuri processi per omicidio. La lieve condanna provocò i cosiddetti disordini della Notte Bianca (White Night Riots), durante i quali migliaia di manifestanti e attivisti gay si riunirono presso il municipio e si scontrarono con la polizia.
All’epoca, San Francisco stava vivendo un’ondata di sconvolgimenti: i potentati italiani e irlandesi che avevano gestito la città per decenni stavano perdendo potere, mentre i nuovi arrivati – gay, attivisti di quartiere e immigrati etnici – avevano preso il controllo. Due mondi in rotta di collisione. Per alcuni, la rabbia di White simboleggiava un ordine morente. Quando si uccise due anni dopo il suo rilascio dal carcere, l’assassino sembrò chiudere il libro delle tragedie che aveva scatenato. Ma ancora oggi i cittadini di San Francisco discutono sulle sue azioni. Era semplicemente uno squilibrato con una pistola? O simboleggiava una classe conservatrice di colletti blu provocata e umiliata dal rapido cambiamento urbano? Sia l’assassinio di Milk che le rivolte della Notte Bianca a San Francisco avvennero meno di un anno prima che Julius Eastman componesse Gay Guerrilla. Data l’importanza di tali eventi per la lotta di liberazione gay contemporanea, il materiale musicale eroico e il riferimento all’inno di battaglia di Lutero celano probabilmente un significato più profondo. L’opera può essere interpretata come un grido di battaglia per il movimento nato dopo gli scontri di Stonewall e la natura altamente religiosa del suo riferimento principale non fa che rafforzare l’associazione di essa con il coraggio, la santità e persino il martirio. Ché è fin troppo ovvio che l’opera del compositore non è un percorso attraverso l’omosessualità nella negritudine e oltre la negritudine, ma un’illustrazione modernissima di ciò che negli anni Sessanta e Settanta accadeva all’intersezione fra sesso, etnia, classi sociali ed economia.
