// di Guido Michelone //

D. Così, a bruciapelo, chi è Riccardo Scivales?

R. Pianista/tastierista Latin, Latin Jazz e Progressive Rock con le sue band Quanah Parker e Mi Ritmo, e musicologo che studia e trascrive gli stili pianistici jazz dalle origini al Bebop. Autore di una trentina di libri e metodi di piano jazz e Latin, pubblicati a partire dal 1990 soprattutto negli Stati Uniti. Compositore di numerosi brani pubblicati su libri e riviste specializzate americane, e suonati da vari musicisti ed ensemble. Trascrittore di registrazioni pianistiche Stride e jazz, con oltre un centinaio di queste trascrizioni pubblicate su libri e riviste. Autore di saggi sul pianismo di Gershwin, l’improvvisazione nel Ragtime e la poliritmia nell’improvvisazione pianistica afrocubana. Autore di articoli e monografie per riviste italiane e americane, come “Piano Today”, “The Piano Stylist & Jazz Workshop”, “Keyboard Classics”, “Jazz”, “Blu Jazz”, ecc. Dal 2003 al 2012, Contributing Editor di “Piano Today” e “Sheet Music Magazine”. Nel 1995-1996, autore di circa trecento programmi delle serie radiofoniche “Galleria del jazz” e “Archivio del jazz” di RAI-RadioTre. Nel 1999-2009, docente di Storia del Jazz presso l’Università di Venezia. “Collaboratore all’Orchestrazione” della prima italiana del musical “Lady, Be Good!” di Gershwin (PalaFenice, Venezia, 2000). Insegnante di Pianoforte Moderno in varie scuole di musica, e nel 2005-2007 docente di Composizione e Improvvisazione Ragtime nel Corso di Specializzazione in Letteratura Pianistica Afroamericana presso il Conservatorio di Castelfranco Veneto. Traduttore (non accreditato in copertina) dei primi 34 volumi italiani del famoso metodo pianistico Bastien e divulgatore in Italia dello stesso, come didatta e interprete dei seminari tenuti dagli autori nel 1992-2002. Self publisher con la sua casa editrice Scivales Music, che a partire dal 2020 ha pubblicato apprezzati titoli come “The Blues Piano” (con Giannantonio Mutto), il top seller “Play… Latin Piano Like A Pro!” e più recentemente “Nimba”, sul grande e indimenticato batterista Giampiero Prina. Sempre con la Scivales Music, ho anche ristampato i miei principali libri statunitensi, la cui distribuzione si era momentaneamente interrotta quando il loro editore originale Ekay Music aveva chiuso l’attività per andare in pensione. I loro titoli sono “Harlem Stride Piano Solos”, “The Soul Of Blues, Stride & Swing Piano”, ”The Right Hand According To Tatum”, “Jazz Piano: The Left Hand”, “Learn To Play Latin Piano” e “Dick Wellstood: Jazz Piano Solos” (quest’ultimo uscito per la Kjos Music Company di San Diego), e ora sono tutti facilmente reperibili su Amazon.

D. Mi racconta ora il primo ricordo che ha della musica?

R. L’episodio strumentale subito dopo l’Intro di “Heart of the Sunrise” dall’album “Fragile” degli Yes, cioè la sezione in cui il basso elettrico solista del grande Chris Squire si integra perfettamente col raffinato drumming jazzistico di Bill Bruford e gli evocativi Mellotron Strings classicheggianti del tastierista Rick Wakeman, che sembrano “volare” magicamente sopra al tutto. Una rivelazione per me, all’epoca adolescente, e una creazione del tutto diversa da qualsiasi altra cosa avessi ascoltato prima. Un episodio di grande fascino e suggestione, che travalica senza alcuna forzatura ogni steccato stilistico, fondendo alla perfezione, e in modo originalissimo, elementi rock, jazz e classici.

D. Quali sono i motivi che l’hanno spinta a diventare un musicista? R- Il brano che ho appena detto, e l’entusiasmo provato nell’ascoltare, sempre da adolescente, le grandi band Prog degli anni Settanta. Inoltre, l’affascinante musica per arpa celtica e ovviamente la musica classica, in particolare Vivaldi, Bach, Scarlatti e Musorgskij. A tutto questo si aggiunsero presto il Ragtime di Scott Joplin ed Arthur Marshall, il jazz di Tatum, Garner, Oscar Peterson, Bill Evans, Dave Brubeck e Chick Corea, quindi lo Stride Piano.

D. E in particolare un musicista che si è dedicato allo studio del jazz e dei suoi stili pianistici?

R. Il motivo principale fu la mia “scoperta” di Fats Waller e James P. Johnson, quindi del variopinto universo dello Stride Piano, con i suoi tanti stili individuali, diversissimi tra loro. Pensiamo ad esempio alla grande originalità di Willie “The Lion” Smith. Questa musica mi colpì molto perché la trovavo elettrizzante, con una meravigliosa complessità ritmica e delle soluzioni del tutto nuove rispetto al pianismo jazz che avevo ascoltato in precedenza e che adesso mi sembrava, per quanto sempre bellissimo, molto più uniforme. I rari spartiti Stride esistenti all’epoca erano troppo semplificati e non rispecchiavano le cose assolutamente fantastiche che sentivo suonate nei dischi. Iniziai così a trascrivere nota per nota i grandi capolavori registrati dai maestri Stride. Non fu cosa facile, perchè tutte queste mie trascrizioni (almeno un centinaio) le feci con un registratore a cassette, con pitch regolabile: all’epoca non esisteva la tecnologia odierna, che ti permette di rallentare anche di molto un brano senza alterarne la tonalità e “sporcarne” il suono, e rende enormemente più facile il tutto. Al tempo stesso, questo mio interesse per stili “vecchi” e un po’ dimenticati come lo Stride e lo Swing si rivelò anche la mia fortuna, perché originò i miei libri e metodi pianistici che, pubblicati negli USA a partire dal 1990 dalla Ekay Music e altri editori, ebbero grandissimo successo in quanto colmarono un settore editoriale allora molto lacunoso in tal senso. Le prime trascrizioni le feci per la mia tesi di laurea, poi per varie riviste specializzate e per i miei libri. Sembra che queste trascrizioni abbiano avuto un ruolo di rilievo nella “riscoperta” dello Stride Piano: divulgate in Italia (dove lo Stride era praticamente sconosciuto) dal grande Marco Fumo, e insegnate da importanti didatti e scuole americane, vennero anche incise su CD da pianisti come Alan Feinberg, Meral Guneyman e Donna Coleman. Attualmente, sono suonate da pianisti un po’ di tutto il mondo. Pare anche che il mio primo libro “Harlem Stride Piano Solos”, del 1990, abbia spinto due grandissimi pianisti Stride odierni, cioè Stephanie Trick ed Ethan Uslan, ad abbandonare lo studio della musica classica per rivolgersi allo Stride Piano. Almeno questo è quanto mi hanno detto loro stessi, e non so dirti quanto questa cosa mi ha onorato e reso felice. Nel libro c’è anche la mia trascrizione del formidabile “Carolina Shout” di James P. Johnson, autentica pietra miliare del pianismo afroamericano, e di altri 25 capolavori di straordinari “tickler” come Eubie Blake, Waller, “The Lion”, ecc.

D. Ma cos’è per lei il jazz?

R. Una delle più belle musiche al mondo, anche se non necessariamente l’unica o la più importante dei nostri tempi, perché credo che ogni genere musicale abbia le sue meravigliose peculiarità, non necessariamente presenti negli altri generi.

D. Quali sono le idee o i sentimenti che associ alla musica jazz? R. Adoro i suoi vari strumenti, ma devo dirti che identifico il jazz soprattutto col pianoforte. E trovo che gli stili che vanno da Morton ad Erroll Garner abbiano una verve, un ritmo e una giocosa complessità che li rendono assolutamente fantastici, e irresistibili. Idem per quanto riguarda i grandi pianisti Latin e Latin Jazz.

D. E tra i dischi che ha ascoltato, quali sono i tre che porterebbe sull’isola deserta?

R. Domanda difficilissima! Mi è impossibile rispondere solo con tre dischi, anche perché, come dicevo prima, la mia formazione e i miei ascolti comprendono varie musiche oltre al jazz. Ad ogni modo, provo a dirti alcuni dischi che sono stati per me fondamentali. Come brani singoli, senz’altro “Mule-Walk Stomp” di James P. Johnson e l’inarrivabile versione-capolavoro di “Limehouse Blues” di Cliff Jackson. Così come sono inarrivabili le varie versioni di “Caribe” di Michel Camilo, il capolavoro unico e sommo che secondo me rappresenta la musica Latin come nessun altro. Cambiando completamente genere, la straordinaria danza bulgara “Smeceno Horo”, con i suoi favolosi tempi “dispari”, nell’interpretazione degli irlandesi Planxty di Andy Irvine. E ancora “La Fiesta” e “Señor Mouse” di Chick Corea, specialmente le versioni live col vibrafonista Gary Burton. Se intendi un album, qualsiasi buona raccolta dei maestri Stride, e gli indispensabili “Piano Reflections” di Ellington e “Concert By The Sea” di Erroll Garner. Nella musica Latin e Latin Jazz, “Llegò La India” di Eddie Palmieri, “El des-conquistador” di Santos Chillemi e la favolosa colonna sonora di ”The Mambo Kings”, che include anche l’irrinunciabile “Mambo Caliente” di Arturo Sandoval. Nel Progressive Rock, il brano “Awaken” degli Yes e l’album “The Myths and Legends of King Arthur…” di Rick Wakeman, miniere d’oro di idee e sonorità tastieristiche che continuano ad affascinarmi dopo tanti anni. E ancora “Tarkus” degli EmersonLake&Palmer, il più magistrale esempio di musica basata su armonie e melodie quartali. Per la musica classica, immensi i “Quadri di un’esposizione” di Musorgskij, rigorosamente nella loro versione pianistica originale (unica eccezione, almeno per me, vari “quadri” così come vennero rielaborati dagli EmersonLake&Palmer).

D. Quali sono stati i suoi maestri nella musica, nella cultura, nella vita?

R. Nella vita, devo ancora capirlo. Nella cultura, mio padre, e il professore/musicista Angelo Zaniol. Nella musica, il mio primo maestro Giuseppe Marotta, che oltre a darmi la necessaria preparazione musicale e pianistica, mi ha saputo aprire alle musiche più disparate. Nella musicologia, Marcello Piras. Importantissimo anche il mio amico scozzese Dennis Proctor, quando ci avvicendavamo come pianisti in un caffè di Piazza San Marco a Venezia. Un musicista naturalissimo e meraviglioso, dal quale ho imparato molto. Così come il mio grande editore “storico” Ed Shanaphy e i favolosi editor delle sue riviste, Becca Pulliam e Stuart Isacoff. Con queste persone ho un particolare debito di gratitudine, per aver creduto subito in me e nella mia musica, per averla divulgata, e per quanto mi hanno insegnato in campo editoriale.

D. E i pianisti che l’hanno positivamente influenzata?

R. I grandi pianisti e tastieristi Prog, come Tony Banks, Keith Emerson, Rick Van Der Linden, e Vittorio e Gianni Nocenzi del Banco. In ambito jazzistico ed afroamericano, Scott Joplin, Jelly Roll Morton, James P. Johnson, Fats Waller, “The Lion”, Cliff Jackson, Ellington, Herman Chittison, Monk, Dick Wellstood, Garner, Peterson, Corea, ecc. Sul versante Latin e Latin Jazz, giganti come Noro Morales, Michel Camilo, Charlie ed Eddie Palmieri, Santos Chillemi, Alex Wilson, ecc. E continua a sorprendermi il fatto che, nonostante la tantissima musica che ho ascoltato in tutti questi anni, l’influenza più forte rimane sempre quella di Rick Wakeman, che oltre ad essere un pianista/tastierista assolutamente magico e uno straordinario maestro del colore timbrico, è un musicista molto più versatile e completo di quanto comunemente si crede, e di quanto credono anche i suoi estimatori che si fermano al suo primo album solista “The Six Wives…” e alla sua produzione con gli Yes. Ho moltissimi suoi dischi, ma grazie a YouTube ho scoperto recentemente tanti altri suoi materiali, specialmente live, che non conoscevo, e che mi hanno svelato ulteriori aspetti della sua arte, ad esempio un sorprendente talento di improvvisatore. Ed è stato molto emozionante, per me, incontrarlo di persona dopo due suoi concerti italiani, in particolare quello al Teatro Olimpico di Vicenza, e consegnarli degli articoli e trascrizioni/arrangiamenti che avevo scritto su di lui per due riviste americane.

D. Il momento più bello della sua carriera di musicista?

R. Difficile sceglierne uno in particolare, perché nonostante le mille difficoltà sono stato fortunato ad avere avuto varie occasioni di poter esprimere al meglio la mia musica sia suonata che stampata. Come pianista/tastierista con la mia band Quanah Parker, direi i quattro Festival Rock Progressive da noi organizzati a San Donà di Piave e documentati ad esempio dai brani che puoi vedere digitando “Quanah keysspecial” su YouTube. Sempre con i Quanah, l’apertura a un concerto dei grandi Area di Patrizio Fariselli sul bellissimo palco del Castello di San Giusto a Trieste. Vari concerti con la mia Latin band Mi Ritmo, nelle sue formazioni dal trio vibrafono/pianoforte/batteria a quelle allargate con la cantante jazz Elena Camerin: ricordo in particolare il minitour lombardo “Musica dalle Due Americhe”, che vedeva incredibilmente in cartellone noi Mi Ritmo (per la musica latinoamericana) insieme al grandissimo Giorgio Gaslini per il jazz. Come compositore, la straordinaria interpretazione del mio brano “Guajira” da parte del duo Giannantonio Mutto-Leonardo Sapere (pianoforte e violoncello) al Ridotto del Teatro Comunale di Ferrara: il suo video è su YouTube, e ne sono particolarmente orgoglioso. Sempre come compositore, il vedere tanti miei brani e arrangiamenti incredibilmente stampati su riviste come ”Keyboard Classics” e “Piano Today” accanto ai brani dei più grandi musicisti di sempre. Come autore di libri pianistici, le splendide recensioni di musicisti e giornalisti altamente qualificati, e i tanti messaggi di generoso e disinteressato apprezzamento che continuo a ricevere dai loro acquirenti, e che mi commuovono. Come pianista, un concerto del 2022 con tanti grandi jazzisti al Teatro Lirico “Gaber” di Milano, dove sono stato invitato come solista ospite da Enrico Intra, col quale avevo già dato il nostro concerto pianistico “Non solo jazz”, e che mi ha anche chiamato a co-firmare con lui i libri “L’improvvisazione è improvvisata?” e “Jazz Piano Repertoire”. Più recentemente, la serie di otto conferenze su Antonio Canova in cui ho suonato dei brevi pezzi classici e anche alcuni miei brani, nei quali la relatrice ha generosamente visto rispecchiata l’idea di Bellezza di alcuni disegni canoviani.

Quali sono i musicisti con cui ama collaborare? Quelli che oltre ad essere bravi e inventivi, ti trasmettono gioia ed empatia, e in tal modo stimolano la tua stessa creatività!

Come vedi la situazione del jazz in Italia? Considerate le tante difficoltà che incontrano le musiche cosiddette “non commerciali”, direi complessivamente buona. Sembrano finalmente caduti vari pregiudizi e chiusure che ostacolavano questa musica in passato. Aggiungo che secondo me la riproposizione creativa degli stili jazzistici dagli inizi a tutta la Swing Era forse avvicinerebbe ancora di più la gente e il cosiddetto “ascoltatore comune” a questa musica. Ricordo ad esempio lo straordinario entusiasmo per i brani suonati da Marco Fumo e Luca Filastro nell’evento “All that jazz – verso e oltre il ragtime”, organizzato dal grande Rudy Fantin, che ho introdotto e presentato qualche anno fa a Udine.

D. E più in generale della cultura in Italia? R. Com’è noto, in passato l’Italia ha dato tantissimo al mondo in termini culturali e artistici. Mi sembra però che in questi anni venga raramente dato il giusto valore alla cultura, che secondo me è importante e ti permette di comprendere e apprezzare meglio le cose.

D. Cosa sta progettando a livello musicale per l’immediato futuro?

R. Sta per uscire “Easing Into Stride”, il nuovo libro che ho scritto insieme al mio amico editore Ed Shanaphy, che oltre ad essere stato uno dei più grandi editori jazz statunitensi, è stato pianista di una delle orchestre postume di Glenn Miller e direttore del “direct marketing” della CBS. E’ una raccolta di 16 arrangiamenti pianistici Stride di livello intermedio, otto miei e otto suoi, con Prefazione della grande Stephanie Trick, e con dei testimonial d’eccezione. In questi giorni sto completando il terzo album in studio dei miei Quanah Parker. Si intitola “Nel Castello delle Fate” ed è un concept album sul Potere Guaritore della Musica, filtrato dalla bellezza femminile e veicolato dalle mani di una donna. Ho iniziato il mio nuovo libro&metodo di piano Latin: il terzo, dopo l’apprezzatissimo “Learn To Play Latin Piano” e il sorprendente top seller “Play… Latin Piano Like A Pro!”. Vorrei tanto completare la traduzione inglese del primo libro Scivales Music, “Storie di Vecchi Pianisti Jazz… e di come funzionava la loro musica”, del 2020. E sto per pubblicare i libri di due grandi maestri che mi onorano da tempo della loro amicizia e stima. Il primo è una raccolta di brani didattici per violino e pianoforte scritti da Giannantonio Mutto. L’altro è una raccolta di arrangiamenti di jazz classico elaborati per vari combo dal clarinettista Roberto Beggio, padre del grande batterista Mauro Beggio. E ho nel cassetto tante altre cose. A presto, e grazie per l’intervista!

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