«Mi Barrio» di Pan-Am Latin Project, un arazzo sonoro che intreccia abilmente le storie musicali di due Americhe

Un progetto discografico facilmente metabolizzabile, in grado di trasportare il fruitore oltre confini ed oceani, immergendolo nel calore contagioso delle sonorità latino-americane fuse a caldo all’improvvisazione jazzistica.
// Francesco Cataldo Verrina //
«Mi Barrio» è il progetto discografico del Pan-Am Latin Project che si configura come un audace tentativo di unione musicale fra le due Americhe. Il gruppo, guidato dal trombettista umbro Cesare Vincenti, offre un’analisi sonora ricca e sfaccettata che attraversa sulla scorta di un’efficace duttilità esecutiva le diverse culture musicali e i generi che caratterizzano l’universo latino-americano e il jazz.
A partire dall’opener «Arthur’s Dance» di Dave Samuels, l’ascoltatore viene immerso in un melting-pot di ritmi afro-caraibici e melodie jazzistiche sincopate dal vibrafono di Jacopo Bazzarri, stabilendo immediatamente il tono zebrato dell’album, quasi una danza apotropaica che invita a muovere i piedi ed a liberare il cuore dai patimenti. La tromba del band-leader sembra rendere omaggio al jazz classico, ma ciascuna nota palpita di una persistente influenza latina percepibile in ogni interstizio del disco. Vincenti ed il suo ensemble veleggiano tra gli stili, alternando momenti di improvvisazione a strutture più rigide, rendendo ogni componimento un’esplorazione collettiva, riflettente la complessità dei dettami sonori di entrambe le Americhe. L’originale «Masai», firmata dallo stesso Vincenti, è un chiaro esempio dell’intreccio di linguaggi sonori, contrassegnati da un ritmo progressivo e da armonie che si sublimano sapientemente, specie nel dualismo tromba-vibrafono che fungono da narratori ufficiali, sostenuti egregiamente da Ludovico Carmenati al contrabbasso, Roberto Bisello alla batteria e Amedeo Griffoni alle percussioni.
Calzante scelta di combinare pezzi originali di recente conio con motivi noti come «Duke Of Iron» di Sonny Rollins, dove il gruppo tiene il passo delle melodie con disinvoltura, quale espressione di una passione rinnovata, e «Mambo Inn» di Mario Bauzá che riporta al mood caliente delle notti caraibiche. Tale procedura evidenzia il desiderio di stimolare ed arricchire l’esperienza dell’ascoltatore. «Ipanema’s Breeze», ancora farina del sacco di Vincenti, rappresenta un momento di sosta contemplativa nell’album, con sonorità che evocano le spiagge brasiliane, mentre «Claudia» di Chucho Valdés è un sussurro che racconta storie più intime e profonde, così come «Minha Saudade» di João Donato diventa portatrice sana di un respiro delicato e malinconico, quasi un’immersione nei ricordi. La diversità è un valore aggiunto che conferisce all’album un ulteriore elemento di alterità, integrando il repertorio con tratteggi caraibici e brasiliani. Ogni frammento è un passo deciso nel ballo delle culture audiotattili, mentre l’ensemble si distingue per l’abilità di adattare la struttura dei temi alle caratteristiche formali di ogni cultura di riferimento, decretando così una narrazione musicale innovativa, ma al contempo rispettosa delle tradizioni.
La title-track, «Mi Barrio», rappresenta la quintessenza del progetto, operando sulla scorta di melodie orecchiabili ed attraverso un invito festante dal sapore vagamente retrò. Un’ode alle radici comuni, alle storie condivise, un richiamo vibrante che rende omaggio ai suoni delle strade, delle «fiesta» e delle tradizioni popolari incanalate in un groove fluido ed invitante. Ciascun membro del line-up sposa armoniosamente la collegialità del progetto, dando vita a un dialogo inter pares ricco di feeling e complicità. La conclusiva «Morning» di Clare Fischer rappresenta un monito teso a ricordare che la musica è un viaggio infinito e che ogni alba porta con sé nuove speranze e riconnessioni. «Mi Barrio» dei Pan-Am Latin Project non è solo un album di latin-jazz: è un manifesto di unità culturale e artistica, che raccorda due estremi sonori, apparentemente agli antipodi. I Pan-Am Latin Project riescono ad implementare un hub sonoro che supera i confini geografici e culturali, un ponte melodico tra diverse concezioni ritmiche. Servendo su un piatto d’argento dieci tracce ricche di sfumature, storie di terre lontane e ritmi esotici in un’unica, gioiosa e vibrante fusione di note, Vincenti e soci apportano un contributo significativo alla perpetua evoluzione della musica jazz (nell’accezione più larga del termine) nel contesto contemporaneo, indicando, al contempo, un terreno comune in cui le culture si incontrano e si fondono.
