«#Underdogs» di Simone Gubbiotti, l’improvvisazione in un perpetuo dialogo di grande efficacia espressiva (Double Dimension Records)

Le melodie e le armonie del disco riflettono una comprensione profonda della tradizione jazz, pur mantenendo sempre una corsia aperta verso la ricerca sonora contemporanea. Ogni brano ha una sua identità ben definita, eppure c’è un filo conduttore che lega l’intero lavoro.
// di Francesco Cataldo Verrina //
Il sesto disco di Simone Gubbiotti, «#Underdogs», è un’ode ad un tipo di jazz essenziale e vibrante, in cui il concetto di «less is more» trova un’aura quasi salvifica. Il chitarrista Umbro riesce delimitare intriganti angoli sonori insieme ad una sezione ritmica di prim’ordine, composta da Paolo Franciscone alla batteria e Davide Liberti al contrabbasso. L’innesto della cantante brasiliana Valentina Pagliarello, in arte Cantora, aggiunge un insieme di sfumati cromatismi al costrutto sonoro, facendone un’esperienza quasi olistica.
«#Underdogs» di Simone Gubbiotti, s’impone con forza nel panorama jazzistico contemporaneo, evidenziando un percorso artistico segnato da significative sfide personali e professionali. La biografia di Gubbiotti è già di per sé un racconto di resilienza, perfetto per una sceneggiatura in cui il cosiddetto «sfavorito» riesce a ribaltare le aspettative. Arrivato alla musica intorno ai venticinque anni, il suo approdo nel mondo della chitarra e del jazz diviene ancora più rilevante considerando il contesto di partenza. Il titolo «#Underdogs» non solo battezza l’album, ma rappresenta anche l’essenza del trio che accompagna Gubbiotti: una dichiarazione chiara delle proprie radici e della volontà di affrontare la vita da un’ottica differente. Il concetto di «#Underdogs» viene esplorato da Gubbiotti non solo come una condizione di svantaggio, ma come un’opportunità di riscatto: un tema che ha svolto un ruolo centrale nella sua carriera. Da ricordare, infatti, è la sua opera letteraria del 2018, Underdog: l’arte dello sfavorito, che sottolinea come anche chi è rimasto indietro possa sperare in un futuro positivo. L’attività musicale di Gubbiotti si è sviluppata a un ritmo sorprendente, grazie ad una formazione tenace ed a frequentazioni significative negli Stati Uniti. Dopo essersi trasferito a Los Angeles per studiare al Guitar Institute Of Technology, ha avuto la fortuna di apprendere le nozioni basilari dello scibile jazzistico da personaggi come Sid Jacobs e Joe Diorio. Tali esperienze non solo ne hanno affinato la tecnica, ma lo hanno consentito al chitarrista umbro di entrare in contatto con illustri nomi del jazz, arricchendone ulteriormente il percorso.
La scelta di limitare la strumentazione al guitar trio consente ai musicisti di esplorare le dinamiche improvvisative in un dialogo continuo, di grande efficacia espressiva. Lo stile di Gubbiotti è caratterizzato da una sonorità asciutta, fluida e molto vitale, evocando chitarristi come John Scofield, John Abercrombie e Bill Frisell, mentre allo stesso tempo il chitarrista umbro rinuncia ad ogni nostalgia, radicandosi nell’urgenza dell’hic et nunc. Le melodie e le armonie del disco riflettono una comprensione profonda della tradizione jazz, pur mantenendo sempre una corsia aperta verso la ricerca sonora contemporanea. Ogni brano ha un’identità ben definita, eppure c’è un filo conduttore che lega l’intero lavoro. l’album si distingue non solo per l’eccellenza tecnica degli attanti coinvolti ma anche per la coesione narrativa e il messaggio intrinseco di superamento e trionfo personale che Gubbiotti trasmette. Ogni traccia è un viaggio che invita l’ascoltatore a riflettere sulla potenza della musica come mezzo di riscatto, un inno alla tenacia e alla capacità di rialzarsi, insinuando che chiunque possa cambiare il proprio destino attraverso la passione e la dedizione. «Injury Time» è un azzeccatissimo opener che favorisce un inizio contrassegnato da fraseggi veloci di chitarra, mentre il contrabbasso lancia il guanto di sfida in una conversazione serrata. Lo splendido intervento di contrabbasso, che sembra quasi inseguire il ritmo della chitarra, crea un continuum sonoro che è impossibile non apprezzare. Il brano è un’ottima introduzione al disco, lasciando subito intuire l’intesa perfetta tra i musicisti. «Questione di Tempi» introduce un’atmosfera meditativa, con accordi ascendenti che si alternano a spazi di silenzio, permettendo a ogni strumento di brillare a suo modo, senza mai sovrapporsi. Il trio adotta un tempo più moderato, con il contrabbasso dispensatore di assoli profondi e riflessivi. La batteria di Franciscone accompagna con precisione, rendendo il groove incalzante senza sopraffare mai la melodia. «3. 4-5» si sostanzia come un brano costruito su un gioco di tempi che si intrecciano con la batteria, al fine di creare un’onda ritmica continua. L’improvvisazione di Gubbiotti è dialogica, trovando nel contrabbasso una coesione musicale solida e ben calibrata.
«The Day Before – Back in Training» è un costrutto dall’anima blues che si distingue per la voce eterea di Cantora, che aggiunge un colore speciale all’atmosfera complessiva del brano. Qui, Gubbiotti sperimenta con il sustain e la distorsione, donando maggiore profondità emotiva al pezzo. Passando per «Unnecessary Roughness» e «Decostructing», viene a galla una gestione sapiente dello spazio e del tempo, specie nel tratturo improvvisativo, dimostrando come il trio possa dar vita ad un’ambientazione sonora immersiva e ipnotica al contempo. Al primo impatto, «The Place I Live» sembra quasi un un mirror o una naturale evoluzione di «Deconstructing», probabilmente per via delle tonalità simili che caratterizzano ambedue i componimenti: è facile individuare una struttura simile, con un assolo ben calibrato di Liberti, mentre Franciscone pesta nervosamente sul kit percussivo. «Overtime» e «Valentina» confermano il modus agendi del trio. «Overtime» richiama un approccio metheniano, con frequenti variazioni di tempo e di mood. L’architrave sonora del brano si mostra più articolata rispetto ai precedenti, assumendo quasi la forma di una spirale in continuo capovolgimento, fitta di spunti e ritmi vibranti, in cui Gubbiotti e Liberti esprimono tutta la loro vitalità. Il triunvirato enfatizza la libertà espressiva di ogni strumento, mentre la chitarra di Gubbiotti si muove tra fraseggi lirici e incisivi, sino a giungere alla conclusiva «Rumors», costantemente sulla scorta dell essenzialità, dell’interazione, dell’interplay e di una ricerca timbrica raffinata. «#Underdogs» è un scandaglio sonoro che agisce fra dinamismo strumentale e introspezione psicologica, mostrando la versatilità artistica del musicista, ma soprattutto l’abissale sensibilità dell’uomo Gubbiotti.
