«Inner Pictures» di Manuel Magrini: il pianista umbro ritrova la dimensione del piano solo, ma va oltre (Encore Music, 2025)

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«Inner Pictures» si sostanzia come un’opera di rara bellezza, intessuta attraverso fili di seta pregiata, un’introspezione capace di fondere vari stili ed influenze in un unico racconto sonoro. Le collaborazioni con artisti di spicco elevano ulteriormente la qualità del progetto…

// di Francesco Cataldo Verrina //

L’album «Inner Pictures» di Manuel Magrini, pubblicato da Encore Music, segna un ritorno significativo per il talentuoso pianista umbro, che decide di esplorare la forma intima del piano solo integrandola con l’apporto di collaborazioni di notevole caratura. Infatti, il nuovo progetto non è un soliloquio sterile e fine a se stesso ma, sia pure a macchia di leopardo, il pianista crea un dialogo vibrante e intenso, divenendo un perfetto anfitrione ed accogliendo nel suo territorio armonico tre prestigiosi ospiti. La carriera di Manuel Magrini è già costellata di successi. Dopo aver conseguito il diploma al Conservatorio Francesco Morlacchi di Perugia, il suo interesse per il jazz lo ha portato a collaborare con diverse formazioni ed ensemble, conquistando prestigiosi premi e riconoscimenti. Dalla vittoria al Fara Music Festival a numerose esibizioni su importanti palchi nazionali, la sua ascendenza nel panorama jazzistico è senza dubbio meritevole di nota. In «Inner Pictures» Magrini espande le dimensionalità sonora attraverso interazioni e scambi che si rivelano tanto audaci quanto affascinanti, plasmando un equilibrio autorale e una dinamica esecutiva che elevano e danno spessore all’intera architettura melodico-armonica dell’album.

L’opener, «Tempest On The Lake», introduce immediatamente il fruitore nel mondo impressionistico di Magrini, che a suo dire: «è l’immagine della tempesta nel lago: una condizione che può capitare nel proprio percorso di vita e che molto spesso viviamo dal punto di vista dell’occhio del ciclone, per cui tutto sembra più grande di noi e non dà spazio a vie d’uscita dallo stato di pericolo. In realtà, questa tempesta è circoscritta al lago, perciò, visto dal di fuori, il problema è molto più limitato e meno pericoloso di quello che sembrava dal di dentro». La seconda traccia, «Promenade», vanta la presenza del clarinettista Gabriele Mirabassi, il quale si fa portatore di un lirismo palpabile, attraverso un’intesa musicale che sembra danzare in una dimensione altra, alla medesima stregua di una narrazione che esplora i contrafforti emotivi sorretti da una nostalgia vagamente retrò. È un momento in cui il piano e il clarinetto si saldano in un abbraccio sonoro, creando un’atmosfera che trascina l’ascoltatore in un viaggio senza tempo. L’interazione fra Magrini e Mirabassi svela un’intensa leggerezza e, al contempo, una profonda carica emozionale. La coabitazione strumentale spinge il plot sonoro verso territori, dignitosamente connessi alla tradizione, ma con uno sguardo proiettato verso il futuro. Questo scambio tra pianoforte e clarinetto è emblematico del dialogo che permea l’intero album, evidenziando la maestria dei musicisti e l’abilità di Magrini nel saper tracciare spazi sonori condivisi. «La Rosa dei Trenta», come racconta sempre lo stesso autore «è chiaramente un gioco di parole con la rosa dei venti (lo strumento grafico che indica la direzione dei venti) usata sin dall’antichità per la navigazione in mare. l’immagine rappresenta lo stato dl migliore consapevolezza che si ha, superati i 30 anni, riguardo alla direzione che si vuole dare alla propria vita; il fatto dl avere le idee più chiare riguardo a quali venti cavalcare per andare verso la nostra destinazione e quali evitare».

In «Gentle Warrior», il bandoneista Federico Gili arricchisce il paesaggio sonoro dell’album con il suono evocativo dello strumento a mantice. Le sue vibranti note intrecciano le complesse armonie del pianoforte, mentre le screziature melodiche e le coloriture richiamano una tradizione popolare che si sposa magnificamente con l’estetica jazzistica di Magrini. Le onde sinusoidali della fisarmonica sembrano incapsulare battiti di vita e passione, arricchendo ogni nota e ammantando l’ascoltatore con un afflato caldo e confortevole. Questo componimento, come altri dell’album, dimostra la duttilità e la profondità emotiva del lavoro di Manuel, sottolineando la sua predisposizione genetica a mescolare diversi stilemi musicali. «Il Castello del Graal – Piano Etude», come decriptato dallo stesso Magrini nelle note di copertina: «è ispirato alla grande tradizione degli studi da concerto che tutti noi pianisti affrontiamo durante il nostro percorso da studenti e concertisti. il titolo si riferisce ad un aneddoto raccontato da Carl Gustav Jung nel libro «Gli archetipi dell’inconscio collettivo» dove racconta dl un teologo che vide in sogno una sorta dl castello del Graal in vetta ad un monte. Avviandosi per la strada che sembrava portare all’inizio della salita, egli scopri che a separarlo dal monte c’era un burrone tetro e profondo nel quale gorgogliava un’acqua d’Averno. Un sentiero ripido conduceva sul fondo e si arrampicava faticosamente su per l’altro fianco. Questa immagine sta ad indicare che per raggiungere le vette luminose di una maggiore libertà bisogna prima sprofondare nel baratro oscuro del proprio inconscio. Il carattere di questo studio descrive la faticosa ma imperturbabile scalata del sognatore». Una delle tracce più coinvolgenti è certamente «Can She Excuse My Wrongs», in cui la voce di Cristina Zavallotti guida l’ascoltatore in un viaggio quasi teatrale, dove il pianoforte diventa il palcoscenico, sul quale si svolge una rappresentazione di emozioni intense e vulnerabili. La combinazione tra la voce della Zavallotti e il piano di Magrini è un momento di pura alchimia musicale. La vocalità operistica di Cristina funge da catalizzatore, trasformando la composizione di Manuel in un’esperienza che rammenta l’atmosfera di un musical o di un’opera teatrale di Brecht. Quest’approccio innovativo dimostra la capacità del pianista umbro di abbracciare e rimodulare arti diverse, corroborando costantemente il suo linguaggio compositivo ed esecutivo.

Nel messaggio di apertura, Magrini esprime gratitudine verso la sua famiglia, gli amici e i collaboratori. La riconoscenza verso i compagni di viaggio è palpabile, a testimonianza di un senso di comunità che permea il progetto. La dedizione del pianista all’arte delle Muse si riflette nella gioia per il sostegno ricevuto, un aspetto cruciale in un percorso artistico così intensamente personale. In conclusione, «Inner Pictures» si sostanzia come un’opera di rara bellezza, intessuta attraverso fili di seta pregiata, un’introspezione capace di fondere vari stili ed influenze in un unico racconto sonoro. Le collaborazioni con artisti di spicco elevano ulteriormente la qualità del progetto, rendendo questa registrazione un tassello significativo nella carriera di Magrini ed un meritato premio per i cacciatori di emozioni. Con il nuovo concept, il pianista non solo conferma il proprio talento, ma si posiziona come una voce originale e autentica all’interno della scena jazzistica contemporanea. Non resta che lasciarsi trasportare da queste melodie e condividerne il percorso con l’autore.

Emanuel Magrini

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