«The Legends Of Otranto» di Ferdinando Romano, il racconto musicale di una magica e antica terra nel profondo sud d’Italia (GleAM Records, 2025)

«The Legends Of Otranto» non è soltanto un’opera scritta e suonata secondo i dettami del jazz contemporaneo, nell’accezione più larga del termine, ma una sinfonia di culture, racconti e ambientazioni sfumate nel tempo e, di certo, oltre il tempo degli uomini.
// di Francesco Cataldo Verrina //
Nei meandri incantati delle leggende salentine, il bassista e compositore fiorentino Ferdinando Romano conduce il fruitore – come l’avventore in una sala di proiezione cinematografica – in un film musicale profondo e affascinante attraverso l’avvincente plot narrativo del suo album «The Legends Of Otranto», pubblicato dalla GleAM Records di Angelo Mastronardi. Registrato a Roma, il 7 e 8 Novembre 2024 presso Extrabeat Recording Studio, questo progetto non è solo una dimostrazione della vivida fluorescenza creativa del musicista, ma un vero e proprio racconto sonoro che prende forma nelle sei tracce ispirate a documenti testimoniali intrisi di magia, figure mitologiche e storie tramandate oralmente. Commissionato dall’AccordionFest Estonia, il concept di Romano è un omaggio all’essenza mitica e storica di Otranto, linea di confine tra Occidente e Oriente, una città intrisa di antico folklore, dove sacro e profani su mescolano in una dimensione quasi mistica. Composto da sei movimenti dislocati con il metodo una suite, il disco sviluppa un dialogo tra paesaggi sonori contemporanei e narrazioni tradizionali.
L’ensemble, composto da fisarmonica (Veli Kujala), pianoforte (Kirke Karja), contrabbasso (Ferdinando Romano) e batteria (Ermanno Baron), mostra un sostanziale equilibrio tra virtuosismo individuale ed unità collettiva. Ogni strumento contribuisce alla narrazione generale, impiegando un linguaggio armonico lussureggiante completato da un efficace contrappunto. La fisarmonica di Kujala, come elemento centrale, fornisce sia i tratti melodici che le pingui trame armoniche, mentre il pianoforte di Karja aggiunge plasticità al costrutto, dispensando un’ampia gamma accordale. Il contrabbasso di Romano solidifica la composizione con un walking costante, mentre l’intensità percussiva di Baron aumenta l’energia cinetica dell’opera. Dal punto di vista compositivo, siamo di fronte ad una notevole eterogeneità che sfida la facile categorizzazione. La suite in ogni sua parte – come dimostrano «La Cava di bauxite» e «Re Artu’», quasi agli antipodi – attinge a una gamma eclettica di influenze, fondendo jazz, classica contemporanea, elementi di musica folk e fibre integrali di rock progressivo. L’amalgama si traduce in un frattalico habitat a percezione polisensoriale, in cui poliritmi e stratificazioni armoniche s’impegnano in una conversazione a tre vie. L’alternanza di sezioni contrastanti – dai tratteggi espansi e dai passaggi minimalisti ed introiettivi – evidenzia una sapiente comprensione della forma e dell’espressività musicale tout-court.
La risonanza del titolo riverbera l’antica città di Otranto, e mentre il cuore batte forte nelle note di «La Torre del Serpe», un immersione totalizzante in un’atmosfera mistica. La fusione tra la fisarmonica di Veli Kujala e la delicatezza del pianoforte di Kirke Karja creano una tela sonora ricca e stratificata, dove il contrabbasso di Ferdinando Romano e la batteria di Ermanno Baron disegnano ritmi incalzanti e poliritmie avvolgenti. Ogni brano assume le sembianze del capitolo di una fiaba, dove personaggi come «Idrusa» (nell’omonimo tema) ed il simbolico «Albero della Vita» si animano sulla scorta di melodie evocative e appassionate. Passando da traccia a traccia, la scrittura si rivela sincretica e dettagliata al contempo. I suoni s’intersecano in un equilibrata centrifuga che emulsiona jazz, musica contemporanea e influenze cameristiche, scintillando di echi nordici che si fondono con l’essenza mediterranea delle leggende. Il già citato «L’Albero della Vita», per esempio, è una gemma di introspezione, un momento di contemplazione, progressivamente rapsosica, che culmina e deraglia su binari sonori ed improvvisazioni audaci guidate dal drum’n bass. L’album si avvale anche di una comunicazione visiva ed audiotattile potente e cinematica, tanto da spingere l’ascoltatore – ed il critico in primis – a viaggiare non solo attraverso il parenchima sonoro, ma ad indagare le storie che si celano nei luoghi d’ispirazione. Con «Le Due Sorelle», ci ritroviamo catapultati nella leggenda, dove i confini spazio-temporali appaiono pressoché annullati, mentre il dialogo tra strumenti racconta le vite intrecciate delle figure mitologiche che animano la storia.
«The Legends Of Otranto» non è soltanto un’opera scritta e suonata secondo i dettami del jazz contemporaneo, nell’accezione più larga del termine, ma una sinfonia di culture, racconti e ambientazioni sfumate nel tempo e, di certo, oltre il tempo degli uomini. Oltremodo, l’album rappresenta tangibilmente il risultato di una commistione di talenti abili nel valorizzare le radici salentine attraverso un linguaggio ecumenico. Una ascolto attento porta a considerare, senza eccessi espositivi, la suite come la secrezione di una mente fervida in continua espansione, attenta a dipingere con le note il patrimonio popolare di un territorio ribollente e custode di tesori millenari, dove gli episodi fiabeschi e storici si fondono perfettamente in una dimensione mitologica, tramando un fitto arazzo teso a scrutare l’intersezione tra il passato di quei luoghi e la loro vibrante identità culturale. La sinestetica integrazione multigergale di stilemi e metalinguaggi, unita al meticoloso rispetto per il contesto leggendario, fa di «The Legends Of Otranto» un contributo significativo al repertorio per fisarmonica ed ensemble da camera.
