Vinile sul Divano, sinergiche disconnessioni

// di Gianluca Giorgi //
Jeff Parker ETA IVtet, The Way Out Of Easy (2lp 2024)
Secondo lavoro registrato all’ETA per il quartetto di Jeff Parker. L’ETA è l’acronimo di Enfield Tennis Academy, un cocktail-bar situato nell’Highland Park di Los Angeles, dove ogni lunedì sera, dal 2016 per 7 anni, vi ha suonato jazz contemporaneo il chitarrista Jeff Parker con il suo gruppo, fino alla chiusura definitiva del locale stesso avvenuta nel 2023. La musica suonata da Jeff Parker con il suo quartetto è stata comunque catturata e messa su nastro almeno un paio di volte. La prima nel 2022 con la pubblicazione di “Monday at Enfield Tennis Academy” che consisteva in diverse registrazioni live selezionate ed assemblate per il disco. La seconda nel 2025 immortalata in questo nuovo lavoro interamente registrato in una seduta unica e mixato all’interno dell’ETA nel gennaio del 2023. In entrambe le sedute Jeff Parker è accompagnato da un quartetto, dove accanto al chitarrista trovano posto la contrabbassista Anna Butterss (Jason Isbell, SML), il sassofonista Josh Johnson (Meshell Ndegeocello, SML) e il batterista Jay Bellerose (Elton John, Punch Brothers). L’ensemble ETA di Parker, nel tempo, si è evoluto da una band che suonava per lo più standard in un gruppo noto per i suoi viaggi, trascendentali, lunghi (che si estendono a volte per 45 minuti o più), in territori innovativi, in alcuni casi inesplorati, di musica improvvisata, poliritmica, minimalista, mantrica con spesso accenni di groove. Insieme alla crescita musicale, anche la folla per Parker e la sua band all’ETA è cresciuta nel corso degli anni. L’album in questione rappresenta un’estrema dichiarazione per una musica totalmente o quasi improvvisata. Si tratta di quattro brani monumentali della durata di circa venti minuti l’uno per un totale di circa ottanta minuti. Non è album da ascoltare in sottofondo, Jeff Parker ci propone una musica che va ascoltata con attenzione e con una particolare apertura mentale, il titolo The Way Out of Easy, in questo caso è quantomai esplicativo, uscire dai sentieri conosciuti. I brani sono lunghe suites in forma aperta, quasi privi di strutture fisse o preordinate, tranne alcuni temi chiaramente scritti e si articolano attraverso variazioni tematiche che continuamente sfumano e si dilatano. Gli intrecci strumentali creano una tensione continua tra il collettivo e i solisti, dove tutto emerge per poi dissolversi in un flusso ipnotico di materia sonora, senza un punto d’arrivo né un vero inizio, ma scivolando in un continuo, illimitato divenire. Un approccio che sembra azzerare tutto, come spesso succede nella musica jazz, salvo poi ritornare alla tradizione. Le quattro tracce durano da quasi 17 a 24 minuti e creano un’atmosfera ipnotica, contenuta e simile ad un mantra che risuonerà a lungo con l’ascoltatore. L’album sembra anche realizzare pienamente la visione del leader e di come dovrebbe suonare la musica per lui è, infatti,fortemente influenzato dall’ascesa del software musicale e dall’uso di looping, beat e droning. Nelle note di copertina dell’album si può leggere che Parker suona la chitarra elettrica con elettronica e campionatore. Parker ha ovviamente spesso chiarito il suo amore per il classico hip hop old-school e per l’uso di spazi statici come loop all’interno dei quali improvvisare. È doveroso sottolineare l’ottimo lavoro svolto da Bryce Gonzales, l’ingegnere che ha registrato splendidamente queste sessioni, per l’ottima resa sonora e per la fedeltà superba che è riuscito ad immortalare, ma anche per la “nudità” del suono, essenziale per l’effetto ipnotico della musica. Rispetto al lunedì all’Enfield Tennis Academy, il rumore della piccola folla è più basso e l’attrito delle dita sulle corde e del respiro attraverso il metallo è più alto. Ogni tocco del cerchio e del cigolio delle diteggiature è udibile, così da rendere vivo il set riprodotto nel salotto di casa. Jeff Parker è un musicista di 57 anni con un sostanzioso curriculum che ha svariato in molti ambiti musicali spesso vicino all’avantgarde. Parker, infatti, è un membro dell’AACM di Chicago, peculiarità che provvede di per sé ad inquadrarlo in un ruolo piuttosto definito. Ha fatto parte inoltre dei Tortoise, degli Isotope 217, dei Chicago Underground Trio & Quartet, dedicandosi oltremodo all’attività solistica così come a quella di turnista di lusso, con un ricco carnet di collaborazioni ed è un punto di riferimento dell’etichetta International Anthem. La sua discografia, quindi, ha da sempre messo in luce un talento particolare nel saper fondere tra loro jazz, post-rock e avanguardie contemporanee. In questo secondo capitolo del quartetto di Jeff Parker registrato all’ETA, la musica sembra leggermente più emotivamente aperta, e riesce a regalarci un ulteriore bellissimo disco di jazz esplorativo e atmosferico.
Art Ensemble of Chicago, The sixth decade from Paris to Paris (live at sons d’hiver) (2lp ltd ed 1000 copie 2023)
Chicago come primo punto focale, ma Parigi come città scritta nel destino dell’Art Ensemble. Chiare le parole di Bowie a tal proposito: “Tutto ciò che avevamo pensato e progettato cominciò ad accadere a Parigi.” Importante fu la complicità del contesto culturale francese, attento e stimolante, con il supporto di persone come Claude Delcloo, batterista e organizzatore che ebbe un ruolo fondamentale nell’invitare a Parigi i quattro fondatori dell’Art Ensemble e altri membri dell’Aacm, come Anthony Braxton, Leroy Jenkins, Wadada Leo Smith. Parigi come città scritta nel destino. Pubblicato nel gennaio del 2023 questo album contiene le registrazioni della superba performance dal vivo data dagli Art Ensemble Of Chicago nel febbraio del 2020 presso il festival parigino Sons d’Hiver e che celebra il sesto decennio di carriera della seminale formazione jazz afroamericana, la quale proprio a Parigi ebbe le sue prime incoraggianti affermazioni, nei tardi anni ’60 del XX secolo. Proprio nel giugno del 1969, dopo una serie di concerti che avevano impegnato il quartetto quasi ogni sera, Delcloo direttore artistico della Byg, li portò a registrare presso l’etichetta di Parigi. È significativa, ora, la pubblicazione di questo doppio vinile, era infatti iniziata la sesta decade, da quel primo, fortunato soggiorno parigino, come si recita nel titolo dell’album, “The Sixth Decade—From Paris to Paris”, pubblicato ancora una volta da un’etichetta francese, Rogueart, attenta oggi, come quelle di allora, alle eccellenze del jazz contemporaneo. Il collegamento diretto più recente è quello con l’altro fantastico documento inciso poco più di un anno prima dall’AEoC, in parte registrato in studio, in parte dal vivo: “We Are on the Edge”. Numerosi sono stati i musicisti a salire sul palco in occasione di questo concerto: Roscoe Mitchell (sax alto, sopranino), Famoudou Don Moye (batteria, percussioni), Moor Mother (spoken word, testi), Roco Córdova (voce baritona), Erina Newkirk (voce soprano), Nicole Mitchell (flauto, ottavino), Hugh Ragin (tromba, flicorno, campane thailandesi), Simon Sieger (trombone, tuba), Jean Cook (violino), Eddy Kwon (viola), Tomeka Reid (violoncello), Brett Carson (pianoforte), Silvia Bolognesi (contrabbasso), Junius Paul (contrabbasso), Jaribu Shahid (contrabbasso, basso elettrico), Dudu Kouaté (percussioni), Enoch Williamson (percussioni), Babu Atiba (percussioni), Doussou Touré (percussioni) e Steed Cowart (direzione). Il gruppo, in questo configurazine allargata come una piccola orchestra, propone brani inediti, brani di recente pubblicazione ed episodi classici del loro repertorio storico, esprimendosi con un linguaggio ricco e cosmopolita, in cui diversi caratteri stilistici africani si incontrano con differenti correnti del jazz, dal free al modale, dalla musica per big band allo spiritual jazz ed al jazz funk e con la poesia di Moor Mother. Una festa comunicativa in cui radici, transculturalismo, poesia e spiritualità convivono dinamicamente. Il disco non delude le attese, nell’arco di un’abbondante ora e mezza, si ripassano non solo cinquant’anni di AEOC ma di tutte le esperienze musicali coeve, precedenti e quelle che il loro laboratorio continua a prefigurare. Troviamo, infatti, abissali om, passaggi di canto operistico, silenzi di chiara marca mitchelliana, passaggi cameristici con un quartetto d’archi ispiratissimo, passaggi parlati, una struggente melodia cantata con tono fiero e dolente, un corale nero di grande intensità, musica contemporanea, il grande jazz dei maestri Miles, Trane e Louis, percussioni e danze africane per un viaggio nel futuro antico delll’Africa. Non si può infine tacere dello splendido ed emozionante finale, con la presentazione di tutti i musicisti sulla base di un classico dell’AEOC firmato da Mitchell, “Odwalla”: una passerella che è un inno alla musica, alla vita, alla Great Black Music come si canta tutti assieme. Gli Art Ensemble Of Chicago sono stati uno dei gruppi jazz d’avanguardia più importanti ed originali degli anni ’70 ed ’80: il gruppo si formò dal Roscoe Mitchell Sextet, attivo intorno al 1966, trasformandosi in Roscoe Mitchell Art Ensemble l’anno successivo; la formazione di questo ultimo gruppo ruotava attorno al sassofonista Roscoe Mitchell, al trombettista Lester Bowie ed al contrabbassista Malachi Favors. Nei due anni successivi l’Art Ensemble incise alcuni album, per poi trasferirsi in Europa con l’aggiunta del flautista Joseph Jarman. Un promoter europeo pubblicizzò il gruppo come Art Ensemble Of Chicago (sebbene il nome fosse Roscoe Mitchell Art Ensemble), che accettò e fece suo il nuovo nome. Nel 1970, a Parigi, il gruppo accolse nel proprio organico il percussionista Don Moye, dando inizio al suo periodo d’oro che si protrasse anche dopo il ritorno negli Stati Uniti nel 1972 fino agli anni ’80. Il gruppo continua la propria attività, che si protrae con cambi di formazione oltre il 2000. La musica degli Art Ensemble Of Chicago è un mirabile amalgama di musica africana, free jazz, avanguardia e di vari stili storici della musica afroamericana del ‘900. Oggi di quei cinque ne rimangono in vita due (Roscoe Mitchell e Famoudou Don Moye), ma lo spirito libero dell’intera formazione è tuttora integro, niente affatto segnato dal tempo, lucido e visionario come sempre, autonomo nelle scelte, nell’organizzazione e nella pratica musicale. Great Black Music!


Nora Stanley and Benny Bock, Distance Of The Moon (2023)
In “Distance of the Moon” il tastierista e compositore Benny Bock si unisce alla compositrice e sassofonista Nora Stanley, è la loro prima collaborazione, ma, allo stesso tempo, è qualcosa su cui il duo ha lavorato per più di 10 anni. Nel disco Nora Stanley mette in mostra la sua eccezionale tecnica e creatività, mentre Benny Bock gioca un ruolo importante con il suo modo versatile di suonare la tastiera. Ogni traccia presenta il sassofono della Stanley al centro che si unisce allo stile sensibile ed emotivo di Bock, così da creare melodie belle e delicate. L’album segue tecniche jazz tradizionali combinandole magnificamente ad elementi di jazz moderno, così da creare una prospettiva musicale unica, che riesce a portare l’ascoltatore in un viaggio musicale tutto nuovo.
Jazz in Fabbrica (1972 ristampa 2021)
Ristampa in edizione limitata del 2021 ad opera della Cinedelic, la prima in assoluto in vinile, con copertina non più apribile ma a busta semplice. Originariamente pubblicato nel 1972 sull’etichetta Eccetera solo in Italia come Gruppo Enrico Intra. Disco raro e ricercato registrato il 32 ottobre del 1972 nell’Azienda Ratti a Guanzate (Como) da Enrico Intra (pianoforte) con il suo gruppo, composto qui da Sergio Fanni (tromba, flicorno), Giancarlo Barigozzi (sax tenore, flauto), Carlo Milano (contrabbasso) e Carlo Sola (batteria). Lavoro composto da un’unica suite, “Nuova Civiltà”, il disco fu registrato in una fabbrica con l’obiettivo di realizzare un contatto umano fra pubblico e musicisti, che si differenziasse da quello classico che presenta la frattura del palcoscenico la platea. Questa composizione fu inizialmente proposta il 26 ottobre del 1970 al festival internazionale del jazz di Milano e, nelle intenzioni di Intra, essa cerca un rapporto diretto con l’uditorio che si concretizza e si esaurisce nel corso della singola performance, cambiando radicalmente con ogni interpretazione. Questa incarnazione del 1972 di “Nuova civiltà” ci offre un fluente jazz vicino al post bop, sospeso tra raffinati e mai banali slanci melodici e discrete fughe nell’astrattismo, senza però mai sfociare nel radicalismo free. Disco molto bello e per me una grande scoperta!
Enrico Intra:
Importante jazzista milanese nato nel 1935, Enrico Intra ha lavorato come pianista, compositore e direttore d’orchestra. Molto apprezzato anche a livello internazionale, è stato a lungo uno degli animatori del mondo jazz milanese. La sua vasta cultura musicale, nella quale trovano posto influenze della musica classica come del blues ed ovviamente del jazz, ma anche aperture al pop, si è tradotta in un’attività eclettica che ha fruttato lavori sperimentali (ad esempio il progetto Sound Movie), progetti jazz e collaborazioni con il mondo della musica popolare italiana (da Guccini ad Iva Zanicchi, fino alla direzione d’orchestra in alcune edizioni del festival di Sanremo).

