«Dimmi, dove nasce la fantasia?» Marilena Paradisi & Bob Nieske, Casa Del Jazz, 15 febbraio 2025 / Concerto / Disco/ Intervista

Marilena Paradisi & Bob Nieske
// di Roberto Biasco //
Cantante, compositrice, improvvisatrice, instancabile esploratrice nell’uso della voce umana, Marilena Paradisi è riconosciuta a livello internazionale per la ricchezza espressiva ed il suo talento per l’interpretazione, il suo lavoro spazia dal jazz all’improvvisazione totale e ai classici contemporanei. Nel corso della sua carriera ha avuto modo di collaborare con grandi musicisti Jazz italiani ed internazionali come Eliott Zigmund, Harvey Diamond; Kevin Harris; Louiz Banks, Piero Leveratto, Renato Sellani, Dino Piana, e, in ambito contemporaneo, con il chitarrista Arturo Tallini, con il percussionista Ivan Macera e con la grande soprano giapponese Michiko Hirayama. Ricordiamo tra i tanti, il suo incontro con il leggendario pianista Kirk Lightsey per la registrazione in duo dell’album “Some Place Called Where” del 2017.
La cantante e musicista romana è partita dall’improvvisazione tipica del Jazz canonico, per poi andare ad esplorare i territori della musica colta contemporanea, in un originalissimo percorso di andata e ritorno nel corso del quale non è mai venuto meno l’approfondimento intorno all’espressività della voce umana e la ricerca sul “suono” e sulla sua essenza, ivi compreso il silenzio, che ne è il naturale suggestivo complemento. La “ricerca sul suono” è dunque il comun denominatore che ha fornito esattamente il punto di contatto tra due artisti come Marilena e Bob Nieske, contrabbassista e compositore ben noto per aver militato per oltre 12 anni nel Jimmy Giuffrè Quartet (dal 1979 al 1992) e con il quale ha inciso tre album per la prestigiosa etichetta Soul Note. Bob è anche arrangiatore e band leader in vari progetti, tra i quali il Lydian String Quartet, documentato nel suo acclamato album “Simplicity”.
Dal loro incontro è nato l’album “Here and Now”, pubblicato nei mesi scorsi dall’etichetta Losen Recors. Il concerto di sabato 15 febbraio alla Casa del Jazz è però andato molto oltre la semplice presentazione del materiale registrato in studio, sia con variazioni sugli arrangiamenti che con nuove improvvisazioni, proponendo inoltre alcune composizioni diel maestro Jimmy Giuffrè non incluse nel disco, come “Phoenix” eseguita proprio in apertura del concerto. Il disco infatti, pur essendo basato su rivisitazioni di standard firmati dai grandi del Jazz, va a pescare anche brani di autori non troppo battuti come “Little B’s Poem” a firma di Bobby Hutcherson e “Del Sasser” del grande contrabbassista Sam Jones.
Una breve pausa iniziale permette a Marilena di fare una micro-intervista sul palco a Bob Nieske, che racconta come l’insegnamento più profondo avuto dal grande Jimmy Giuffre sia stato quello di perseguire la bellezza in ogni momento della vita, un obbligo morale o, meglio, un imperativo categorico a non cedere mai, nemmeno minimamente, alla mediocrità, non solo nell’arte, ma anche nella propria vita personale. Si prosegue con l’interpretazione di grandi autori con “Crystal Silence” di Chick Corea e “Black Nile” di Wayne Shorter, ma il valore aggiunto della performance va ricercato nella capacità di Marilena di rivisitare i brani proponendo una propria lettura originale, ad esempio traducendo in italiano “Ritratto in Bianco e Nero” di Antonio Carlos Jobim, o aggiungendo un testo in inglese alla splendida “Lawns” di Carla Bley. Ma il momento più inaspettato è l’adattamento dei famosi versi di Shakespeare tratti da “Il Mercante di Venezia” – Dimmi, dimmi, dove nasce la Fantasia, nel cuore o nella testa? – perfettamente trasposti nella suadente melodia di “Duke Ellington’s Sound of Love” di Charles Mingus.
La voce di Marilena riempie lo spazio circostante, si estende dalle profondità dei bassi per salire fino alle vette degli acuti, mantenendo sempre un approccio “naturale” alla qualità del suono, con una apparente semplicità che fa credere “facili” anche i passaggi più impervi. Non c’è traccia di virtuosismo fine a sé stesso, ma le capacità professionali sono abilmente dissimulate, ci si dimentica della tecnica e resta soltanto l’emozione. Un uso magistrale del microfono permette alla voce di variare di intensità, le note si avvicinano, si allontanano e sembrano espandersi nella sala per girare intono all’ascoltatore. La stessa sensibilità la troviamo nel contrabbasso di Bob Nieske, che, totalmente focalizzato nel rapporto intimo con la voce di Marilena, non sente alcuna necessità di mettersi in mostra, facendo al contempo intuire una perizia ed uno spessore artistico di caratura superiore. Bob si muove con leggerezza, condita con un pizzico di autoironia con la quale neutralizza qualsiasi approccio troppo serioso alla materia. “Moonligh” di Giuffrè, “Chelsea Bridge” di Billy Strayhorn e “Never Will I Marry” di Loesser ci accompagnano verso la fine del concerto. Inevitabile il bis, richiesto a gran voce: “Mosquito Dance”, un trascinante pezzo modale dal sapore africaneggiante ancora a firma di Giuffrè. Un concerto di altissimo livello, eseguito con classe, empatia e con una rara capacità di emozionare che ha contagiato tutto il pubblico presente, per una volta senza distinzione alcuna tra semplici appassionati e presunti “intenditori”.

APPENDICE: BREVE INTERVISTA A BOB NIESKE
Abbiamo chiesto a Bob Nieske, venuto appositamente a Roma da Boston per questa particolare occasione:
D: Come hai vissuto, dal punto di vista musicale, il rapporto tra voce e contrabbasso che crea occasioni del tutto particolari di dialogo e di “interplay” tra i due protagonisti?
Bob Nieske: All’inizio della mia carriera, nel 1979, ho avuto la grande opportunità di unirmi al gruppo di Jimmy Giuffrè. A quel tempo il gruppo era formato da Jimmy (clarinetto, flauto, sax tenore, flauto basso) Randy Kaye alla batteria e io al basso. Non c’erano strumenti armonici come la chitarra o il pianoforte. Ciò rendeva la musica lineare, come il contrappunto, e non più interessata agli accordi o alle armonie verticali.
Jimmy mi ha sempre incoraggiato a trovare un modo di suonare che fosse diverso dal solito stile di suonare il basso in “walking” e a cercare di trovare un modo all’interno della musica che fosse uguale a quello che faceva lui. La prima volta che ho suonato con Marilena mi è sembrato molto familiare, perché lei ha un approccio e una libertà simili a quelli di Jimmy Giuffrè.
Le linee forti avanzano e portano con sé l’orecchio dell’ascoltatore. Pattern e piccole sequenze in movimento aiutano a costruire linee forti.
Quando due musicisti creano linee forti utilizzando pattern e sequenze e muovendosi sugli intervalli, possono essere come due uccelli che volano insieme, muovendosi dentro e fuori e l’uno intorno all’altro. Ognuno prende il comando quando gli conviene e porta con sé l’ascoltatore.
Non tutti i brani funzionano molto bene per questo approccio. Quelli che funzionano bene hanno un’armonia abbastanza semplice. Non necessariamente meno accordi ma accordi la cui essenza può essere espressa con una o due note
Il basso ha solo quattro corde e non si possono suonare tutte e quattro le note di un accordo contemporaneamente come una chitarra o un pianoforte. Si cerca di suonare una frase o uno pattern che esprima l’accordo o a suonare la fondamentale e la terza allo stesso tempo.
Quando si accompagna una voce, essendo due strumenti che devono intonarsi in ogni momento e l’uno sull’altro, se l’accordo è troppo complicato la voce non potrà adattare bene la sua melodia e perderemo il movimento in avanti e i punti di riposo della canzone.
Penso che Marilena abbia fatto delle ottime scelte per questo progetto e mi diverto molto a cercare di raccogliere la sfida di realizzare il potenziale di ogni brano.

FOTO DI FABRIZIO SODANI