Vinile sul Divano, il richiamo spirituale della tribù

// di Gianluca Giorgi //
Ganavya, Daughter Of A Temple (2024)
“Daughter of a Temple” di Ganavya, fra Coltrane e l’India. La cantante e polistrumentista Ganavya, nata a New York e crescita nel Tamil Nadu, è stata descritta dal Wall Street Journal come “una delle cantanti più avvincenti della musica moderna”. I confini in cui opera Ganavya sono quelli dello spiritual jazz riletto in chiave new age e, a questo proposto, il suo recentissimo “Like the Sky I’Ve Been Too Quiet”, uscito a marzo dello stesso anno di questo disco, ne è un fulgido esempio: influenze asiatiche, improvvisazioni, una vena esplicitamente poetica sono alcune delle coordinate su cui ama muoversi. “Daughter of a Temple”, uscito il 15 novembre 2024 è un lavoro ambizioso uscito dopo l’acclamato “Like the sky I’ve been too quiet” registrato con Shabaka Hutchings, in cui sono presenti come ospiti Floating Points, Tom Herbert, Carlos Niño e Leafcutter John. Ganavya ha invitato oltre 30 artisti di varie discipline ad un incontro rituale alla Moore’s Opera House Houston, in Texas. Un raduno-devozionale per studiare ciò che lei definisce le musico-filosofie di Alice Coltrane Turiyasangitananda, in poco più di una settimana hanno inciso questo “Daughter of a Temple”. L’album, che porta anche la tradizione indù dell’harikatha nel XXI secolo, attinge a un vasto cast di collaboratori, tra cui Esperanza Spalding, Vijay Iyer, Shabaka Hutchings, Immanuel Wilkins, Peter Sellars, Rajna Swaminathan, Charlotte Braithwaite, Chris Sholar, Darian Donovan Thomas e Bindhumalini Narayanswamy. I risultati, una miscela innovativa e profondamente commovente di jazz spirituale e musica devozionale dell’Asia meridionale. Inizialmente registrato da Ryan Renteria e poi ulteriormente modificato e mixato da Nils Frahm nello studio di Leiter a Berlino nel 2024. Il disco inizia con “A Love Chant” in cui Ganavya è accompagnata da Esperanza Spalding, tratto da un concerto improvvisato eseguito l’ultimo giorno del raduno-rituale dell’ensemble, il pianoforte di Iyer, accompagnato dal sassofono di Wilkins, ci guida poi attraverso i dieci minuti di “Om Supreme”, una sorta di viaggio iniziatico che prosegue senza intoppi, come dimostra il mantra Prema Muditha impreziosito dal solito Shabaka Hutchings, mentre “Elders Wayne and Carolina” prende spunto da una preghiera registrata a casa loro e ci ricorda la loro eternità. “Om Navah Sivaya”, la prima canzone che Ganavya ha eseguito pubblicamente, si apre con Charles Overton all’arpa e presenta suo nipote Krsna alla chitarra, oltre a suo padre e sua madre, tra gli altri, alla voce ospite. “Journey in Satchidananda/Ghana Nila”, è una sintesi di una interpretazione di 45 minuti eseguita da oltre trenta musicisti, con ballerini udibili in sottofondo, espande la linea di basso da una delle preghiere più riconoscibili di Turiyasangitananda. La parte finale del disco è una personale rilettura di A Love Supreme divisa in quattro atti, né una cover, né un’interpretazione, quanto una composizione che sembra poter evocare ciò che oggi potrebbe essere A Love Supreme. Non è un caso che l’omonimo coro presente in Acknowledgement lo ritroviamo sia nella coda della seconda parte con Peter Sellars e poi, soprattutto, in tutto il terzo atto che reca il sottotitolo Alice Coltrane. Ganavya è stata l’autrice e cantante del primo testo tamil a vincere un Latin Grammy, è stata cantante del Ritual Quartet di Vijay Iyer e solista di “Tocororo” prodotto da Quincy Jones, che ha raggiunto il numero 1 nelle classifiche jazz. I risultati, una miscela innovativa e profondamente commovente di jazz spirituale e musica devozionale dell’Asia meridionale, per un ottimo disco da ascoltare con attenzione.
Amaro Freitas, Y’Y (2024)
L’ultimo lavoro di Amaro Freitas, Y’Y (pronunciato “eey-eh, eey-eh”, una parola del dialetto Sateré-Mawé, un antico codice indigeno che significa acqua o fiume), nasce da un pellegrinaggio dell’artista in Amazzonia e la sensazione del viaggio permea tutto l’album. L’Amazzonia è il punto di partenza, ma l’album in modo graduale passa da una straordinaria prima parte dall’astrattismo tribale a un jazz contaminato ma più classico, da una performance in solitaria di Freitas a una collettiva in cui partecipano ospiti di rilievo come il polistrumentista Shabaka Hutchings, il chitarrista Jeff Parker, il batterista Hamid Drake e l’arpista Brandee Younger. L’artista brasiliano immerge se stesso e il suo pianoforte “preparato” nel mezzo della foresta tropicale, lasciando che la natura circostante e la cultura tribale permeino nel profondo la sua musica. La musica prodotta crea una conversazione artistica intrecciando tradizioni jazz di tutto il mondo, rimanendo, comunque, radicata nei suoni e nei rituali unici delle culture afro-brasiliane e indigene. Musica che potrebbe sicuramente scuotere le opinioni preconcette su ciò che può essere il jazz. Il disco è molto particolare con molti brani uniti fra loro senza pause, i brani che riescono ad incarnare meglio lo spirito del disco sono “Dança Dos Martelos”, “Uiara” e la perfetta sintesi, vertice del lavoro, “Sonho Ancestral”. Un lavoro che, tramite un’esperienza musicale particolare, conduce in un percorso trascendentale che arricchisce la nostra anima.


Lloyd Miller, Orientations (2lp 2022)
300 copie in edizione limitata, l’album “Orientations” di Lloyd Miller è stato ricavato grazie all’accesso illimitato agli archivi del dottor Miller, l’etichetta locale dello Utah FOUNTAINavm e offre uno sguardo unico del suo viaggio musicale, lo trova a suonare tutti gli strumenti (pianoforte, basso, batteria, santur e oud) tramite multi tracking. Curato e trasferito da Adam Michael Terry, questa produzione su doppio album presenta una collezione accuratamente selezionata da melodie incantevoli a composizioni intricate, che mostrano il talento diversificato di Miller e la sua infinita voglia di esplorazioni musicali. Con meticolosa attenzione ai dettagli, Terry ha setacciato registrazioni inedite dai primi anni ’60 ai primi anni ’00, catturando l’ampiezza e la scala di questo artista unico, offrendo un’esperienza accattivante che abbraccia diversi generi e sottoculture. Lo scontro culturale tra est e ovest è alla base di ogni pezzo ed è sorprendente la destrezza di Miller su almeno 15 diversi strumenti non occidentali che inserisce in standard jazz europei. Miller è una figura piuttosto unica nel mondo del jazz, del folk tradizionale mediorientale e come pochi nella storia, sembra essere così fortemente inserito nelle scene musicali locali. Bene che sia arrivato questo doppio disco, considerato che le sue opere originali (quasi tutte autoprodotte) sono estremamente difficili da trovare e sono praticamente fuori portata per la maggior parte.
Khan Jamal, Infinity (1984 ristampa ltd ed 2021)
Ristampa del fantastico capolavoro jazz “Infinity” del maestro del vibrafono Khan Jamal, registrato con una formazione eccezionale: la leggenda Byard Lancaster al sassofono alto e flauto, Omar Hill alle percussioni e congas, Bernard Sammul al pianoforte, Reggie Curry al basso, Dwight James alla batteria e con l’aggiunta dell’altra leggenda Sunny Murray alla batteria e Clifton Burton all’armonica sul brano che da il titolo all’album, tutti musicisti che hanno davvero sintetizzato quel perfetto mix di jazz spirituale e soul, libertà e avant, con una forte attenzione al lavoro di gruppo. Jamal suona un po’ di marimba oltre al vibrafono, tutti i titoli, belli e lunghi, sono originali di Jamal, ad eccezione di “The Angry Young Man” scritta dal pianista Bernard Sammul. Il disco ha un suono rilassato ad eccezione del frenetico “The Angry Young Man”. La traccia più nota e più bella è “The Known Unknown”, 9 minuti di ottimo jazz spirituale. L’intero album è una gemma completamente sconosciuta di difficile reperibilità e a costi molto elevati, auto distribuito nel 1984 e da tempo fuori stampa. Un grazie alla Jazz Room Records che rende nuovamente disponibile questo ambito Santo Graal di “Spiritual Soul Jazz”.

