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// di Gianluca Giorgi //

Joy Guidry, Amen (2024)
Amen è il secondo lavoro della fagottista / compositrice / produttrice Joy Guidry e rappresenta un importante passo avanti rispetto al precedente “Radical Acceptance” del 2022. Amen è un disco più compiuto e riesce a realizzare ed incarnare pienamente un suono ed un concetto, il disco, infatti, si sposta da composizioni spirituali jazz, gospel, a composizioni ambient, spesso con intermezzi a collegare i vari brani così da creare una potente dichiarazione di amore e comprensione. Tutto questo anche grazie al supporto di artisti/amici quali Niecy Blues, Kalia Vandever, Jillian Grace e Jessie Cox. Il disco suona come una preghiera, un’invocazione ma anche liberazione da pregiudizi in cui la stessa Guidry si era ingabbiata e, allo stesso tempo, punta ad essere da sprono per la comunità in cui oggi, l’artista, si riconosce pienamente. È anche una dichiarazione di missione della Guidry, alludendo all’amore per se stessi, accettando la sua identità trans, il suo corpo nero e grasso. A rafforzare la portata del messaggio è anche la struttura sonora che risulta essere solida e ben a fuoco rispetto agli esordi, nel disco la Guidry non trascura i contrasti anche se evoca molte note liriche dal suo Fagotto Heckel, realizzato in Germania intorno al 1924. Da segnalare le rapide accelerazioni gospel di “Angels”, la più meditativa quasi ambient “I Will Always Miss You, It’s Okay to Let Me Go”, passando per un brano più jazz con al centro il suono etereo del fagotto “Psalm 138:7” e il soul più viscerale di “Members Don’t Get Weary”. Nata e cresciuta ad Houston in Texas, la Guidry ha trovato la musica per la prima volta attraverso la chiesa, avvicinandosi al r&b ed al gospel. Nel 2021 si è aggiudicata il Berlin Prize For Young Artists che le ha permesso di pubblicare “Radical Acceptance” (2022), debut incentrato proprio sulla ricerca identitaria e la radicale accettazione di sé. Un lavoro complesso, articolato su uno spurio concept poi tradotto in una formula sonora dove il free-jazz incontra drone-music e l’ambient più profonda. Questo Amen è un disco breve ma intenso, in cui la Guidry viaggia attraverso diversi generi, dal gospel attraverso la classica al jazz, ma li culla all’interno di una precisa visione, guidata dal peculiare pathos del fagotto. Un bel disco che ascoltato attentamente prende l’anima.

Grachan Moncur III, Evolution (Blue Note 1964, ristampa 2015)
Quando Moncur ebbe il via libera per realizzare il suo primo album come band-leader aveva già fornito ottime composizioni per “One Step Beyond” di Jackie McLean e sviluppato uno stretto sodalizio con Lee Morgan, che ne ammirava la scrittura. Registrato al Rudy Van Gelder Studio il 21 novembre del 1963, con Jackie McLean al sax contralto, Lee Morgan alla tromba, Bobby Hutcherson al vibrafono, Bob Cranshaw al basso e Tony Williams alla batteria, “Evolution” del trombonista Grachan Moncur III costituisce una meraviglia del catalogo Blue Note, ma lontano nella struttura e nello stile dalle pubblicazioni più classiche del periodo legate al tipico hard bop mainstream o alle radici del bebop. Siamo ancora nel periodo Bop/Hard-Bop Blue Note e si sente, ma il disco pur nella sua “classicità” comincia a far sentire un qualcosa di obliquo, basta ascoltare ad esempio il brano che da il titolo all’album, al modo in cui è realizzato, all’orchestrazione: una specie di camerismo di ampie vedute. Grachan Moncur III fu uno dei primi trombonisti a cimentarsi con il jazz d’avanguardia, è stato uno dei pochissimi trombonisti in ambito New Thing, ma soprattutto è stato un compositore sottovalutato dall’enorme potere evocativo. L’album è una fusione tra elementi così differenti tra loro che crea un intrigante avventura sonora, quattro lunghi brani, peraltro tutti composti dallo stesso Moncur, complessi nelle loro strutture, vicini alle concezioni avanguardiste dell’epoca e caratterizzati da atmosfere cupe, quasi sinistre, lo stesso McLean che prese parte alle sessioni, si cimentò in alcuni dei più anticonvenzionali assoli della sua carriera. Un disco che allora, nel 1963, poteva sembrare temerario, ma che sopratutto oggi suona vitale, energico ed attuale. Molto interessante anche il secondo album su Blue Note “Some Other Stuff”, ma “Evolution” rimane un lavoro unico da aggiungere alla collezione, non solo per chi ama il jazz d’avanguardia.

Kahil El’Zabar
2020 2 album nel giro di pochi mesi per “l’nnovativo” poli-percussionista Kahil El’Zabar, musicista e compositore di Chicago Kahil El’Zabar, ex presidente del leggendario collettivo AACM, noto anche come pioniere del jazz spirituale.
Kahil El’Zabar feat. David Murray, Spirit Groove (2020)
Possiamo dire che il non facile esperimento di unire “groove” e spiritualità sia riuscito e allora l’impresa di Kahil El’Zabar, grandissimo percussionista e uno dei più celebrati sassofonisti al mondo David Murray, appare ancor più meritoria ed entusiasmante. El’Zabar e David Murray, sono convinti che il jazz svolga e debba continuare a svolgere una funzione sociale. Non si tratta di un messaggio nuovo, ma è certamente un messaggio che va ribadito in tempi di spietato cinismo, di preoccupante indifferenza e non credo ci fosse maniera migliore di farlo. Un album, con un bellissima copertina di Nep Sidhu (Nirbhai Singh Sidhu) artista interdisciplinare che vive e lavora a Toronto, pregno di senso, di ricerca musicale e di novità sonora. L’album è una incredibile e personalissima miscela di jazz, bebop, soul, funk, psichedelia, esplorati in un caleidoscopio timbrico immaginifico e particolarmente avvincente. Davvero Spirit Groove!

America The Beautiful (2020)
Il nuovo album parla dei tempi in cui viviamo oggi, della pandemia, di un malcontento sociale di massa, di una povertà sproporzionata, di Black Lives Matter e di altri movimenti, della disparità ecologica ed economica del nostro pianeta. Cerca di fare riflettere meglio e più chiaramente su dove siamo ora e dove potremmo andare in futuro. L’artista per trattare questi argomenti sceglie come tema portante dell’album una rielaborazione unica dell’inno “America the Beautiful”, ripreso più volte con armonie alterate esplorando ulteriormente l’avventura della melodia in dissonanza all’interno del romanticismo e della passione della musica creativa improvvisata intrecciando suoni provenienti dalla musica africana, dal latin jazz e dal funk. Troviamo brani sui e classici come “Express Yourself”, “How Can We Mend a Broken Heart” e una versione afrocentrica di “Afro Blue”, riscritti con gli arrangiamenti originali di El’Zabar. America the Beautiful di Kahil El’Zabar è un’opera estremamente accessibile, che presenta una musica stimolante e spiritualmente edificante, che calma ma che ci spinge anche a essere di più, a fare di più e a creare una visione per un domani migliore.

Makaya McCraven, In This Times (vinile bianco 2022)
In These Times è il nuovo album del percussionista, compositore, produttore Makaya McCraven, con sede a Chicago, disco dalla gestazione complessa durata sette anni. Con la collaborazione di oltre una dozzina di musicisti, partner e sui collaboratori, tra cui Jeff Parker, Junius Paul, Brandee Younger, Joel Ross e Marquis Hill, la musica è stata registrata in 5 diversi studi e 4 spazi per esibizioni dal vivo. Poi McCraven si è impegnato in un ampio lavoro di post-produzione casalinga, 41 minuti emozionanti e coinvolgenti, per un grande risultato. Caratterizzato da arrangiamenti orchestrali intrecciati con il suono caratteristico della “musica ritmica organica” che è diventato la sua firma, il disco è un’evoluzione e un punto di arrivo per Makaya sia come musicista che come produttore. Nel disco, in cui l’artista mescola il jazz con il folk del XXI secolo e l’elettronica, c’è ritmo ma anche rilismo e una grande attenzione all’incanto che nasce dalla melodia. Un album veramente bello che può andare bene sia per un ascolto attento che per uno più rilassato. In These Times è un ottimo album per questo innovatore in ascesa, punto di riferimento per questa nuova “vitalità” del jazz.

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