«Desafinado», il genio di Coleman Hawkins reinventa la Bossa Nova

Capace di adattarsi a qualsiasi stile durante la sua lunga carriera, Coleman Hawkins, scelse per «Desafinado» una serie di standard classici adattati ai ritmi brasiliani presi in prestito dai libro dei sogni di maestri come Antonio Carlos Jobim e João Gilberto, con l’aggiunta di un originale a firma Manny Albam.
// di Francesco Cataldo Verrina //
La «Bossa Nova» nel gergo Rio de Janeiro rappresentava una miscela di Afro-Brasilian samba e Afro-American jazz. Quella che all’inizio sembrava una moda passeggera, per alcuni anni divenne una tendenza dominante, particolarmente a partire dall’autunno del 1962, influenzando jazzisti di varia estrazione. In realtà, il processo di crossover andava già avanti da tempo, a cominciare dall’introduzione di elementi nordamericani nella musica di Rio, sin dalla fine degli anni venti. Tuttavia, sul calare degli anni Cinquanta, fu la libertà ritmico-melodica, che i musicisti brasiliani stavano, spontaneamente applicando alla loro musica nativa, che iniziò ad attirare l’attenzione dei jazzisti, in primis quelli della West Coast, i quali affascinati dagli input sonori che giungevano dal Brasile, cominciarono a reinventare la bossa, fondendola con elementi di matrice afro-nordamericana. Ciò conferma la straordinaria universalità del jazz, da sempre terra di confine, facilmente permeabile all’ibridazione ed ai fenomeni di sintesi.
Coleman Hawkins dall’alto della sua posizione privilegia, sposò immediatamente il nuovo vezzo sonoro del jazz mainstream. All’epoca, Hawkins era considerato uno dei maestri jazz più longevi e durevoli, avviato verso il suo quarto decennio di attività: signore incontrastato del sassofono tenore, strumento con cui aveva stabilito alcuni moduli espressivi, ripresi ed imitati da folte schiere di giovani succedanei, tanto che, ancora in quegli anni, rimaneva una giacimento inesauribile d’ispirazione. Il «vecchio» sassofonista era sopravvissuto a tutte le «novità» apparse sulla scena jazz dalla metà degli anni venti in poi, senza mai smettere di stupire ed appassionare generazioni di musicisti ed appassionati. Hawk si avvicinò per la prima volta alla modulo espressivo della bossa nova con una miscela sonora estremamente accattivante. Poco tempo prima, aveva chiuso un contratto con il Village Gate di Manhattan: la sua prima vera apparizione nello storico locale newyorkese. Parlando delle sue tre settimane di concerti al Gate: «Mi piace quel posto». Hawk diceva. «Adoro le persone vere com Art (Art D’Lugoff, gestore del The Gate) era sempre lì, voleva capire se potesse fare qualcosa per mettermi a mio agio. È un fatto molto raro.»
Manny Albam selezionò i brani, realizzando gli arrangiamenti dell’album nel rispetto del sound e dell’approccio del «vecchio» sassofonista tenore, sapendo che sarebbe stato lui a dare vita a quel particolare tipo di mood. Hawk si diede un gran daffare con «One Note Samba», provando una varietà di approcci fino arrivare al nucleo vitale della bossa nova, riuscendo sistematicamente ad ottenere ciò che voleva: la voce parlante del suo strumento, calda e vibrante, l’aveva sempre trasportato, quasi istintivamente, nella giusta direzione. In quei giorni ebbe a dire: «Devo capire come raccontare la mia storia in questo affare.» Ne capì immediatamente il meccanismo, continuando ad intessere le sue avvincenti trame sonore con un’immaginazione fluente. Alla fine del ciclo di serate e di registrazioni, Coleman era diventato un esperto, completamente a suo agio con il nuovo modulo espressivo: situazione non affatto semplice o del tutto scontata per chiunque altro. La bossa nova, se fatta correttamente, non è solo un modo di suonare il jazz con un soffice battito latino. Il samba, in genere, è strutturalmente più complesso rispetto alla tradizionale musica afro-americana a 32 bar. Un samba può avere tre parti distinte e la linea armonica può utilizzare fino a 64 bar. Le melodie posseggono una qualità lirica, quasi genetica, in più sono intrise da uno speciale stato d’animo e da un sentimento che devono essere catturati. Come Manny Albam ebbe modo di precisare: «Il percorso sonoro è tranquillo, ma solo in apparenza, inizialmente puoi anche rilassarti e pensare alle tue faccende personali (…) solo a metà del tempo cominci a pensare di essere su un terreno che non avevo mai calpestato prima, al punto che i cambiamenti di stile e le metamorfosi sonore iniziano a tormentarti, mentre procedi seguendo un percorso sconosciuto.» Le partiture di Albam furono concepite sulla base di tali preoccupazioni trasformate in un concept fluente e piacevole. Ecco la bellezza di «Desafinado»: un disco leggero, immediato, ma non banale, giocato d’azzardo e con traiettorie puntate sul brivido dell’imprevisto, almeno nella percezione del fruitore.
Coleman Hawkins ebbe un notevole sostegno dai parte dei suoi gregari: i due chitarristi, Barry Galbraith e Howard Collins, lavorarono sinergicamente con sorgiva abilità e grazia consumata, tanto da lasciare immaginare di aver bazzicato questo terreno per tutta la vita. In realtà, l’album di Coleman, fu la loro prima esposizione al genere. Galbraith chitarra solista, aggiunse all’opera di Hawkins una struggente eleganza. In tandem, le due chitarre raggiungono una perfetta intesa fatta di forte intensità lirica. Dal canto suo, Willie Rodriguez maneggiò le percussioni con la sicurezza di un maestro del passato, unendo il suo background jazzistico e latino. Fu della partita anche la consueta sezione ritmica di Coleman Hawkins. Il pianista Tommy Flanagan fece il suo debutto quasi da outsider, gestendo questo compito (inaspettato) con un aplomb delicato, mentre Eddie Locke, chiamato a suonare la batteria in maniera minimale, usando solo un rullante, un piatto ed una cassa, mantenne il tempo a velocità di crociera senza spintoni ed eccessi ritmici, così come Major «Mule» Holley, bassista di talento, dimostro di sapere fin dall’inizio cosa fosse necessario all’economia dell’ensemble. La seduta di registrazione fu un esempio lampante dell’adattabilità e della musicalità dimostrata da «uomini» di sostanza di fronte ad una nuova sfida. Nessuno di essi mollò, neppure per un istante, anche se questa non doveva essere un in impegno «soffocante» e particolarmente impegnativa. Fecero, comunque, in modo che il «capo» fosse sempre a suo agio. Hawkins stesso riassunse così il segreto della sua bossa nova, dopo aver ascoltato una prima riproduzione del nastro: «Farà schioccare le dita anche ad un uomo morto».
«Desafinado» è probabilmente il più popolare e, certamente, il più riuscito degli standard del jazz-bossa-nova, dove Hawkins e soci gestiscono le varie modulazioni in maniera magistrale, conservando un suono voluttuoso anche quando sembra rallentare. «I’m Looking Over A Four Leaf Clover», a prima vista una scelta improbabile per questo album, era un punto fermo nel repertorio di João Gilberto, cantante-chitarrista, uno dei principali esponenti del genere brasiliano. Hawk svolge il compito con discreto umorismo, gorgogliando con esuberanza e producendo un suono non dissimile a quello di una tromba. «Samba Para Bean» fu scritta per Hawkins da Manny Albam, affettuosamente conosciuto come «Bean» tra i musicisti jazz. Sia la composizione che l’interpretazione sono autenticamente in stile bossa nova, generando uno stato d’animo delicatamente lirico, sotteso da una lieve sfumatura di pathos e di saudade, in cui la morbida pennellata di Locke sostiene l’atmosfera. «I Remenber You» fu selezionato per l’occasione da Albam perché i cambi di accordi e la progressione armonica di questo standard ricordavano il tipico umore del samba. La melodia sembra fatta per Hawkins, che, sorprendentemente, pur non avendola mai suonata prima, dimostra la sua padronanza sia nell’improvvisazione melodica che nei cromatismi pennellati dal suo strumento. «One Note Samba» (Samba De Uma Nota So) è il secondo classificato dopo «Desafinado» nelle lotterie della popolarità. La versione contenuta nel disco è la più riuscita di diverse «takes» racchiudendo le caratteristiche essenziali sia della bossa nova che dello stile esecutivo di Coleman Hawkins. Ottimo il supporto dei due chitarristi. «O Palo (The Duck)» è una ballata accattivante e amabile che inizia esattamente come un noto standard, ha in pratica una componente aggiunta, clonata da «Take the ‘A’ Train» di Duke Ellington. Bean annuncia il tema con una chiacchierata, e dopo il bel assolo di Ciatbraith, lui e Barry procedono a «quattro zampe». «Abraco No Bonfa (An Embrace To Bonfa)», l’omaggio di Joao Gilberto a Luis Bonfa co-compositore del brano, possiede la linea più lunga e la struttura più intricata di tutti gli altri samba contenuti nell’album, incorporando un effetto di movimento perpetuo e dall’impatto ipnotico. Gli ornamenti ed i ricami di Hawk sono una tavola delle leggi per ogni sassofonista che si rispetti. «Stumpy Bossa Nova», adattamento da Manny Albam al classico di Hawk, in originale «Stumpy», mostra la medesima progressione di accordi della celebre «Groovin High» di Dizzy Gillespie. Il brano fu registrato per la prima volta da Hawk per l’etichetta Signature di Bob Thiele nel 1943, alcune settimane prima del suo famoso «Man I Love» realizzato sotto gli stessi auspici con un groove rilassato, dall’inizio alla fine ed un approccio similmente nostalgico.
Lo stile semplificato di questo album, nel complesso, si adatta perfettamente all’affascinante, bonario e rilassato carattere del sassofonista, in contrasto con un periodo storico, in cui il mondo era politicamente in subbuglio: le lotte per la parità dei diritti in USA, la fragile e tumultuosa attività politica delle nazioni caraibiche ed il ruolo di supremazia rivendicato dalle dittature sudamericane, rispetto al cosiddetto Terzo Mondo. Coleman Hawkins morì sette anni dopo, lasciando un’eredità stilistica ad imperitura memoria, divenendo un’icona del jazz, forse il più venerato sassofonista tenore di ogni epoca. «Desafinato», pur nella sua unicità, rimane una delle perle della sua lunga discografia.
