Un piccolo tesoro nascosto, Doug Watkins Quintet Feat. Yusef Lateef con «Soulnik», 1960
In quel periodo, il giovane Doug si era convinto che sarebbe stato più accettato e notato dal pubblico se avesse preferito il violoncello al contrabbasso, considerato dalla maggior parte degli appassionati di jazz solo uno strumento ritmico e di accompagnamento.
// di Francesco Cataldo Verrina //
Il bassista Doug Watkins morì in un incidente d’auto nel 1962 a soli 27 anni, ma prima della sua prematura scomparsa partecipò a decine di memorabili sessioni. Contrabbassista dal tocco rilassato e dotato di notevole senso melodico, Doug suonò al fianco di alcuni dei più grandi jazzisti del suo tempo. Giunto a New York nel 1954, Watkins originario di Detroit, fece parte del trio di Barry Harris, acquisendo credibilità esperienza come spalla di Charlie Parker, Stan Getz e Coleman Hawkins. Conquistata un certa notorietà, nella Grande Mela, Doug venne assoldato, dapprima, da Horace Silver, quindi dai Jazz Messengers, lavorando come sideman per Sonny Rollins, il quintetto di Chet Baker ed il trio di Red Garland. Watkins ha lascito ai posteri solo due album come solista. Il primo da band-leader, «Watkins At Large», un disco assai raro, non solo da trovare, una vera gemma nello scrigno del jazz di fine anni ’50, venne pubblicato da una piccola etichetta, la Transition Record, forte di un line-up stellare: oltre a Doug Watkins, Donald Byrd, Hank Mobley, Art Taylor, Duke Jordan e Kenny Burrel.
«Soulnik», il suo secondo e ultimo lavoro come leader, vide Watkins al violoncello, anziché al basso, in compagnia di Yusef Lateef, quasi comproprietario del progetto. Watkins spiegò la sua scelta in maniera lapalissiana: «Di solito faccio questi brani con il basso, ma volevo un suono diverso. Per me il violoncello ha un tono a metà strada tra la chitarra e il pianoforte». Si narra che avesse preso in prestito lo strumento da un amico solo tre giorni prima di questa sessione e che lo avesse usato per la prima volta durante la registrazione, ma ascoltando attentamente «Soulnik» si ha la sensazione che avesse studiato il violoncello per anni. Ira Gitler scrisse: «Ci sono cose che non avrebbe avuto il tempo di imparare mai. Ma è come se le conoscesse già». In quel periodo, il giovane Doug si era convinto che sarebbe stato più accettato e notato dal pubblico se avesse preferito il violoncello al contrabbasso, considerato dalla maggior parte degli appassionati di jazz solo uno strumento ritmico e di accompagnamento. In «Soulnik», Watkins al violoncello fu supportato da Yusef Lateef al flauto e all’oboe (occasionalmente, al tenore), Hugh Lawson al pianoforte, Herman Wright al contrabbasso e Lex Humphries alla batteria. In in talune partiture, l’uso consustanziale dell’oboe e del violoncello sviluppa insolite ambientazioni conferendo all’album un tratto distintivo rispetto alle solite pubblicazioni hard bop del periodo. La sessione venne registrata al Rudy Van Gelder Studio, il 17 maggio 1960.
L’opener, «One Guy», è una struttura blues composta Lateef, che apre il sipario sul disco facendo vibrare il terreno circostante. Il violoncello porta avanti il tema con Doug, primo solista, a mostrare la propria destrezza, a seguire il flauto di Yusef, mentre dopo l’assolo di Lawson, il contrabbasso di Wright alza il valore offerta, divenendo propedeutico ad un singolare interplay tra Doug e Yusef, prima i due possano svincolarsi e formulare molteplici combinazioni tematiche. Watkins, da solo, porta la melodia di «Confessin’ (That I Love You)» ad un metro da cielo. Dopo l’assolo di flauto e conseguente l’improvvisazione, Lateef ritorna in auge riprendendo il tema iniziale, innescato dal flusso armonico del piano di Lawson. Un altro componimento dal sangue blues di Yusef Lateef chiude il primo lato dell’album. È la volta della title-track, «Soulnik», che si pregia di un intrigante unisono tra violoncello ed oboe. Nel suo assolo Doug cita nitidamente «K. C. Blues» di Charlie Parker. Dal canto suo, Lateef sembra inoltrarsi lungo una strada stregata di notte, lungo la quale rilascia una scia sonora ricca di pathos e sentimento. Lawson è riflessivo, con accenni e divagazioni alla Flanagan, mentre Wright evidenzia ancora una volta la potente cavata del suo contrabbasso.
«Andre’s Bag», a firma Watkins, si sostanzia sulla scorta di una melodia in tonalità minore che contiene un lieve sentore gitano, di cui Lawson coglie appieno lo stato d’animo, mentre Les Humphries ne pennella i contorni con un tocco dinoccolato. La purezza di tono del flauto di Lateef è da accademia del jazz moderno. Il tema di «I Remember You», ballata standard eseguita su un tempo medio, è diviso e condiviso tra violoncello e flauto. Dopo ogni assolo, Doug torna per mezzo ritornello, Yusef lo riprende nel bridge e Doug lo rilancia. Il disco si chiude con «Imagination», una ballata lenta, in cui Yusef Lateef esegue la melodia, mentre il novello violoncellista sembra camminargli a fianco con discrezione. Alla fine dell’assolo di Watkins, Lateef fa di nuovo capolino per poi congedarsi, nonostante Watkins continui a pizzicare il violoncello e Wright a solcare le code del contrabbasso con l’arco. L’edizione dell’album rimasterizzata e ripubblicata su vinile 180 gr. con qualità audiofila, contiene due bonus-track registrate a New York, il 5 aprile (B4) e 9 aprile (A4) del 1957 con Yusef Lateef (sax tenore), Curtis Fuller (trombone), Hugh Lawson (piano), Ernie Farrow (basso), Louis Hayes (batteria), Doug Watkins (percussioni).