«A New Day» di Giovanni Guidi, sinergica evoluzione di un corpo in movimento

Nel disco non esiste alcuna forzatura, anzi la bellezza di «A new Day» scaturisce proprio dai contrasti. Il trio è sobrio e misurato, mentre Lewis è un incursore passionale, di cuore e di pancia, per quanto adattivo e funzionale al progetto.
// di Francesco Cataldo Verrina //
Giovanni Guidi ha di recente pubblicato il suo nuovo album, «A New Day», il quinto per l’etichetta ECM, nel quale ha dato forma e sostanza ad un concept duale derivante dalla presenza in quattro tracce su sette del sassofonista tenore James Brandon Lewis, intraprendendo, così, differenti itinerari sonori, ispirati da un senso dell’orientamento jazzistico complessivamente accresciuto. In effetti, Il trio di Giovanni Guidi, con il contrabbassista americano Thomas Morgan ed il batterista portoghese Joao Lobo, era già un fenomeno rodato, il cui debutto risale al 2013 con «City Of Broken Dreams», seguito nel 2015 da This Is The Day (entrambi con l’ECM). Nel 2019 il pianista, desideroso di ampliare lo spettro creativo e la tavolozza sonora del piccolo combo, per il terzo album ECM, «Avec Le Temps» (ECM), aveva coinvolto il sassofonista tenore Francesco Bearzatti e il chitarrista Roberto Cecchetto. James Brandon Lewis, reduce da un album registrato per Impulse!, è un musicista polimorfico, il quale oltre ad un background legato alla musica gospel, possiede un tono schietto e diretto, che già di per sé trasmette un senso di finalità. Attraverso lunghe note trattenute, le quali possono rimandare a Charles Lloyd ed a Coltrane, in «A New Day» il sassofonista contribuisce a creare un potente contrappeso melodico alle improvvisazioni d’insieme intensamente liriche di Guidi.
Nell’opener dell’album, «Cantos Del Ocells», quale revisione di una melodia folk catalana, già cantata da Joan Baez – e che qui assume la forma di una ballata brunita ed eterea -, l’humus sonoro viene fertilizzato con linee di pianoforte traspiranti, una lieve cavata di basso ed un kit percussivo mai troppo invadente o esuberante, nonché pragmatiche asserzioni di sassofono che aleggiano nell’aria sormontando la cruna del parenchima sonoro. Dopo un’ampia introduzione, attentamente ponderata tra pianoforte, basso e batteria, il trio s’incammina da solo prima che Lewis irrompa a metà del tragitto aggiungendo luminosità ed aria a quella che altrimenti sarebbe stata un’interpretazione troppo intima e riflessiva; soprattutto il sassofonista non si aggrappa alla melodia principale ma volteggia accanto alle note più significative; da parte sua Guidi si contrappone alle linee dinoccolate di Lewis con pattern pianistici arpeggiati che ammantano il quartetto come gli annebbianti vapori e le tenui nuances di un’inebriante cromoterapia sonora. Sebbene, nel complesso, i quattro musicisti si compensino, in taluni momenti dell’album la combinazione fra la sessione ritmica e l’innesto di Lewis risulta decisamente mercuriale, in special modo nei brani che chiudono ciascuna facciata dell’album in vinile: «Only Sometimes», accreditato come un’improvvisazione a quattro, in cui Morgan sviluppa un walking quasi regolare prima di dimenarsi in un’atmosfera modale, sulla quale Lewis disegna stimolanti linee coltraniane che si rigonfiano con fervore spirituale. Il sassofonista sembra citare «Alabama» di Trane ed affondare i ricordi in qualche classico dell’R&B o del gospel; nella composizione di Guidi, «Wonderland», srotolata come una narrazione metropolitana, Lewis costruisce lentamente una vaporosa progressione in stile sheets of sound ed aggiunge alcuni elementi ricchi di soulfulness, mentre la retroguardia ne rafforza i contorni con il piano del leader che fornisce un ricercato substrato accordale.

Un esame attento dell’album suggerisce che Lewis ed il tradizionale triunvirato sotto l’egida di Guidi non fossero (o non sarebbero stati) proprio speculari o compagni naturali, e che l’incastro non fosse del tutto scontato. Nel disco, però, non esiste alcuna forzatura, anzi la bellezza di «A new Day» scaturisce proprio dai contrasti. Il trio è sobrio e misurato, mentre Lewis è un incursore passionale, di cuore e di pancia, per quanto adattivo e funzionale al progetto. Piano, basso e batteria danno il meglio di sé nella rivisitazione di «My Funny Valentine», vecchio standard in cui Lewis resta in stand-by. Dal canto loro, Guidi, Morgan e Lobo frantumano abilmente il componimento di Richard Rodgers e Lorenz Hart, tanto da renderlo quasi quasi irriconoscibile, nonostante un approccio leggero e disinvolto la renda comunque identificabile. Guidi si incunea nella familiare melodia, resa celebre in ambito jazzistico da Chet Baker, con una serie di abili passaggi ed elisioni che costituiscono il vero punto di forza della performance. Lewis si esalta in «Luigi (The Boy Who Lost His Name)» a firma Guidi, una struttura ritmico-armonica emotivamente espressiva dove il sassofonista fonde in maniera sorgiva il suo pathos interiore con con l’ethos del line-up, un cantico struggente che mostra una radiosità accecante nella melodia e dove il lavoro pennellato di Lobo incontra il flusso armonico sulla scorta di un’eleganza narrativa non comune.
Le parole del pianista Umbro sono alquanto eloquenti: «Ero convinto da tempo che con James il dialogo del gruppo potesse svilupparsi verso approcci più astratti, aperti e improvvisati. In un certo senso è stata una bella scommessa, dato che proveniamo da percorsi molto diversi, ma la sessione per «A New Day» ci ha dato ragione: il trio viene spinto verso nuovi territori, mentre James, a mio avviso, trova un modo unico e interessante per entrare in contatto con noi. È stato un sincero viaggio di scoperta». Guidi e soci trovano la libertà espressiva nelle strutture aperte, nella drammatizzazione del rubato e nell’interplay, attraverso un modus operandi pregno di intimità e di contegno, mai, però, banalmente languido o ammiccante. Aperte od introspettive che siano, tutte le performance in trio o in quartetto usano la medesima regola d’ingaggio. Così non fanno eccezione neppure «To A Young Student» che abbraccia un meditabondo minimalismo cameristico segnato dalle cupe tonalità emesse dal pianoforte e dal basso ad arco; così come in «Means For A Rescue» il line-up fa un buon uso dei silenzi esaltando le espressioni enigmatiche, successivamente animate dell’attività accordale di Guidi, il quale ne accresce la tensione. Tutto ciò nasce inevitabilmente delle forze individuali in campo che si uniscono, mentre un impulso relativo, piuttosto che un tempo rigoroso, funge da indicatore di marcia per il collettivo, in cui il pianista folignate dimostra di possedere una voce strumentale, distintamente caratterizzata e di essere un legittimo ed eminente rappresentante della scena jazzistica europea.
Come per gran parte della recente produzione di ECM, anche «A New Day» non è una gimkana bop finalizzata a scuotere fisicamente il fruitore, ma la sessione ripaga l’ascolto ripetuto e rivela un inedito status civitatis all’interno delle dinamiche evolutive della progettualità di Guidi, il quale commenta cosi: «Lavoro con Manfred da molti anni. Ogni volta è una nuova opportunità per una profonda introspezione e un dialogo libero, per condividere e imparare. In studio, Eicher ci ha detto di immaginare un «nuovo album», e non «il prossimo album»; così abbiamo colto tutti l’occasione per trovare la strada e provarci». Registrato la scorsa estate presso gli Studios La Buissonne nel sud della Francia, nell’agosto del 2023, il vinile possiede un suono superbo che non mancherà di appagare i desideri degli audiofili.
