// di Gianluca Giorgi //

Stephan Micus, Thunder (2023)
Stephan Micus è uno degli artisti contemporanei più originali, un musicista e compositore che colleziona e studia strumenti da tutto il mondo, con i quali crea i suoi viaggi musicali. Ciò che lo rende assolutamente unico è il suo personalissimo approccio alla world music, infatti la propone appropriandosi di strumenti e culture musicali diversissime tra loro che mescola in una audace sintesi. Riesce a fare tutto questo grazie ai suoi tantissimi viaggi. Viaggiatore instancabile, è sempre alla ricerca di nuovi strumenti etnici da aggiungere alla sua vastissima collezione, che utilizza spesso in combinazioni inedite, impiegando, anche, tecniche strumentali non ortodosse. Questo è il suo 25° album da solista per ECM in cui il suono è dominato dalla tromba tibetana di sterco che è lunga quattro metri, uno strumento che Stephan ha recentemente imparato e che utilizza qui per la prima volta. Il titolo del disco deriva dal suono fragoroso di questo strumento e le sue nove tracce celebrano i dei del tuono di tutto il mondo. Tutte le composizioni sono realizzate da Micus in copmpleta solitudine, utilizzando la tecnica del multitracking per incidere strumenti e voci. Micus di solito in ogni suo nuovo album aggiunge un nuovo strumento; qui è la volta del dung chen, una tromba lunga 4 metri, usato nelle orchestre dai monaci tibetani, per i rituali, con il quale producono una o due note molto basse. Lo strumento è impiegato nei brani che aprono e chiudono il disco accompagnato da campane, tamburi, una cetra bassa e dal ki un ki, uno strumento siberiano simile a una tromba lunga due metri che si suona inspirando e variando il tono con la pressione delle labbra. Il dung chen è inoltre utilizzato nel brano centrale, “A Song For Vajrapani,” dove il ki un ki è sostituito dal nohkan, un flauto traverso di bambù laccato giapponese, che stempera in parte la drammaticità del brano. Nei brani “A Song For Shango” e “A Song For Ishkur” compare per la prima volta il kaukas, un’arpa o lira a 5 corde del Sudafrica, utilizzato insieme al sapeh (un liuto del Borneo) per accompagnare il canto. In altri brani dalla costruzione più tradizionale la melodia è affidata a strumenti etnici più conosciuti come il sarangi (“A Song For Armazi” e “A Song For Zeus”) e lo shakuhachi (“A Song For Raijin” e “A Song For Leigong”), accompagnati da nyckelharpa e cetra bassa il primo e da sinding (un’arpa con 5 corde dell’Africa Occidentale), percussioni e campane il secondo. È una musica con un forte carattere mistico-spirituale che riesce a trasportare in un mondo magico ma necessita un ascolto attento. Un ottimo disco che potremmo catalogare di ambient-avant-folk.

Hiroshi Suzuki, Cat (1976 ristampa 2021)
Un disco molto ricercato questo di Hiroshi Suzuki, considerato un “santo gral” della musica jazz-fusion-funk. Cat è stato registrato nell’ottobre 1975 al Nippon Columbia Studio, mentre Hiroshi Suzuki, conosciuto come Neko (Cat) da qui il titolo dell’album, era ritornato a far visita al suo paese natale, il Giappone, dopo essersi trasferito a Las Vegas nel 1971 per perfezionarsi e per suonare con Buddy Rich. Hiroshi Suzuki si riunì con i suoi cari amici per un’epica e magica sessione di due giorni piena di groove. La chimica era ancora intatta, le abilità e lo stile erano cresciuti. Il risultato è “Cat” un capolavoro pieno di anima, in cui gli splendidi assoli di trombone di Hiroshi Suzuki flirtano con il celestiale sassofono di Takeru Muraoka e la sensuale sezione ritmica di Hiromasa Suzuki (tastiere), Kunimitsu Inaba (basso), Akira Ishikawa (batteria). Diventato uno degli album jazz giapponesi più ricercati di tutti i tempi, proprio come altri dischi giapponesi di quei anni, tipo Scenery di Ryo Fukui, ha affascinato vecchie e giovani generazioni. Un disco per chi ama il jazz, la fusion, il funk, il jazz giapponese ed il trombone, molto ricercato perché apprezzato trasversalmente in diversi ambiti musicali, scena lofi beat, collezionisti di jazz ma anche appassionati di musica in generale. Ristampa ufficiale in vinile da 180 grammi in edizione limitata proveniente dai master originali, masterizzato a metà velocità per un ottimo suono audiofilo, completo di note di Teruo Isono.

DEXTER STORY

Wejene Aola feat. Kamasi Washington (7” 2016)
Bahir (lp 2019)

Dexter Story è un’artista a tutto tondo, polistrumentista (Sa-Ra Creative Partners), manager (Snoop Dogg), nonché produttore (Cubafonia di Daymé Arocena del 2017) e nei suoi lavori trova ispirazione dalla musica e dalle culture distribuite in tutto il Corno d’Africa che fonde, alcune volte, con il cosiddetto “nu-jazz” inglese. In Bahir, oltre a diverse collaborazioni, si possono trovare l’amore e lo studio di Dexter per la musica dell’Etiopia, un mix di jazz etiope, groove tuareg, afro-funk, soul somalo e influenze di jazz contemporaneo. Tra gli artisti che collaborano al disco ci sono Sudan Archives, Etsejgenet Mekonnen, Josef Leimberg, Miguel Atwood-Ferguson e la cantante etiope Hamelmal Abate, che presta la sua voce al primo singolo “Shuruba Song”. È un album di estrema raffinatezza, dove l’influenza dell’Africa si sente moltissimo e, rispetto al precedente disco, ci sono nuovi suoni e nuove idee. Nel 45 giri con due brani molto belli, nel lato A ‘Wejene Aola’, troviamo la partecipazione di Kamasi Washington.

Nat BirchallCosmic Language lp (2018)
Modes For Trane 7” Ltd ed 600 copies (2018)

Nat Birchall è un artista jazz britannico, indipendente e creativo, sassofonista e compositore, sulla strada da quasi 20 anni. Cosmic Language è nato da una performance una tantum in un centro di meditazione, il Maharishi Golden Dome nel West Lancashire. Visto il contesto in cui suonava, Nat ha cercato di creare ambientazioni trascendentali e per fare questo ha inserito l’armonium indiano al posto del piano e preso spunti dalla tradizione indiana del raga. Sia l’album che lo spettacolo che lo ha preceduto sono stati registrati con lo stesso gruppo di musicisti che lavorano solitamente con Nat Birchall. Musicisti jazz della scena di Manchester, artisti del calibro di Matthew Halsall (un collaboratore di lunga data con Birchall), GoGo Penguin, oltre al buon batterista e percussionista Andy Hay e al pianista Adam Fairhall, musicista fondamentale nella musica di Nat, che in questa occasione ha abbandonato il pianoforte per l’armonium. Birchall ha sempre cercato di inserire idee ad ampio respiro in una musica semplice da capire e questo album non fa eccezione. L’apertura dell’album “Man From Varanasi” è un’ode a Bismillah Khan, uno degli eroi della musica indiana di Birchall che proveniva dalla città indiana del nord nominata nel titolo. “A Prayer For”, è un brano molto bello già presente sul disco di Birchall “Akhenaton” e la nuova versione è una delizia, con l’uso dell’armonium e l’assolo di basso con l’archetto di Michael Bardon che migliora l’atmosfera Hindustani. Nat considera la musica ed il jazz parte integrante della vita quotidiana e non solo un intrattenimento occasionale e pensa che si dovrebbe ascoltare musica ogni giorno. Anche lo spiritual-jazz negli anni delle rivendicazioni sociali, malgrado guardasse allo spirituale ed era ispirato alla fantascienza, era impegnato nel concreto con l’attivismo sociale ispirato alla coscienza nera per un cambiamento sociale. Il disco è un tesoro di bellezza impeccabile e piacerà a chi ama il jazz spirituale di Alice Coltrane e Yusef Lateef. Il 45 giri “Modes For Trane” è composto da 2 cover di beato jazz cosmico e spirituale. Entrambi dischi veramente belli che possono piacere anche ai neofiti del genere.

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