Umbria Jazz 2024: il jazz come paravento, i Toto come alimentatori del registratore di cassa
// di Francesco Cataldo Verrina //
Un tripudio di gente per la cover band dei Toto guidata da Steve Lukather ed il loro giocare sul filo della nostalgia e del remembering studiato a tavolino sono stati per molti sessantenni un’illusione di poter ritornare indietro nel tempo ed avere nuovamente vent’anni, almeno nel ristretto spazio di qualche ritornello orecchiabile. Le canzoni in molti avventori non hanno prodotto, però, tale effetto. Lo capiremo meglio leggendo alcune dichiarazioni rilasciate all’uscita dell’Arena Santa Giuliana. Come ampiamente spiegato nell’articolo introduttivo all’evento: all’interno del nucleo primigenio dei Toto, partire dal 1982, sono iniziati i distacchi, per motivazioni varie, da parte dei membri fondatori del gruppo, di cui è rimasto solo Steve Lukather, virtuoso della chitarra, detentore del marchio, musicista vagamente autarchico ed esibizionista, sostenuto dal fedele cantante Joseph Williams, il più longevo tra i vari sostituti all’interno della compagine, che oggi è solo la splendida cover band di se stessa. Potremmo paragonare i Toto, ad esempio, ai Nomadi dove Beppe Carletti è l’unico superstite del nucleo originario.
Gli incassi al botteghino e i sold-out mandano in brodo di giuggiole gli organizzatori ed esaltano gli amministratori locali per la marea di gente che invade ed intasa le strade attorno al centro storico del capoluogo umbro, causando non poco disagio ai residenti, soprattutto quando i trasporti, a causa all’angusta viabilità urbana, lasciano un po’ a desiderare. Per tanti perugini la giornate di UJ cadono in una settimana lavorativa come tante altre. Gli unici a sfregarsi le mani sono, giustamente, i ristoratori, gli albergatori i baristi e i commercianti, ma non tutti. Molti di essi trovano da ridire sul fatto che UJ con il megapunto di ristoro nei pressi dei Giardinetti Carducci sottragga molte energia ai loro ipotetici incassi; per non parlare dell’imponente parata di stand da sagra paesana a latere dell’arena, dove tutto costa di più del solito. Certo, sentir parlare il presidente della Regione Umbria, Donatella Tesei, di jazz e di incassi favolosi, fa un un po’ riflettere. L’euforia da luna park fa dimenticare che l’Umbria ha problemi gravissimi di desertificazione industriale, disoccupazione giovanile, servizi sociali carenti ed una difficoltà di gestione della sanità che crea un disagio grosso quanto una montagna ai cittadini fin troppo pazienti..
Di sicuro, Umbria Jazz, si presenta come una macchina da guerra ma con un’organizzazione che evidenzia le piccole pecche di un’elefantiasi strutturale, poiché collocata in sistema urbanistico predisposto più per le sfilate medievali che non per i megaraduni musicali. Ma abbiamo spiegato che il fascino di Umbria Jazz nasce anche da questo, avendo più volte sottolineato che ogni successo al Santa Giuliana con personaggi come i Toto è un insuccesso ed un fallimento per jazz in quanto tale, che è tutt’altra musica e necessita di spazi più raccolti come avviene, ad esempio, al Teatro Morlacchi: non immaginate quanta dispersione di suono, di atmosfera e di mood vi fosse l’altra sera all’Arena (mezza vuota) durante il concerto di Potter, Mehldau, Patitucci e Blake. Ecco perché, diranno gli addetti al botteghino, bisogna chiamare Galliano, Kravitz, Toto e Chic! Certamente, tutto ciò serve per far rilasciare entusiastiche interviste al Presidente della Regione e al Sindaco di Perugia; quindi si distribuiscono un po’ di gallette, sfilatini, ciabatte, pagnotte e rosette buttando i gladiatori nella arena o dando i dissidenti in pasto ai leoni come facevano nell’antica Roma, così il popolo dimentica i problemi. Siamo davvero al paradosso del panem et circenses
Ritornando al concerto dei Toto. Ovviamente, non si discute l’abilità e la tecnica musicale surrettizia al progetto di Lukater, magnificato da David Paich (tastiere), da validi strumentisti come Robert Searight (batteria), John Pierce (basso) e Warren Ham (fiati e strumenti vari) e l’immancabile e fedele vocalist Joe Williams. La scaletta è stata accuratamente stilata pescando a piene mai fra i massimi successi della band, al fine di riprodurre l’effetto nostalgia nei boomers, sistematicamente alla ricerca di stimoli che li facciano sentire eterni Peter Pan. Non sempre, però, il cosiddetto trasferimento della sensazione è avvenuto come emerge da alcune dichiarazioni raccolte alla fine del concerto:
Antonella, blogger ultracinquantenne mi dice: «Mi aspettavo di più, non tanto sotto profilo musicale, sono perfetti, forse troppo, ma dal punto di vista delle vibrazioni personali. Non sentire la voce di Bobby Kimball mi fa fatto uno strano effetto, mi sono sentita distante e un po’ tradita nelle aspettative di poter rivivere un sogno e di ritornare alla mia adolescenza, quando, studiando, consumavo la cassetta contenente l’album «Toto IV» a tutto volume…»
Paolo, musicista e docente di pianoforte ha confessato ai nostri microfoni: «Non mi hanno dato nulla, mi hanno lasciato del tutto indifferente, mi sarei aspetto anche qualche divagazione sotto l’aspetto musicale: invece no, arrangiamenti scontati con qualche punta di solismo virtuosistico atto ad entusiasmare chi non distingue un Sibemolle da un Fadiesis. Non vorrei buttarla troppo sul tecnico o sembrare saccente, ma avendo io meno di quarant’anni e non avendo vissuto l’epopea dei Toto anni Ottanta, musicisti eccelsi per l’epoca, ho trovato questa sorta di tribute band un po’ forzata, leziosa ed in grado solo di ripetere a memoria un compitino scritto…»
Carla e Roberto, coppia di sessantenni, hanno un’aria delusa e tradiscono un certo disappunto: «Tutto bello, grande happening, almeno sulla carta, un oceano di gente, ma in tanti non sono entrati nel mood della serata, dice Carla. Troppo diversa l’atmosfera rispetto ai Toto degli anni ’80, aggiunge Roberto, serate del genere possono far bene, se riesci ad azionare la macchina del tempo, ma se ne resti fuori ti fanno sentire più vecchio di quello che sei..»
Alessandro, fotografo di moda e di spettacolo, come si definisce lui, quasi settantenne, dice: «Sono rimasto in una specie di limbo, non saprei dirti se mi sono piaciuti o meno; per lungo tempo, nel corso del concerto, mi sono distratto ed ho pensato ad altro. Durante qualche fase dello show ho sentito un brivido di nostalgia, ma nel complesso trovo che l’idea di Lukather sia una mossa alquanto furba, ma musicalmente troppo sterile e deja-vu. Li avevo visti tanti anni fa in Germania, durante il tour del loro ventennale, ma allora c’erano ancora i Porcaro che sono stati l’anima della band…»