A.MA Records… From Puglia All Over The World

La nostra redazione ha deciso di recuperare alcune produzioni della Pugliese A.MA Records, etichetta indipendente con lo sguardo teso alle nuove aperture del jazz a 360° e con un ricco catalogo dal contrassegno internazionale. Una realtà vivace, guidata e gestita da Antonio Martino in maniera dinamica e contemporanea.
// a Cura della Redazione //
Enrico Bracco – «Flying In A Box» (A.MA Records, 2022)
Il cosiddetto Jazz Italiano – sarebbe meglio usare la dizione di «jazz suonato in Italia» – ha perso, da un po’ di tempo, buona parte del suo appeal mediatico. Certo i nostri connazionali sono, tra i musicisti di jazz, quelli che maggiormente si distinguono per un approccio melodico sofisticato e anche per un certo tipo di linguaggio in cui si fa sentire forte l’influenza del melodramma o comunque di una cantabilità spiccata che in molti casi riesce a salvare situazioni altrimenti difficili da imporre all’attenzione di un mercato che, oggi più che mai, si fa sempre più complicato da gestire. E se un po’ di tempo fa in tutta la penisola, da nord a sud, riuscivano ad imporsi personalità in cui il jazz si mischiava a caratteristiche territoriali contingenti (il jazz, si sa, è una spugna, che assorbe tutto quello con cui viene a contatto) oggi è Roma a rappresentare, con i musicisti del suo milieu, buona parte della creatività improvvisativa che caratterizza da sempre questa musica. Ed è una creatività che pesca a piene mani in un modo di suonare che si fa fortemente influenzare dalla mentalità che detta legge a New York e, di conseguenza, in tutto il mondo: farsi le ossa sulla tradizione cercando di sviluppare la propria personalità ma senza scantonare da certi dettami che da sempre fanno parte delle «regole» – se così possiamo chiamarle – dell’idioma afroamericano, e quindi lo swing e il groove. Così, il catalogo A.MA prende spunto da questo vivaio arricchendosi di una nuova presenza, quella del chitarrista Enrico Bracco un signore che vanta un curriculum di tutto rispetto con esperienze in cui la musica va a braccetto con il teatro, il cinema, la televisione. Questo è il suo quinto disco da leader e il suo flirt con la mentalità statunitense è da subito ben evidente non solo nella musica ma anche nella scelta dei collaboratori come quelli coinvolti nel quintetto che ha contribuito a realizzare «Flying In A Box», un lavoro in cui l’amore per la melodia e la conoscenza del lessico del jazz vanno insieme, in una maniera molto vicina a quella cosa che tutti siamo abituati a chiamare «equilibrio». Sono il fiore all’occhiello del jazz peninsulare moderno: Daniele Tittarelli al sax alto, Pietro Lussu al pianoforte, Giuseppe Romagnoli al contrabbasso, Enrico Morello alla batteria.
Irina Pavlovic – «The Soulful Heritage» (A.MA Records, 2023)
Il jazz, trovatosi spesso nella sua storia con le spalle al muro, ha imparato a cogliere il più possibile dalle altre musiche. Proprio per questo il soul gli è stato utile, sorgendo spontaneo dalle propaggini dell’hard bop e venendo reso popolare dai grandi solisti di quello stile. Utilizzando accordi derivati dal gospel ed arrangiamenti basati sulla formula del call and response il soul jazz – di questo stiamo parlando – ha cercato un ritorno alle origini, richiamandosi alle sonorità religiose della Chiesa afroamericana ed alla tradizione laica del blues. Tutto questo, negli anni sessanta del secolo scorso, gli consentì di assumere presso il pubblico di quel periodo la dimensione di uno stato di grazia che recava molti dei valori dell’R&B. E che tutto questo, venga oggi assunto da alcuni artisti serbi, come una cifra stilistica per dare alle stampe uno dei dischi più gradevoli dell’ultimo periodo è la testimonianza del potere di penetrazione che ancora questa musica ha presso le nuove generazioni. «The Soulful Of Heritage», titolo esplicativo per qualcosa che pesca a piene mani in quell’humus, però con un pizzico di modernità di cui la pianista Irina Pavlovic ha fatto tesoro forte di un solido curriculum che le ha consentito di organizzare un sestetto che ha assimilato alla perfezione gli stilemi di quel linguaggio. Non pensiate di trovarvi di fronte ad una operazione calligrafica: i signori che suonano in questo disco hanno studiato ben altro ma come ha detto qualcuno «il vecchio spiritual, i suoi accordi erano così facili, e, allo stesso tempo, così invitanti che alla lunga ci appiccicai una nuova melodia». Quel qualcuno si chiamava Horace Silver e i musicisti serbi di «The Soulful Of Heritage» lo hanno preso alla lettera. Provate a farvi coinvolgere dalla voce di Dean Bowman nella title track e ve ne renderete conto.


Opus Trio – «In Studio» (A.MA Records, 2023)
Originariamente concepito dal direttore del tour Nico Scotti, l’Opus Trio è composto da Ralph Moore, originario di Brixton, al sassofono tenore (Horace Silver, Roy Haynes, Darrel Grant, Freddie Hubbard, Gene Harris), Anthony Pinciotti, batterista newyorkese (Pat Metheny, Hush Point, Jeremy Steig, Randy Brecker, Gary Bartz), e il bassista Giuseppe Bassi, pugliese di nascita (Schema Quartet, La Banda degli Ornesti, Street Jazz Unit). Il trio accompagna l’ascoltatore in un viaggio che evoca le atmosfere dei jazz club newyorkesi, con composizioni calde e un basso rotondo, che fa venire voglia di ballare tra un sorso di whisky e l’altro. Ralph Moore al sassofono brilla più che mai, mentre il batterista Anthony Pinciotti, il cui modo di suonare risulta sempre preciso ed instancabile, unitamente all’apporto del bassista Giuseppe Bassi, sempre inventivo, sorprendente e perfettamente integrato nel trio. Creato appositamente nel 2022 per un tour italiano l’Opus Trio si è strutturato durante le prove dei concerti, quando i membri della band hanno capito che stava accadendo qualcosa di speciale: da queste considerazioni è nata l’idea delle sessioni di registrazione e dell’album «In Studio». I brani mostrano la profondità e l’ampiezza del talento dei musicisti, con quattro composizioni originali di Giuseppe Bassi, due di Ralph Moore, oltre alle superbe reinterpretazioni di «Fire Weaver» di Roy Ayers e «Ceora» di Lee Morgan. «In Studio» avrebbe potuto chiamarsi «In Club», poiché la sensazione è quella di trovarsi in una dimensione live. I musicisti sembrano completamente liberi da ogni regola e si calano completamente nelle composizioni. Indubbiamente, anche l’eccellenza del missaggio contribuisce alla sublimazione dei suoni e alla realizzazione complessiva del progetto. Ci si può immergere in questo album anche senza essere appassionati di jazz traendone un autentico piacere, poiché l’energia dei musicisti diventa progressivamente contagiosa. Apprezzabile anche il fatto che tutti i brani di questo album siano composizioni originali
Enrico Le Noci – «Electric Nuts» (A.MA Records, 2023)
Fondendo le influenze delle formazioni jazz con organo Hammond guidate da Grant Green, Jimmy Smith e Wes Montgomery con la chitarra rock-blues di Jimi Hendrix, gli stili compositivi di Herbie Hancock e Wayne Shorter, il trio di Enrico Le Noci ha creato «Electric Nuts». Un album, pubblicato da A.MA Records, il quale riflette i ritmi afro-americani che permeano la musica dei padri fondatori fino ai suoni dinamici del nostro tempo. Il lavoro di Enrico alla chitarra e di Egidio Gentile alla batteria tesse un suono che deriva dall’esperienza di oltre mezzo decennio trascorso insieme in varie band della scena jazz-rock italiana. Ai due sodali si è aggiunto l’ex membro dei Greyheads, il giovane olandese Matthijs Geerts, maestro delle tastiere e del basso. Il dinamico triunvirato riesce a distillare l’energia delle più autentiche vibrazioni jazzistiche unitamente a sapori più forti e speziati della fusion rock.

