Davide Intini Quartet con «Ego Taming», un calibrato modulo espressivo che lambisce con garbo lo scibile jazzistico

Sin dalle prime battute, si percepisce un desiderio costante di innestare nuovi germogli vitali in un terriccio creativo già concimato dalla tradizione, ma che rispetta la classica sintassi jazzistica, senza tentativi di deragliare verso sonorità astruse o additivi chimici eccessivamente contaminanti.
// di Francesco Cataldo Verrina //
I nuovi talenti del jazz italiano sovente evidenziano un background onnivoro che coniuga passato e presente con estrema disinvoltura, in cui è possibile rivenire talvolta elementi sonori provenienti da più direzioni, ma è un segno dei tempi. Nondimeno, nell’album d’esordio emergono rudimenti molteplici ed un voglia incontenibile, del tutto comprensibile, di mostrare il più possibile; non sempre questa caratteristica costituisce una deminutio capitis. Davide Intini ed il suo quartetto si muovono agilmente all’interno di un citazionismo equilibrato ed un modulo espressivo calibrato e contenuto che lambisce con garbo differenti situazioni dello scibile jazzistico. Parafrasando il titolo, si potrebbe dire che il musicista lombardo riesca tranquillamente ad addomesticare e tenere a bada il proprio super-ego. Precisa Intini: «Ego Taming è la presentazione del mio percorso musicale, spiega lo stesso Davide, un viaggio iniziato quando da giovane mi innamorai del timbro del sassofono e che mi ha portato a formarmi come artista e come persona grazie ad esperienze uniche. Il desiderio, direi l’esigenza, di musica mi hanno accompagnato dall’Italia alla Spagna fino a New York, portandomi ad essere da appassionato studente a consapevole professionista, facendo la compiuta scelta di dedicare la mia vita alla musica Jazz».
A differenza del un passato recente, in cui i musicisti si spendevano attraverso la riproposizione degli standard, forse consapevoli di camminare su un terreno più sicuro e meno insidioso, oggi i «giovani virgulti» sfidano le forze centrifughe della composizione e, nel caso di Intini, ciò avviene cum grano salis. Su dieci componimenti contenuti nell’album «Ego Taming», ben nove sono saltati fuori dal cilindro magico del sassofonista-leader, mentre «In Your Own My Sweet Way» è un piccolo sacrificio compiuto sull’altare votivo di Brubeck, oltremodo incapsulato in una dimensione del tutto personale e restituito al mondo degli uomini quasi reinventato ed adattato ad una fruizione contemporanea. Per suo debutto, Intini ha trovato un valida sponda in Diego Albini al pianoforte, Enrico Palmieri al contrabbasso e Alfonso Donadio alla batteria, musicisti organicamente e idiomaticamente complementari, capaci di autonomia esecutiva, ma perfettamente aderenti agli assunti basilari del leader. Precisa il sassofonista: «Ho scelto i musicisti che potessero a mio avviso rendere realtà quella che era la mia visione artistica. Sono convinto che la scelta si sia rivelata corretta, infatti la spiccata sensibilità musicale dei giovani talenti che mi affiancano, rende molto facile esprimere la personalità delle mie composizioni e le emozioni che cerco di esprimere attraverso di esse».
Scorrendo l’album, sin dalle prime battute, si percepisce un desiderio costante, quasi euristico, di innestare nuovi germogli vitali in un terriccio creativo già concimato dalla tradizione, ma che rispetta la classica sintassi jazzistica, senza tentativi di deragliare verso sonorità astruse o additivi chimici eccessivamente contaminanti. Le parole di Intini risultano alquanto eloquenti: Questo è senza dubbio un punto di partenza, sia per il quartetto come gruppo, che per me come musicista. A livello di band, stiamo già provando nuovi brani e cercando ulteriori sonorità che ci possano contraddistinguere sempre di più nel panorama jazzistico Italiano» Il rodato meccanismo intersezionale del line-up risalta già nell’iniziale «Zone In» , dove leggiadre ed ariose atmosfere newyorkesi si mescolano ad un groove metropolitano addolcito dai contrafforti soulful del pianoforte che rincorre spesso atmosfere tyneriane, così come La title-track «Ego Taming» è una ballata mineraria e sotterranea, sintomaticamente onirica che affiora in superficie a passo lento, ammantata da un elettromagnetismo shorteriano, ma forse sono solo suggestioni. «Picture in Random Color» è un altro costrutto cadenzato e dilatato nelle partiture in cui la ricchezza accordale del piano offre al sax di Intini infinite suggestioni e cambi di passo, lasciando spazio anche alla retroguardia ritmica per qualche istante di gloria. «21-2» è un ottimo esempio di post-bop bilanciato che magnifica le capacita interattive del line-up, ma dura il tempo di un endovena cedendo il passo a «Save Space», una ballata avvolgente e crepuscolare intagliata su un modulo tematico quasi dal sapore retrò, in cui Intini sprigiona tutte le sue abilità di balladeer con un sax al miele mille fiore, mentre il pianoforte e il basso giocano sui contrasti chiaroscurali. «In «Saaked Valse» riaffiora un mood vagamente sommesso e crepuscolare, giocato sui registri più bassi che favoriscono ancora la vena romantica e soulful del sassofonista. «Still Hoping» è un altro arazzo post-bop ricco di cromatismi, in cui l’interplay tra piano e sassofono diventa il vero motore mobile del costrutto, mentre basso e batteria dalle retrovie fungono da perfetti indicatori di marcia. «Stride Back» si sostanzia come un ibrido di risonanza dove ad uno stile pianistico asciutto e scandito si contrappongono le impennate quasi funkified del sax ed un sostanzioso groove In chiusura «The Simple Values», componimento magnificato da una melodia di facile digeribilità (forse il brano più immediato dell’album) e da un’aura vagamente gospel e corale caratterizzata dall’uso delle voci. «Ego Taming» di Davide Intini Quartet non un disco rivoluzionario, di quelli che tentano di strattonare la sintassi jazzistica, ma ne rispettano le regole adattandole ad un concepimento decisamente up-to-date.
